Recensione scritta per Indie for Bunnies
Tracklist
This Is Still It, pubblicato da Acute nel 2010, è una reissue tra le più importanti ed imponenti dell'ultimo lustro, anche se sarebbe più opportuno definirla una "ristampa antologica". Nati in pieno periodo post-punk, negli anni in cui Curtis ancora respirava l'aria inglese che lo portò al suicidio, rappresentavano e rappresentano tutt'oggi uno degli esempi più miracolosi di come far collidere con ottimi risultati vecchio punk, rock tradizionale e garage. Infatti tutti questi nomi, chi di più chi di meno, sembrerà parzialmente i Method Actors: Gang of Four, i Devo, Captain Beefheart, i the B52's, i Polvo, i Joy Division e qualcosa dei primi Sonic Youth e Wire. C'è chi li ha influenzati e chi invece li ha subiti, contaminandosene fino a perdere, per qualche momento, la loro identità. Ecco cosa si percepisce ascoltando un disco come questo.
Oltre all'ottimo lavoro fatto nella rimasterizzazione, bisogna dare i giusti meriti anche ai singoli brani. Ci hanno già pensato i tre decenni passati ad ascoltarli, tra gli aficionados e non, a rendere loro giustizia, ma rivedere insieme cosa significavano e significano brani come Do The Method e Can't Act non sarà certo considerato anacronistico dai gentili lettori. Questa musica è diventata in realtà sinonimo di abuso al giorno d'oggi, un abuso fatto da tantissime band che si sono appropriate di questo linguaggio per svuotarlo di significato in nome di posti sicuri nelle chart alternative e nei blog sedicenti "indie". Non lo si era detto, i Method Actors erano in due, e un dettaglio abbastanza essenziale è che, senza qualcuno a dircelo, non si sente. In pezzi pieni di suoni saltellanti, a volte felici a volte più tesi alla malinconia tipica degli strascichi successivi di questo genere, con linee vocali che passano dal pazzo biascichìo all'unidirezionalità più melodica, si sente tutta la passione che solo un periodo storico come gli anni '80 (o meglio la fine dei '70) poteva dare ad una band del genere, nata nella stessa città dei REM. Trattasi di brani come Dancing Underneath, My Time (oggi è impossibile non accostarla agli ultimi arrivati sulla scena, i Franz Ferdinand) e Bleeding, con tutta la loro carica che andrebbe riportata alla vita riguardando qualcuna delle loro spettacolari esibizioni live di cui anche Peter Buck si è detto estasiato dinanzi ad alcuni intervistatori.
E si può continuare con la lista di ottimi brani, passando per Distortion, Commotion (che, come Halloween, fa parte di quello stile che si è poi tramutato in elettronica durante e dopo l'invasione dei New Order) e My Time. Il vago sentore punk fa da filo comune nello scorrere delle diciannove tracce, ma ci sono anche gli ingredienti che hanno poi aiutato a definire in maniera più precisa l'etichetta di post-punk. L'assenza, o quasi, della politica nei testi, una tecnica che è ridotta al minimo solo per mantenere quella carica tipica solo di band dall'attitudine, per l'appunto, punk (o meglio, garage), ed infine, in particolare nel loro caso, l'utilizzo di pochi mezzi per veicolare tanto (e infatti, ripetiamo, erano solamente in due). Un suono quindi ridotto all'essenziale, spogliato di tutti i fronzoli e senza il minimo eccesso. Perché è questo che erano i The Method Actors, che con tutta la loro carica hanno influenzato decenni di produzione post-punk senza mai invecchiare, come i veri pezzi d'arte che, si sa, vengono mantenuti in vita dalla stima della gente che nei secoli continua a visitarli nei musei e nelle collezioni. E così sarà per band come queste, che non perderanno mai quella ineluttabile caratteristica che rende eterni i più grandi: l'essere sempre a passo coi tempi. Lunga vita agli M.A.
Voto: 8+
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