Recensione Scritta per Indie for Bunnies
Con due album più che discreti alle spalle, arrivano al terzo sforzo con una certa consapevolezza di ciò che stanno facendo. E si sente eccome. Acclamati nelle riviste e nei blog del settore anche fuori dalla piccola nazione dei quattro cantoni, sfornano undici brani di grande presa, evidenziando una varietà che in questo genere gli dovrebbero invidiare da tutto il globo. Il disco si apre con la title-track, un potentissimo e stiracchiato brano in puro stile alternative/indie come le chart hanno dimostrato di apprezzare nell'ultimo decennio (soprattutto se sei inglese). Niente di particolare, ma un pezzo godibile e con dei riff di chitarra molto potenti. I toni diventano più British, ma meno "banali" nelle più malinconiche Los Angeles is Burning (Pete Doherty docet, qui) e Cherry Blossom, entrambe molto ben riuscite. Monday Funday ricorda, musicalmente, gli ultimi Placebo, con l'unico elemento a differenziarsi da ritrovare nelle linee vocali dell'ottimo frontman, che spazia in vari registri senza mai apparire fuori luogo. Ed ecco una Welcome To The Moon, molto vicina agli episodi più potenti dei primi Muse, anche questa lontana dall'assomigliare "troppo" alla band citata solo per il diversificarsi della voce. Comunque un pezzo di grande presa, grazie anche ad alcuni riff difficili da scordare. Interessante la lenta e tirata Boom Boom Baby che, prima di esplodere, accumula una tensione insuperata nel resto del disco, un brano che ricorderà, anche questo, i Babyshambles più potenti (e molte delle band simili), pur rimanendo un episodio personalizzato dalle virtù tecniche e dalle scelte dei suoni di questi ragazzi di Locarno, tutti espedienti di notevole efficacia. I toni sono più dark rispetto ai primi brani e lo conferma la prima sezione di Sergeant Dylan Sand, che però si converte poi in una tirata folk di tutto rispetto. A concludere l'album le due ballads dall'anima pop Coloured Wall e Words che, voce esclusa, ricorderanno ai più i primi fenomenali dischi degli Oasis, quando ancora erano una band che non aveva iniziato a perdere i pezzi lungo i sentieri delle interviste di NME.
In sostanza questa band elvetica sforna una perla di indie rock per nulla originale, ma interessante se letto come un collage di elementi già sfruttati ed esauriti da molte delle realtà più popolari degli ultimi anni, in quanto legati da questi Zero In On, abili anche dietro i loro strumenti, con un'approccio unico, personale, dettato solo dalla loro spiazzante capacità di mettere in gioco elementi già sentiti ovunque con caparbietà e una versatilità invidiabile. Un disco, tutto sommato, più che godibile.
Voto: 7
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