domenica 28 febbraio 2010

Mavis (presented by Ashley Beedle & Darren Morris) - Mavis (!K7, 2010)

Tracklist

MAVIS è un progetto nientepopodimenoche di Ashley Beedle e Darren Morris. Per chi anche googlando non ha scoperto chi sono, niente paura, non sono necessarie tante informazioni anagrafiche per l'ascolto di questo disco, però giusto per dovizia di dettagli Beedle è un DJ e produttore inglese, così come il suo partner in questo progetto. Cos'hanno deciso di fare? Ascoltando Mavis Staples hanno composto un album strumentale da far poi cantare, mentre gli anni passavano (l'idea è nata nell'ormai lontano duemilasette), a un nugolo di artisti del panorama underground, anche se a volte si parla di qualche nome più noto alla stampa patinata (vedi Kurt Wagner dei Lambchop o Sarah Cracknell, front degli inglesissimi Saint Etienne). Il risultato rappresenta tutta una serie di cliché dell'elettronica e del pop d'autore in una maniera tanto variopinta quanto originale, non solo grazie alla collaborazione di tutti questi nomi, ma anche per l'ispirazione di Staples, definito quasi un'icona dai due produttori britannici.
Calandosi nel disco è impossibile non notare pezzi come l'opener Gangs of Rome (cantata proprio da Wagner dei già citati Lambchop) o Nemesis Required (con Cerys Matthews direttamente dai Catatonia), esempi di una traduzione diretta di passato a futuro in musica digitale, quasi estemporanea rispetto al contesto nella quale è calata, quella dei blog, dei social network, dello scrobbling. Siamo in un mondo diverso ma questa musica si propone come filo comune tra la lotta per i diritti civili al songwriting più leale e coraggioso, ed è per questo che quasi ci si commuove per l'onesto intellettualismo compositivo di brani come Let Your Love Shine e Feeling Lucky, in chiusura.
Il sottoscritto si sente in dovere di dichiarare apertamente la sua poca cultura in questo genere, ma c'è una cosa che evidentemente ha bisogno di palesare: questo disco sa emozionare, e brilla come una stella-guida all'inizio di un duemiladieci che si preannuncia fantastico se guardiamo le uscite che lo stanno fregiando di un'imprescindibile qualità musicale. Saranno contenti i discografici? Con un progetto poco vendibile come questo senz'altro no, ma a chi cerca originalità, decontestualizzazione, composizione ad alti livelli e un'iconoclastia quasi “romantica”, lontana dall'estetismo di quelle band elettroniche sempre più intente a complicarsi la vita dietro a sintetizzatori e vaporosi suoni computerizzati, si consiglia vivamente di immergersi nel progetto di Beedle e Morris. Ne rimarrete estasiati. 
Voto: 8.5 

sabato 27 febbraio 2010

Zero2 - Vivere da Adesso (Afre Music, 2009)

Tracklist
La prima cosa che si nota prendendo in mano la confezione di questo disco è l'occhio di bue metaforicamente puntato sulla musica leggera italiana. I titoli ricordano canzoni di Ligabue, Battisti, Laura Pausini et similia, e la copertina certo non lascia presagire grandi cose. Il contenuto del disco però non si misura dalla sua confezione e se la recensione di “Vivere da Adesso” deve, come ogni pezzo di critica, essere obiettiva, sicuramente deve ammettere che in questo disco non si trova neppure una nota o una parola che già non sia stata detta o suonata in tutte le salse nella musica pop e rock da classifica all'italiana. Tra Negramaro, Timoria (più che altro Renga), il già citato Ligabue e i Negrita più commerciali, gli episodi migliori sono i primi tre brani della tracklist (due dei quali, sicuramente per un motivo, sono anche i due singoli). Si tratta di Vivere da Adesso, la title track, Bella di Notte e Al Centro del Tuo Mondo, entrambe banali composizioni che però colpiscono al primo impatto, con la loro struttura semplice e melodie che sanno penetrare nella mente dell'ascoltatore. E se la verità è che quasi tutti i brani sono sopra la sufficienza, presi singolarmente, bisogna dire anche che il disco, nel complesso, non convince. Troppo monotematico, troppo sbiadito. Forse troppo “radiofonico perché si deve”. In ogni caso i testi sono buoni, per il loro scopo, e le melodie azzeccate (le chitarre fanno un ottimo lavoro tecnicamente), mentre non si può dire lo stesso del songwriting abbastanza “stilizzato” rispetto a quello che si pretende da un disco rock che sembrava poter rivoluzionare qualcosa. Il Volo, Emozioni e Senza Te rappresentano alla perfezione questo trend, mentre La Mia Luna è forse il pezzo che puzza meno di “già sentito”, senza misinterpretare questa definizione perché, come già detto, non si può parlare di novità.
Una recensione come questa, in certi contesti, sarebbe definita una stroncatura. In realtà tecnicamente la band ci sa fare e la produzione è adeguata al tenore della band. Quello che manca è un diversivo, qualcosa che devii dalla rotta del semplice prodotto che vuole vendere anche se non ha i contatti per farlo, per portarsi davvero agli occhi e alle orecchie del pubblico. E forzare questo tipo di percorso quando ci sono le potenzialità per fare ben altro spesso produce risultati difficili da valutare, carini ma nulla più, ascoltabili ma privi di originalità e di un corpo solido dal quale estrarre qualcosa per produrre un giudizio complesso e completo.
Lo si manda giù tranquillamente, ma con le capacità di questi ragazzi (e la bella voce di Rocco Bronte) ci si può dare tutta la libertà di desiderare (anzi, pretendere) molto di più. 

Voto: 5 

venerdì 26 febbraio 2010

Fish and Clips # 4: Parte 1

SPECIALE WEEZER

 

I Weezer, i più celebri nerdacchioni losangelini, hanno dedicato gran parte della loro carriera musicale, peraltro piuttosto colorita, a divertirsi con il loro look molto "vogliamo restare sempre giovani e antifiga". I dischi, per il sottoscritto, sono stati quasi tutti sopra la media, con un sacco di hit radiofoniche azzeccate, ritornelli che da anni non mi si tolgono dalla testa e concerti, a giudicare da YouTube, molto buoni. Una cosa che li ha contraddistinti da sempre, è la simpatia dei loro video. Sempre qualche idea per far ridere o semplicemente per distinguersi. Di seguito trovate tutta la videografia con link per YouTube. Questa prima parte di Fish and Clips è dedicata ai video usciti negli anni '90, la seconda...beh provate a indovinare?

1996. El Scorcho 


giovedì 25 febbraio 2010

Michel - Bombe (Latlantide, 2009)

Tracklist

Michel non è uno dei soliti volti noti della scena rap e forse questo è un bene. Se negli ultimi anni l'hip hop italiano ha raggiunto le vette delle classifiche spinto dall'Universal e dalle altre major che hanno sostenuto e mandato in alto Fabri Fibra, Mondo Marcio, Nesli ed altri, è anche vero che l'underground italiano in questo genere non si è mai fermato ed ha continuato a pulsare ininterrotto, producendo piccole e grandi perle che i fanatici non si sono sicuramente lasciati scappare.
Bombe” di Michel potrebbe, potenzialmente, essere una di queste perle. Con il suo rap a volte legato a cliché della scena più radicale, i beat americani importati in Italia negli anni '90 da Bassi Maestro e pochi altri, a volte più moderno ed innovativo, mette su disco delle vere e proprie “mine” che qualsiasi beatmaker apprezzerà. Nelle derive di protesta sociale i picchi del disco: la fame chimica e la legalizzazione della marijuana di Ancora, la crisi non ancora termini post-Goldman Sachs in Dentro le Tasche, i rapporti con le altre persone in Tu Scappi e Non Ci Capiamo. I numerosi ospiti alzano il livello del disco ma non è certo Michel (per altro produttore dei celebri Metro Stars) il meno abile, che infila rime assolutamente azzeccate, da invidiare l'outsider del rap, Caparezza, restando comunque ancorato alla tradizione hip hop underground. Citiamo tra gli ospiti i più conosciuti: Jack The Smoker (con il quale sgancia l'esplosiva Se Ti Va), Maxi B (già collaboratore di Yoshi, Nesly Rice, Esa e Medda, anche lui presente) e il gruppo Massakrasta.
Le “bombe” di Michel sono 20 (compreso un remix) in questo disco, e almeno 15 dei pezzi risultano abbastanza orecchiabili da poter penetrare nella testa anche dei più distanti dal rap, ma è quasi certo che un esperto del genere rischia di affezionarsi ad un album come questo senza staccarsene più.
Da un non esperto, un gran consiglio per gli aficionados.

Voto: 7.5
Recensione scritta per Indie for Bunnies - link

mercoledì 24 febbraio 2010

Il Disordine delle Cose - Il Disordine Delle Cose (Garage Ermetico Records, 2009)

Tracklist

A Novara c'è disordine. E se questo disordine ci fosse anche in altre città italiane, forse sarebbe meglio.
Scusate l'incipit già un po' lecchino ma è ascoltando questi dischi che ci si rende conto, quest'anno in maniera non più tanto “sorprendente” (vista la mole di bei dischi usciti), che la scena italiana pulsa di nomi validi che non decolleranno, forse, mai. Ma ci vogliono le palle per andare avanti comunque. Questo “disordine delle cose”, aiutato ad espandersi in tutta la sua entropia da artisti del calibro di Paolo Benvegnù, alcuni membri dei Perturbazione (Diana, Cerasuolo, Giancursi e C. Lo Mele), Syria, Naif, Marcello Testa dei La Crus e tanti altri (ad evidenziare l'aspetto ambizioso del progetto) in verita suona tutt'altro che caotico. Un disco composto, di classe, elegante e con una vena di raffinatezza che risale direttamente a certe tradizioni cantautorali di notevole splendore qui nel Bel Paese. L'Altra Metà di Me Stesso ha anche la discrezione di suonare orecchiabile, col suo testo a metà tra la lirica di Benvegnù e quella del buon vecchio Battisti (“tu che sei invincibile non sei mai come vorrei”), un po' come L'Idiota e L'Astronauta, vignette quasi monografiche di personaggi a noi molto noti (l'idiota, come si nota dal booklet, sembra riferita al nostro attuale premier, anche se il testo non fa mai esplicito riferimento se non citando un “presidente”). Toni soffusi rubati all'indie pop più pacchiano, magari dalla Scandinavia o dall'Inghilterra, si impennano in Piume di Cristallo e La Mia Fetta, dove la malinconia di questo “disordine” si esprime in tutta la sua potenza dirompente (e sempre senza distorsioni), grazie ad un'intelligentissima fusione con alcuni stilemi del jazz . Ma ci sono anche i toni rock di Muscoli di Carta, Don Giovanni e Il Pittore del Mondo, a volte vicini ai Marlene Kuntz più recenti ma mai distaccandosi dal pop e dalla melodia (nessuna traccia del noise che va tanto di moda inserire ovunque ultimamente).
Produzione ottima, esecuzione più che buona (ravvivata dall'inserimento di alcuni archi, suonati da ospiti come Max Gilli ed Elena Diana), con particolare merito da dare alla voce che sottolinea brillantemente i suoi passaggi da protagonista. Uno sguardo ai testi è di dovere, per il fattore “estetico” del disco che non è da sottovalutare.
Tutta la voglia di disordine scompare all'improvviso, e nella compostezza di questo disco trovate il cuore soft-romantico di una scena italiana sempre più vivace e devota al passato cantautorale che l'ha resa grande. E il folk con lui. Gran disco.
Voto: 7.5

martedì 23 febbraio 2010

Il Teatro degli Orrori Live @ CSO Rivolta, 20 Febbraio 2010


Setlist 
Foto di alta qualità della serata (by Eleonora Cagnani)

Sabato 20 Febbraio 2010 al CSO Rivolta di Marghera. A Venezia si respira un'aria rock, nei maglioni a righe e nell'aria che sa di alcol, oltre a quella delle ciminiere, e quando il rock lo portano Capovilla e soci si parla sempre di grandi concerti e gente che poga e suda in maniera, volendo, esagerata. 
Subito dopo la fine del breve set dei veneziani Love in Elevator arrivano sul palco gli attesissimi Pierpaolo Capovilla, Gionata Mirai e soci. La formazione è nuova: Manzan di Baustelle/Bologna Violenta a chitarra, synth e violino, un nuovo bassista, solito batterista supercialtrone (in senso positivo) a distruggere il suo set al limite del minimale. La potenza del Teatro degli Orrori la conoscono tutti quelli che hanno perso l'udito (e la schiena) ai loro concerti. Distorto che ti spacca la faccia, cambi di tempo che ti lasciano di sasso, grida impazzite del Pierpaolo-profeta che col suo modo di fare da "sempre ubriaco" ti stupisce, anche quando si getta sul pubblico e cade per terra (in testa a Jacopo di GTBT che l'ha dovuto anche aiutare a rialzarsi), si mette in bocca qualsiasi cosa gli passi il pubblico (spinelli o sigarette, bottiglie di vino, qualsiasi cosa...) e ti balbetta di televisione, di fare l'amore e di partigiani. L'importante è ascoltarlo. Per lui un concerto rock è "fare cultura", e se questi sono i modi dovrebbero essere tutti molto contenti di starci.
Gli errori molto frequenti di batteria e chitarra sono comunque ridotti nel loro "impatto negativo" da un sound che nel suo overall è talmente pieno e maestoso da coprire sé stesso: in effetti anche l'acustica del Rivolta non aiuta molto ma in un concerto così "fisico" ascoltare non è una priorità.
La setlist passa praticamente per tutto l'ultimo disco, "A Sangue Freddo", con l'eccezione di due brani, e spiccano per resa Majakowskij, A Sangue Freddo e Due (in apertura). Un po' troppo farfugliata con la voce Alt!, proposta solo di recente ai concerti, e molto deludente la nuova versione di Direzioni Diverse, più atmosferica nella versione direttamente presa dal remix dei corregionali Bloody Beetroots. Ma non lamentiamoci troppo, perché un concerto così ha ben pochi difetti, e lo capiamo ulteriormente se dopo 1 ora e 30 di ritmi serrati e distorsioni al limite del "grezzo", ci sparano un bis con cinque pezzi dal primo ruvido disco: Vita Mia, E Lei Venne!, Dio Mio, Compagna Teresa (una delle migliori in assoluto) e la novità (in questo tour) L'Impero Delle Tenebre.

Un concerto così, dedicato praticamente più ai fan che a "gente di passaggio", lascia comunque il segno. Che sia l'atteggiamento sopra le righe di Pierpaolo, la batteria sclerata di Franz o il pogo schiacciaossa qualcosa rimarrà in mente, e a me è rimasta la bellissima Per Nessuno, inedito escluso dall'ultimo disco e reperibile nel singolo di A Sangue Freddo. Tiro punk schizofrenico, testo molto malinconico (come sempre, come l'altra sorpresa in scaletta Maria Maddalena), un bel modo di stupire. In ogni caso il Teatro degli Orrori più che un concerto propongono un'esperienza. Un'esperienza che consiglio.

* foto di Monelle Chiti
* video di Falafilm

lunedì 22 febbraio 2010

Sanremo 2010 (al primo ascolto o quasi)

Impossibile in queste settimane non aver sentito parlare del Festival di Sanremo, che come ogni anno attira l’attenzione di tutti (radio, televisione, giornali e giornaletti) per qualche caso particolare, per i metodi di votazione, per i vestiti delle vallette o per gli ospiti.
Forse sarebbe troppo banale parlare di musica nel corso di un evento che dovrebbe essere la vetrina della musica italiana?! Povera musica italiana...
Quest’anno siamo partiti col botto già quando Morgan se n’è uscito dichiarando in una intervista di fare uso di crack guadagnandosi (si, guadagnandosi) l’esclusione dalla manifestazione nonché pubblicità gratuita e grande attesa sul suo brano di cui tutti parlano e che nessuno ha ancora avuto il piacere di sentire.

* * *

(GIOVEDI)
È trascorsa la seconda (terza stasera) serata mentre scrivo ma i veri vincitori i network li hanno già decretati cominciando a trasmettere i brani più forti, ed io che ho la radio accesa tutto il giorno posso già fare qualche considerazione.

Finora ho sentito alla radio Malika (Ricomincio da qui), Irene Grandi (La cometa di Halley) e Marco Mengoni (sarei curioso di ascoltare Mengoni…cantato da Mangoni degli EELST), cioè quelli che effettivamente hanno presentato canzoni pop degne di questo nome.
Direi comunque che è esagerato parlare, come qualcuno ha fatto, di grandi stars o di capolavori dato che ad esempio il pezzo di Irene Grandi, scritto con il leader dei Baustelle, è quasi la copia di uno dei singoli della band toscana ("Charlie fa Surf"), mentre quello del vincitore di X-Factor sembra orecchiabile e adatto a mettere in evidenza le doti vocali del ragazzo (bisogna dirlo: la voce ce l’ha, anche se a me non fa impazzire il suo timbro). Certo che prima di dire che Marco Mengoni sul palco sembra una vera rock star, come qualcuno ha detto, ci penserei molto bene!
Diciamo due parole anche su Malika Ayane e sul suo brano, che è davvero riuscito e a parer mio ce lo ascolteremo per un po’ di tempo. Senz’altro è un bel periodo per questa artista che dal Sanremo dello scorso anno è cresciuta di fama e personalità… Spero soltanto che il nuovo disco non sia come il precedente, dove si salvano due brani ("Feeling better" ed il sanremese "Come foglie") mentre il resto era davvero soporifero!

Oltre a questi tre brani personalmente ho apprezzato quello di Enrico Ruggeri (forse sentire un brano che parte col basso a Sanremo mi ha fuorviato dato che lo suono pure io), dal quale però mi aspettavo un testo sugli alieni (hehe) dato il suo ultimo libro, e quello di Nina Zilli (L’uomo che amava le donne). Certo il brano di questa nuova proposta ne richiama alla mente mille altri a causa del suo stile sixties ormai ripreso da molti artisti a livello internazionale, ma la voce c’è ed è davvero interessante. Dimenticavo Simone Cristicchi, che anche questa volta è riuscito a stupire con il suo stile personale e con un testo pungente (la radio sta trasmettendo proprio adesso Meno male).

Rimanendo in ambito giovani proposte meritano di essere menzionati i Broken Heart College, che con la loro Mesi mi hanno fatto correre al bagno (ma che vogliono essere, una boy-band? Mah)… Altra corsa alla vista di Povia (già a sentirlo nominare mi viene l’orticaria…) che, alla faccia della musica leggera, ha presentato un pezzo contro l’eutanasia dal pretenzioso titolo La verità. La sua verità se la può anche tenere per lui e per il suo piccione!

E Arisa? Arisa, come l’anno scorso, ci ha spiazzati con un look vagamente anni trenta (tornati di moda) e con le sue coriste/i. Il testo del suo brano non è un granché, ma in compenso la melodia spezza la monotonia di un festival musicalmente intrappolato tra i soliti paletti. Io non ricordo di aver mai ascoltato bluegrass a Sanremo…

* * *

(VENERDI)
Sempre a proposito di stravaganze vorrei parlare di Pupo, che ha voluto far cantare(?) Emanuele Filiberto (ripescato) che se fosse per me dovrebbe essere ancora in esilio...
Un capoverso lo merita anche Valerio Scanu (ripescato pure lui dopo il duetto con la Amoroso), altro prodotto da talent-show il cui brano sembra uscito da una edizione sanremese di quindici anni fa: fortuna che ha solo diciannove anni, pensate se ne avesse avuti dieci di più.

Non pervenuti Sonohra (è giusto il posto della acca nel nome?!) e “Freddy Krueger” Moro, presentatisi con brani quasi uguali a quelli delle loro precedenti partecipazioni al festival.
E sempre a proposito del giovine duo veronese non si può non citare il “G3 de noantri” che hanno portato sul palco ieri sera con Dodi Battaglia (si, quello dei Pooh): lascio decidere a voi se è stato un picco musicale di questa edizione.

Molto apprezzabile, nella serata di ieri, la carrellata di artisti fuori gara che hanno omaggiato la manifestazione (della serie “è la sessantesima edizione e bisogna festeggiare”) cantando brani storici: Francesco Renga su tutti ha dimostrato ancora una volta le sue grandi doti, mentre al contrario Cocciante ha dimenticato, o forse ne ha volutamente cambiato le parole, il testo di "Volare"! Penso che anche i sassi lo conoscano a menadito...
Meritati applausi anche per Carmen Consoli, vestita anni trenta come Arisa ma di gran lunga più bella, ed Elisa, che ha eseguito un medley di tracce estratte dal nuovo lavoro; quando canta in inglese secondo me ha davvero una marcia in più e dal vivo tiene testa alle varie Pausini e Giorgia (spesso considerate di un altro livello).

* * *

(DOMENICA)
Bene, siamo riusciti ad arrivare alla fine della kermesse (come dicono quelli bravi) anche quest’anno, con ascolti televisivi maggiori degli ultimi anni, con qualche pezzo davvero buono, con dei vincitori più o meno meritevoli e con le solite polemiche di chiusura.
Posso comunque dirmi d'accordo con i maestri d'orchestra del festival che hanno accolto il piazzamento del trio (Pupoprincipetenore) gettando sul palco gli spartiti: ci può anche stare che ragazzi che arrivano dai talent, avendo molta visibilità in tv, ricevano tantissimi voti dal pubblico arrivando in ottime posizioni con canzoni orecchiabili o comunque “sanremesamente” classiche, ma non è possibile che un brano come quello del trio di cui sopra arrivi secondo (melodia stra-sentita e testo francamente ruffiano, soprattutto se recitato da un principe che non meno di un paio di anni fa voleva un risarcimento in denaro per l'esilio della sua famiglia).
Ecco, sono cascato pure io nella polemica.
Non c'è soluzione, la polemica è nel DNA della manifestazione.
Io propongo di sostituirlo con l'Eurofestival come succede negli altri paesi europei...

domenica 21 febbraio 2010

Star Fucking Hipsters - Vol II: Never Rest In Peace (Alternative Tentacles Records, 2009)

Tracklist
Avete presente la scena punk americana? E' iniziato tutto coi Ramones, ma è troppo banale ripeterlo, lo so che lo sapete. Ma non è un caso che anche questi Star Fucking Hipsters vengano da New York. Ci sono poche parole da dire su un disco del genere, contiene tutti i cliché del punk statunitense, i power chord, i ritornelli spensierati ma contemporaneamente distruttivi (non solo a parole), aggiungendoci solo un piccolo cambiamento: la voglia di squarciare i timpani al povero ascoltatore con grida che a dirla tutta depotenziano solo il prodotto finale. Ma se alcuni dei componenti della band hanno le stesse ruvidissime gole degli ormai sciolti da tempo Leftover Crack e Choking Victim c'è poco da stupirsi.
Di per sé la furia punk rock di questi ragazzi quasi stupisce, come se non ci fossero già troppe band ad aver fatto la stessa identica cosa negli ultimi trent'anni. Saranno le brutte esperienze che gli sono capitate (la morte dell'ex frontman prima di completare il disco, ecc.), ma la furia che li fa gridare contro la tortura o altre forme d'ingiustizia (vedi la title track
Never Rest In Peace e Church and Rape) quasi li fa sembrare fin troppo cattivi. E ripeto, sarà l'urlato ma l'effetto sui miei timpani è piuttosto devastante. L'album, forse per l'impatto immediato, è più che ascoltabile, discreto nel complesso, anche se appunto manca di originalità (3000 Miles Away sembra abbondantemente copiata da Ramones e i primi Green Day), lasciando spazio però allo ska-punk allegro di The Civilization Show, gli scleri death metal di Allergic II Peoples e quasi heavy di SFH Theme, per innalzare un po' i toni e dare un po' di varietà al tutto.
I ragazzi non saranno grandi musicisti ma se vi piace il punk più grezzo (non solo l'hardcore punk), quello che si unge costantemente di metal creando le ultime sequele di strillatori che impazzano nei palchi dell'underground americano e scandinavo, gli Star Fucking Hipsters fanno assolutamente per voi. Altrimenti lasciate il CD sullo scaffale e andate a cercare qualcos'altro. Sgraziati. 
Voto: 6- 

sabato 20 febbraio 2010

Metallica - Français Pour Une Nuit (2009, Universal)

Tracklist

Se mettiamo in fila tutte le registrazioni live fatte dai Metallica, togliendo i DVD ufficiali che sono stati tutti di pregevole qualità (fino al piccolo capolavoro S&M), troviamo una gran quantità di bootleg facilmente definibili ciarpame (quasi tutti quelli del catalogo Live Metallica) in cui troviamo molto spesso errori talmente gravi di voce e batteria che possono far solo sorridere. Del resto la tecnica di Lars Ulrich non è mai stata eccelsa, anche se il suo stile negli anni '80 significava qualcosa, e la voce di Hetfield da quando si è disintossicato ha perso molto. 

In questo DVD, miracoli della post-produzione a parte, i Metallica sono davvero in forma. Ci sono decine di live su YouTube presi da festival vari (Rock Am Ring e quant'altro), ma nessuno cattura l'energia dei Metallica come questo. La tecnica di basso e chitarre è evidente, e non è un caso, nonostante gli errori lampanti di Kirk Hammett che l'hanno ormai reso abbastanza ridicolo (da quanti anni non azzecca l'assolo di One?), in questa ripresa ridotti all'osso. E' difficile pensare che ci siano tante sovraincisioni in un live così, perché gli errori, anche gravi, sono comunque presenti. Suonano piuttosto "out of the world" però alcuni inserimenti di doppio pedale di Lars Ulrich, che non sa assolutamente suonare ascoltando qualsiasi altro live, quindi qualche dubbio ci viene. Ma questo DVD, uscito solo per il mercato francese, rappresenta quello che i Metallica sono ancora. Una band con milioni di fans che spenderebbero qualsiasi cifra per vederli, pronti a pogare e a cantare ogni singola nota dei loro pezzi, anche i meno conosciuti. In questo set, per la precisione, ci sono almeno un paio di pezzi che la band ha suonato solo di rado: si parla delle potenti Harvester of Sorrow e Dyers' Eve che fanno ovviamente rimpiangere le performance del periodo thrash (e il grande capolavoro Live Shit Binge & Purge), ma le vere sorprese arrivano dalla potenza assolutamente invidiabile di Motorbreath, Seek and Destroy (in uno scatenato finale) e Blackened, evidenti manifestazioni della grinta che questa band dopo tutto quello che ha passato riesce ancora a dare. 
Gli altri brani in scaletta sono i soliti, i singoli del passato (Sad But True, Enter Sandman, Master of Puppets e Fade To Black quelle eseguite meglio) e le novità di Death Magnetic (una delle migliori su disco, All Nightmare Long, perde però molto in questa edizione, anche per alcune stonature di James che diremo gravi nel ritornello), ma il coinvolgimento del pubblico, in un'arena peraltro molto suggestiva (siamo a Nimes), non scende mai un secondo e la band fa del suo meglio per mantenere alto il livello dell'intrattenimento. Tecnicamente siamo lontani dall'eccellenza (mai raggiunta comunque) di altre band metal, ma rispetto agli standard degli anni zero siamo andati oltre, e la proposta di questo DVD rende evidente che questi Metallica da dire hanno ancora molto, nonostante i fill patetici e gli errori madornali di Lars, le entrate un po' "trash" (non thrash) di Kirk e le stonature soprattutto su Nothing Else Matters di James. Trujillo si conferma invece un bassista geniale,una vera macchina da guerra, nonostante le sue pose da macaco, finalmente con un volume accettabile in un DVD. 

Insomma un pacchetto da non perdere se siete fan di vecchia o nuova data, forse con troppi pezzi del nuovo disco (ma non possiamo pretendere altrimenti visto che si tratta ancora del "World Magnetic" Tour). Una band sempre sulla cresta dell'onda e che probabilmente ci resterà ancora per 10 anni, proprio come i loro compari Iron Maiden. 



Voto: 7

venerdì 19 febbraio 2010

Sanremo si, Sanremo no

Anche quest'anno il "bagaglino" (lo so, lo so che non c'entra...) di Sanremo sbarca sugli schermi sempre più spopolati del nostro servizio pubblico con la sua minestra di fiori, ospiti internazionali con traduttore simultaneo e conduttore sulla cresta dell'onda (neanche tanto, stavolta). Lo chiamano il "festival della musica italiana", il che è strano visto che sembra più che altro il festival di una PARTE della musica italiana: quella dei cenoni tra discografici, dei critici che non sanno nulla (o quasi), del pubblico che spende soldi per televotare quando il vincitore è già deciso prima dell'inizio della kermesse stessa. C'est la vie.
Questa forma di borghese omicidio-suicidio (ma biancovestito e con tendaggi fioriti e profumo da Arbre Magique alla lavanda per non tenere lontane neppure le zanzare) della musica, come un festival di questo tipo NON dovrebbe essere, ci presenta quest'anno alcuni big vicini alla narcolessia da senilità (neanche troppi) ed altri giovinastri appena usciti dall'utero "danarifago" di MTV e discografia "emo-indecente" d'alta classifica (senza parlare delle finte popstar dei talent show assemblati, smontati, fagocitati e ridefecati dalla De Filippi, la Maionchi, ecc.). Siamo nel pop più malcostruito di sempre, con errori già nel format e nelle esigenze di una tradizione che è sempre più da cestinare, ma che per loro non raggiungerà mai l'età pensionabile. Sarà che lo share è sempre più sinonimo di clic su YouTube (e anch'io le canzoni le sto ascoltando lì), e questi non sanno neppure cosa sia un clic (figuriamoci se sono mai andati sul sito), ma Sanremo in QUESTA TV è diventato il festival del vecchio, del marcio, del decaduto. Fuori Morgan che diventa comunque protagonista, tra gag e citazioni da parte della peggior conduttrice che potessero scegliere (la Clerici) e dentro i Sonohra (non ne parlo sotto perché il pezzo è davvero ridicolo). E si...la sorte di chi si fidava del principale evento musicale d'Italia è questa. Si preferirebbe il patibolo piuttosto che assistere ad un massacro mediatico nei confronti del vero pop come si prefigura essere questa ennesima, brutta, edizione del festivàl.

E le canzoni in gara, tra i big, sono vere e proprie perle di musica "leggera". Salvando il salvabile tiriamo fuori le belle voci di Malika Ayane ed Arisa sprecate in due pezzi ridicoli, un abbastanza stonato Totò Cutugno che nell'imitare sé stesso rende plausibile prendere quegli Aeroplani per andarsene "a vivere in campagna", come diceva tempo fa, ma per davvero (ti prego, ritirati). "Charlie fa Surf" dei Baustelle plagiata con un arrangiamento catastrofico (non come i film di Emmerich, peggio) da Irene Grandi, anche se il pezzo è stato composto dallo stesso Francesco Bianconi che in passato ha scritto ben altro. Un Simone Cristicchi, vera rivelazione di qualche festival fa, che nell'imitare Caparezza perde tutta la sua personalità, seppur proponga il miglior testo, per intelligenza e costruzione, del festival. Enrico Ruggeri, giunto all'ennesimo pezzo identico (e brutto) della sua carriera salvato sempre dalla sua azzeccatissima e distintiva voce, che lo separa dal vecchio Vasco Rossi anni '80 solo perché probabilmente non fa uso di cocaina (scusa Morgan!). Nino d'Angelo, addirittura osannato dal pubblico in sala, con un pezzo in napoletano che tributa alla sua provenienza geografica anche nella musica: da dimenticare. Stenderei direttamente un velo pietoso sui pezzi di Noemi, Povia (che tratta sempre temi di cui non sa nulla, con un tatto praticamente nullo, e privo di interpretazione), Marco Mengoni e il suo tiro finto alternative che rovina le poche qualità della sua voce in un pezzo copiato da qualche rockettone americano qui riscritto in salsa videoitaliasolomusicaitaliana. 

Sorpresa positiva, di nuovo, per Fabrizio Moro con un pezzo, senza tanto onore, tra i migliori di quelli che ho potuto ascoltare (per il testo e il tiro abbastanza "catchy", moderno per gli standard sanremesi direi), che urla "sono condannato all'evasione fiscale" e domani sarà su Libero con la targhetta "comunista", paragonato al "Papa Nero" dei Pitura Freska (beh musicalmente ci siamo). Il Mondo Piange, suonata dai Nomadi ed interpretata da Irene Fornaciari, raccomandata fino all'ultimo, altro bel pezzo, soprattutto strumentalmente e per l'interpretazione della cantante. 

Insomma. Bisognerebbe anche sperare che vinca il migliore, tanto per restare nel nostro italico proverbiale senso del rispetto della meritocrazia che nessuno pratica anche se tutti lo vogliono, ma anche superata la difficoltà nell'individuare una persona che meriti davvero questo titolo, sappiamo già che non vincerà mai. Con buona pace di musicologi, critici troppo spocchiosi, critici falliti, presidenti di emittenti radio rovinate e quant'altro. Per favore, date Sanremo in pasto a qualcun altro.

giovedì 18 febbraio 2010

Trabant Live @ Tetris, Trieste 16/02/2009


Allora. Escludiamo subito il tipico (e parzialmente condivisibile) assunto per cui le band italiane "dovrebbero" cantare in italiano e lasciar perdere lingue che pronunciate da noi ci rendono ridicoli all'estero. Escludiamo anche il fatto che i Trabant non fanno un genere "italiano" per cui l'inglese se lo possono anche permettere. Cosa dire a questo punto della performance "in casa" dei triestini Trabant al piccolo ed intimissimo Tetris, con un pubblico che se moltiplicato per cinquanta si potrebbe definire "delle grande occasioni" (per calore ed accoglienza, e si, anche per voglia di ballare) e un'acustica neanche troppo controproducente nonostante le dimensioni del locale?
Partiamo dalla musica: i Trabant suonano benissimo un genere che centinaia di gruppi al mondo suonano peggio di loro. Per questo motivo, e anche per il fatto che sono italiani, non li conosce (quasi) nessuno ed il triste scotto che paga la gente che non si vuol vendere in Italia lo riscattano con la "qualità", davvero notevole, di un'esibizione a dire il vero piuttosto contenuta in durata. Hit potenzialmente radiofoniche come "Ah! Oh! Aficionados" e "Waste of Time", per non parlare di "187 PC", non possono che infiammare il pubblico (si tratta della festa di Carnevale al Tetris), mascherato così come è stranamente agghindato ogni elemento della band, con quell'electro-punk che band come i Klaxons hanno portato in classifica anche di recente. Le canzoni del passato (soprattutto dal disco "Music 4 Losers") suonano molto bene, ma si aprono nuovi orizzonti più originali con i brani del futuro disco, con dei groove molto precisi e puliti, che apprezzeremo meglio dopo l'uscita dell'album e nei set live che seguiranno.
Sul palco si muovono molto bene, e non solo perché è carnevale. La tenuta dello stage è ottima e si apprezzano particolarmente la precisione della batteria (Jack dietro le pelli davvero una macchina da guerra) e l'intonazione della voce, messa a dura prova da riff non proprio semplici da suonare mentre si canta (e si balla).
Insomma una band coi controcoglioni che merita, in definitiva, molta più attenzione. Si spera di sentirli molto spesso prossimamente.

* foto di Alessia Radovic
* In assenza di video della serata linko una performance per TELECAPODISTRIA del 24 Aprile 2008. Da non perdere. Le altre tre parti del video su YouTube.

mercoledì 17 febbraio 2010

Toro Y Moi - Causers of This (Carpark Records, 2010)

Tracklist

Un album dai titoli vagamente incomprensibili e verosimilmente insensati. Però è un disco che non scorre senza lasciare il segno. Cascate di suoni sintetizzati, melodie quasi paradisiache, che portano alla mente metafore da trip lisergici con lo stesso ritmo con cui le undici tracce riempiono l'atmosfera della camera in cui si sta ascoltando questo "Causers of This".
Se fosse un film sarebbe ambientato in qualche mondo fantasy dai colori freddi, forse pieno d'acqua e con l'avviso per gli epilettici prima dell'inizio. Non ci sono cambi di tempo esagerati, guizzi frenetici o spezzoni ballabili, ma gli strobo ci starebbero sicuramente bene. Subito nel mood caloroso ma contemporaneamente glaciale dell'album con la combo Blessa e Minors, la seconda più una colonna sonora per un viaggio in macchina veloce, senza intoppi. Insomma, non una cosa da tangenziale di Milano. Più una rilassata discesa dalla pista da sci verso il paese a valle. Groove poco complessi e livelli di synth anche troppo compressi, per un suono veramente molto lavorato e che risulta essere, forse proprio per questo, di notevole impatto. Lo sentiamo anche in tutti gli altri pezzi, vedi soprattutto Lissoms, forse l'unica vagamente danzabile, e You Hid, dove il beat quasi hip-hop rimanda ad alcuni rapper americani per l'uso che la voce di Chaz Bundick fa delle basi che ricopre. E più colorata è l'atmosfera anche nei passaggi vagamente tribaleggianti di Talamak e nell'inebriante (ecco forse un titolo azzeccato) Thanks Vision, che nonostante il bassissimo tasso di “orecchiabilità” del disco (no, non è un difetto) forse vi resterà in testa più del dovuto. Forse un brano che merita qualche critica è Fax Shadow che si sbilancia in un paio di cliché che peraltro non combaciano neppure troppo, creando un senso di straniamento che rende quasi fuori luogo il brano, anche se in un ascolto integrale del lavoro nella sua interezza pochi se ne accorgerebbero.
Un tentativo di descrivere questo album senza citare nessun gruppo, nessuna influenza, nessun genere, non può che concludersi con questa frase, che è più che altro una dichiarazione d'intenti. Decriptando questo messaggio scoprirete che alla fine l'album mi è piaciuto molto anche se non mi ha entusiasmato certo come altre rivelazioni dell'elettronica degli ultimi anni, però se dovessi scegliere tra l'album in questione e qualsiasi disco di indie, chillwave, trip-hop (o definizioni casuali analoghe) forse ultimamente mi piacerebbe dare una considerazione speciale a questo. Tutto qua.
Siamo nel sottobosco della cultura indie, quella del microblogging e del social network musicale più “esclusivo”, e questi pezzi ce lo confermano. Magari qualcuno ha già scoperto ed apprezzato questo progetto prima di codesto debut album ma per me resta una novità, e che novità. Chance per tutti, anche per Toro Y Moi
Voto: 7.5 

martedì 16 febbraio 2010

The Fine Arts Showcase - Dolophine Smile (Adrian Recordings, 2009)

Doveva stare piuttosto male quel giorno in cui la ragazza lo ha piantato a Londra. La “sua città” (dove si era trasferito da Malmo, la vera città natale). Se ha fatto uno dei dischi più retrò-malinconici degli ultimi due anni, per Gustaf Kjellvander dev'essere stata quantomeno una doccia fredda. In ogni caso il prodotto è stato notevole: un emozionato songwriting produce quasi sempre un risultato perlomeno valido per chi può condividere quello stato d'animo, ma qui non c'è solo questo.
Pop d'autore, volutamente anacronistico, che contempla il passato di band come The Byrds pur non distaccandosi da scelte indie rock più confacenti alla Gran Bretagna dei giorni nostri. C'è tensione nella seconda metà di “Friday On My Knees”, dopo Friday I'm In Love dei Cure, forse un riferimento vero e proprio alla sua storia. Autobiografie a parte, i testi sofferti e interpretati in maniera magistrale da Gustaf rendono questo disco una vera e propria perla: complice la sua voce impostata abbastanza da sembrare Smith degli Editors ma meno “piena” (in realtà canzoni come “For Those Who Dream With Open Eyes” e “I'm Sorry” qualche tono new wave ce l'hanno pure), giusta per non stonare su certe canzoni più old-style come “Dolophine Smile”, la title-track, o “The Teenage Order”, dal sapore cantautorale, seppur inquadrate in un contesto più rock. La sofferenza più grande con la voce arriva dall'interpretazione di “Looking for Your Love”, supportata anche da archi sintetizzati di grande impatto.
Questo disco, come si vede dalla copertina, non è per stomaci deboli. Niente di particolarmente “depressivo”, però non si parla di gaudio e felicità. Musicalmente d'alto livello, così come le parti strumentali e vocali, lascia a desiderare solamente in quanto a varietà dei toni, ma risulta comunque un'interessante traduzione di sentimenti ed esperienze personali in musica, come si tenta sempre di fare quando sei un artista e ti muore un parente o ti lascia la ragazza. Ci dispiace per te Gustaf, ma se per fare un bel disco deve succederti una disgrazia, (sperando almeno non sia la rivelazione di una malattia mortale) qualche volta te le manderemo buone. 
Voto: 7.5 

lunedì 15 febbraio 2010

Untied States - Instant Everything, Constant Nothing (Distile Records, 2010)


Non succedeva da tempo. Gli anni zero sono stati veramente sovraffollati in quanto a revival, rielaborazioni, rivisitazioni. La new wave, il post punk, il post rock, generi che hanno veramente visto ogni sviluppo in questo decennio lasciando ancora poco da sentire. Ed è proprio in quel miscuglio di post-punk e noise che sono i Jesus Lizard, o di post-hardcore e punk rock che sono i Fugazi che trova più o meno tutto il suo terreno ideale la musica degli Untied States, che si propaga partendo dai dettami di queste band (ma anche degli Wire volendo) per attraversarne tutti gli stereotipi ed arrivare, se possibile, a conclusioni diverse. Come si dice, stessa partenza, diversa destinazione.
L'apertura del disco è affidata ad una combo puramente garage/post-punk, con i distorti graffianti aiutati anche dalla produzione molto casereccia (che in certe tracce troveremo più pulita, in realtà), e i ritmi tipici di questo genere. Gli aficionados del genere non si stupiranno, ma è comunque una partenza bruciante, quella appunto di Gorilla The Bull e Not Fences, Mere Masks. Noise e new wave per pezzi come il terzo, in ordine, Unsilvered Mirrors (i ragazzi ascoltano di sicuro i The Buzzcocks) e la prevalentemente rumoristica Wrestling With Entropy in the Rehabbed Factory, il cui cantato quasi sommerso da rumori che sembrano di fabbrica ci ricorderà la scia interminabile di band inglesi dell'ultimo secolo. E Grey Tangerines non è da meno, lasciando pure spazio a dei sintetizzatori che fanno raggiungere l'apice massimo dell'orecchiabilità al disco proprio in questo punto. Se si osa una base post-rock/noise alla “primi Sonic Youth” in Bye Bye Bi-Polar, stiamo però tralasciando quella gran bella cavalcata che è Take Time For Always, sebbene troppo stratificata in quanto a suoni, anche se i fan dei già citati Jesus Lizard ringrazieranno di certo.
Delusions Are Grander, pure quella, stupisce. Elettronica a spezzare/calmare momenti di panico urlato, e siamo veramente all'apice del disco. Solo pensare a come può rendere bene un disco così live può dare le vertigini. Gli ultimi due pezzi chiudono il disco in maniera piuttosto pop (rispetto al resto, sia chiaro), andando a toccare quel tasto dolente della musica d'imitazione tipicamente new wave, anche se si introducono dei rumori propriamente noise che ci ricordano che gli Untied States fanno sul serio. Più radio-friendly rispetto alla media del disco (ma neanche troppo) sono infatti Kowtow Great Equalizer, in chiusura, e la penultima Holding Up Walls, che mette in pratica quel tesoro di piccoli cliché che sta facendo la fortuna di molti negli ultimi quindici anni. Formula che funziona? Perché abbandonarla. Ma non è certo una colpa.
Come musicisti questi Untied States meritano certo più di qualche lode. Passaggi di tempo non sempre scontati, scelta dei suoni notevole anche per la varietà degli stessi. Un miscuglio di generi reso più omogeneo da una produzione sporca quanto basta per farti capire quanto apprezzano quelle band da cui prendono a piene mani. Se forse si potesse rielaborare ancora di più questo materiale, avremo tra le mani un vero e proprio germe su cui far crescere un virus che si chiama “novità”. Ma non sbagliamoci, gli Untied States non stanno rinnovando nulla. Resta inteso che questo è un gran disco e che prenderà molto tutti i fan delle band sopracitate e anche chi non griderà al miracolo dirà “beh...questi spaccano il culo”.
Commenti di disappunto attesi. Ma qui, si, sono piaciuti. 
Voto: 8 

domenica 14 febbraio 2010

Andrea Carboni/Yeah Yeah Yeahs/I Melt

In questo post trovate un nuovo formato che probabilmente verrà ripreso su questo blog in futuro. Una tripla recensione che ne contiene in realtà tre: sono piccoli sprazzi di opinionismo musicale che pretendono di dare una giusta rappresentazione del contenuto di un disco in poche parole. Trafiletti come conviene di solito ai giornali di settore. Insomma, leggete e basta. 


ANDREA CARBONI - LA TERAPIA DEI SOGNI (voto 8/10)
Il disco di Andrea Carboni bagna di drammaticità il “ringiovanito” panorama del cantautorato underground italiano, con venature che si sporcano di Benvegnù e un po di De André, non lasciando in disparte neanche il pop ed il folk di tradizione non solo italiana (comunque rimanendo nell'area mediterranea). Perle come “Fingi” e “Livido” non potete lasciarvele scappare, figuratevi se poi arrivano anche quelle bombe strumentali (“Magici Mondi”) come neanche i Giardini di Mirò ne hanno proposte ultimamente, capiamo che qui si parla di roba seria. Un pensierino ce lo dovete fare.


I MELT - IL NOSTRO CUORE A PEZZI (voto 7.5/10)
I Melt, trio vicentino attivo ormai da quasi vent'anni, spara un disco di assoluta freschezza e diretto ad un pubblico prevalentemente giovane. Testi quasi (forse) nonsense ma di buon impatto, musica tendenzialmente orecchiabile, qualche inno ("filo interdentale per le pieghe del mio essere"), voglia di spaccare. Un album da ascoltare senza pretese e da digerire in un paio di riprese, magari non tralasciando le ballate come La Bella Bambina (che ricorda da vicino le opere anni novanta dei Tre Allegri Ragazzi Morti) e la simpatica Varano di Komodo. Una chance, o più. Bel disco.


YEAH YEAH YEAHS - IT'S BLITZ! (voto 7.5/10)
Alcuni li vorrebbero una band cult, per altri lo sono già. Una band rivoluzionaria per la scena art punk (ma fanculo le definizioni...), che ha dato tanto in pochi dischi, tramite la figura eccentrica e assolutamente imprescindibile della cantante Karen O, che anche in questo disco affronta una rielaborazione del sound in senso più pop/elettronico senza mai cedere nel banale o nel commerciale. Un lavoro, in sintesi, a passo coi tempi, senza sbavature, completo, con una sua anima. Scossoni continui da parte di questi ragazzi, che non smettono di stupire. Canzoni consigliate? Tutte. Ascoltatelo.

sabato 13 febbraio 2010

Intervista ai KOBAYASHI

Intervista scritta per INDIE FOR BUNNIES

L’interesse dimostrato dagli ambienti dell’indie nei confronti del progetto Kobayashi è stato notevole ma veramente scarso commisurato alla qualità della musica proposta. Un’opera, secondo il sottoscritto, piena di novità da scoprire ogni volta che si decide di risentirla, riscoprirla, riviaggiarla. Un’accozzaglia ordinata di idee, come non sempre accade in questo genere, che stupisce anche chi non se ne “intende” di musica un po’ più lontana dai soliti cliché del mainstream.
Con questa intervista si perlustrano un po’ le idee e i modus operandi di uno dei progetti più interessanti degli ultimi anni. A voi le domande e relative risposte

Salve a tutti. Ho avuto il piacere di recensire il vostro disco e sono rimasto piacevolmente colpito. Innanzitutto perch・un titolo come “In Absentia”? 
Salve a te Emanuele, e innanzitutto grazie per questo spazio!
Come già saprai le musiche di questo disco sono nate per sonorizzare un’opera di Antonello Pelliccia intitolata “IN ABSENTIA hortus conclusus”, che abbiamo presentato all’ultima edizione della Biennale di Venezia. Da quì quindi è stato logico dare il titolo “In Absentia” al disco.

Nel disco ci sono veramente tantissimi strumenti oltre ai più consueti basso, chitarra e batteria. Da cosa nasce questa voglia di sperimentare con glockenspiel, theremin, vocoder etc..? 
Innanzitutto è divertente approciarsi a strumenti differenti anche senza eccezionali competenze tecniche, e poi sicuramente nasce dal fatto di considerare ogni strumento principalmente come mezzo espressivo, da scegliere e utilizzare quindi per raggiungere un certo fine.

Un album come “In Absentia” presenta una band molto esperta, che probabilmente ascolta molta musica. Confermate la previsione? La domanda che sovviene qui e’ quasi ovvia: quasi sono le vostre influenze, al di là di quelle che i recensori vari individuano nella vostra musica (che come molto spesso accade saranno perlopiù sbagliate, eheh…)? 
Si, spesso chi recensisce tende sempre ad accostare. Le influenze sono le più varie, e non vengono per scelta ma fanno parte di un percorso di ascolti e di interessi non solo musicali ma legati anche ad altre forme d’arte e non. Per quanto riguarda me stesso fondamentale in questo periodo è stato sicuramente l’interesse per la musica elettronica e la musica minimale, e principalmente di tutti quei musicisti che in Germania nei primi anni 70 hanno fatto parte del movimento ‘cosmico’ e che hanno contribuito a far incontrare totalmente l’avanguardia e il rock. Al di là di tutto gli interessi sono i più diversi e in continua evoluzione, dalla new wave, al jazz alla musica sinfonica, maturati comunque da radici rock.

Com’e’ la vostra attivita’ live? Dei pezzi così devono suonare in modo molto particolare.. 
Suonare dal vivo è fondamentalmente il nostro principale interesse, e suonare “In Absentia” ci da grandi soddisfazioni, primo perchè è molto divertente per noi da mettere in scena con tutti i nostri strumenti, e poi perchè il pubblico reagisce molto bene, nonostante sia un disco musicale e non di canzoni..forse nell’ambito della musica popolare e rock si è persa l’abitudine a fare e ascoltare dischi di questo tipo, così per molta gente può darsi che suoni un pò come una novità.

Come siete abituati a comporre i vostri brani? Partite da un’idea o un concetto, o improvvisate per ottenere un risultato da lavorare ulteriormente in un secondo momento?
Fino ad ora le nostre composizioni sono nate sempre per improvvisazione, suonando insieme senza limitazioni. “In Absentia” specialmente è nato per improvvisazione, ed è stato in gran parte improvvisato anche alla Biennale a Venezia; poi quando abbiamo deciso di registrare il materiale in studio allora molte cose le abbiamo meglio strutturate e arrangiate in sede di registrazione, anche grazie al nostro fonico e coproduttore Edoardo Magoni con il quale abbiamo realizzato il disco.

Qualche indiscrezione su eventuali progetti futuri? Che linea intendete seguire? 
…per il futuro, oltre a suonare e portare “In Absentia” in giro per l’Italia, c’è la voglia di comporre presto nuovo materiale per un prossimo album.. Sicuramente la realizzazione di “In Absentia” ci ha fatto crescere e l’ottima intesa che abbiamo instaurato con Edoardo Magoni gioverà sicuramente per i progetti futuri, che chissà quale piega prenderanno…

E infine una domanda che e’ quasi un cliche’ ma che magari vi sembrera’ un po’ fuori luogo dopo le altre che ho fatto. Qual’ è l’esperienza che ricordate più volentieri del vostro percorso musicale? Un concerto, un episodio, un’intervista. Cosa?
Mah, menzionarne una è difficile perchè durante il nostro percorso abbiamo incontrato situazioni e persone veramente belle che ringrazieremo sempre.. sicuramente la rappresentazione alla Biennale è stata un qualcosa di molto particolare da ricordare, non solo per l’opera in sè ma anche per il divertimento e i molti problemi nei quali ci siamo imbattuti in quei giorni, che ti assicuro sono stati un’avventura!

Un saluto da Brizzante “Brizz” Emanuele!
Un saluto a te e al tuo staff dai Kobayashi e grazie di tutto!

venerdì 12 febbraio 2010

AAVV - Il Mondo del Primo Maggio ( Pri1mata/Associazione 1° Maggio. 2009) - DVD

Nel 2009, a un certo punto, l'Associazione Primo Maggio, assieme a Pr1mata, ha deciso di far uscire un cofanetto contenente materiale estratto dalla giornata del Primo Maggio 2009. L'evento in sé, ovviamente, è il celeberrimo festival che si tiene ormai da tantissimi anni in Piazza San Giovanni a Roma in occasione della Festa dei Lavoratori. Gli organizzatori li sapete no? Cgil, Cisl e Uil, trasmesso dalla Rai. 
Questo pacchetto, venduto al modico prezzo di 19.90 € (con ricavato devoluto per l'istituzione di borse di studio per orfani dei morti sul lavoro), contiene un libro, 2 DVD e un CD. Piatto ricco mi ci ficco, direbbero alcuni. In dettaglio: il libro contiene racconti, poesie e citazioni di persone vicine fisicamente o spiritualmente all'ideale del Primo Maggio. Si parla di lavoro, di emozioni collegate al concerto, di vita. Nel CD un estratto delle performance live degli artisti che hanno partecipato alla giornata, così come nei DVD, dove troviamo appunto alcuni stralci del concerto.

Ora viene la parte critica. La setlist dei DVD e del CD, a dire il vero, è piuttosto discutibile, nonostante una confezione attraente e ben fatta, così come la grafica dei due supporti video. All'interno del primo DVD una o due canzoni di tutti gli artisti che hanno partecipato, sui quali spiccano per qualità dell'esibizione Afterhours, Caparezza, PFM e Edoardo Bennato. Memorabili anche le esibizioni della superband "Il Paese E' Reale" (artisti "underground", come li ha voluti Manuel Agnelli nella sua celebre compilation, cioè Dente, Roberto Angelini, Cesare Basile, Paolo Benvegnù, Beatrice Antolini e Roberto dell'Era), di cui è inclusa la performance del brano La Spesa (originale dei, anche loro, presenti Marta Sui Tubi). Peccato per l'assenza di almeno un pezzo eseguito dalla superband Agnelli/Godano/Romano, trittico perfetto per coronare l'atmosfera del Primo Maggio. Di per sé una buona selezione, continuata nel secondo disco con, in evidenza, Bud Spencer Blues Explosion (la nota cover di Hey Boy Hey Girl dei Chemical Brothers) e Diva Scarlet. Nel secondo DVD anche gli interventi di Epifani, Bonanni e Angeletti (direttamente dai sindacati che presiedono), la conferenza stampa, servizi sull'ospite "d'eccezione" (purtroppo) Vasco Rossi e interviste al pubblico. Il disco contiene le tracce audio di tredici degli artisti pubblicati anche su DVD, e la cosa che delude è di per sé l'inclusione delle "stesse" canzoni, che annacqua un po' l'appetibilità del pacchetto. Anche la quantità di materiale inclusa nei DVD delude, poiché si sarebbero potute inserire più performance, di cui alcune intere (anche se effettivamente potrebbero esserci motivi di copyright o di rapporti con case discografiche per questa scelta), senza ridurre troppo la qualità ne del video e senza togliere spazio ai comunque inutili video degli interventi di personaggi politici e del backstage. Alla fine un fan della giornata compra un disco come questo per la musica o per ricordo, se c'è stato. 


In ogni caso un ottimo modo di ricordare una giornata a suo modo memorabile (come ogni anno), seppur parzialmente compromessa dal set di Vasco Rossi, musicalmente buono ma troppo lungo (che ha in questo modo interrotto una tradizione che da sempre si ripete al Primo Maggio, cioè l'equa spartizione del tempo tra i musicisti), e che ha anche rovinato le performance delle band di tutta la kermesse a causa dei fan troppo "invadenti" che hanno fischiato praticamente tutti, compresi mostri sacri come la PFM e band storiche dell'evento come Bandabardò e Cisco, ex frontman dei Modena City Ramblers. Insomma, si spera che non vengano commessi di nuovo errori simili, ma già si parla di Ligabue all'edizione 2010. Chiuderemo un occhio. Ma che sia l'ultima...


Rapporto Qualità Prezzo: 7.5
Voto: 7

giovedì 11 febbraio 2010

Eddie Jobson/Zinc - The Green Album (Capitol/EMI, 1983)


Eddie Jobson, tecnicamente, è sicuramente uno dei migliori musicisti della scena musicale. Dopo aver suonato per molto tempo con numerosi artisti, tra i quali ricordiamo Curved Air, Roxy Music, Frank Zappa, un cameo nei King Crimson, UK e Jethro Tull, Jobson si decide finalmente a pubblicare un disco a nome suo (sebbene molta della musica degli UK fosse frutto della sua penna).
Jobson, ovviamente, è quello che risalta di più sul disco: oltre a suonare, come al solito, il violino e le tastiere, questa volta decide anche di fare il grande passo e cantare da solista tutto l'album. Il risultato non è poi così male per uno che di solito non canta da solista, ma il suo tono di voce è abbastanza monocorde. Gli altri musicisti sono tenuti abbastanza in disparte: qualche buon intervento di chitarra qua, qualche fill interessante di batteria là, un buon lavoro di basso dapperttutto, ma niente che stia in primo piano. Una piccola curiosità: tra i musicisti di quest'album compare anche Gary Green (e poteva forse mancare con un nome così?), leggendario chitarrista dei Gentle Giant.
La musica qua presentata è abbastanza strana. Le matrici sono principalmente prog, ma infuse con qualche elemento di new wave. E' innegabile la genialità di un brano come "Resident", brano molto evocativo, con un intro molto atmosferico, una buona sezione centrale e una strofa molto accattivante, così come non si può restare indifferenti al trittico "Prelude", "Nostalgia" e "Walking from Pastel".
Il resto del disco è composto da brani di buona caratura, non eccezionali, ma ben lontani dalla mediocrità, tra i quali ricordiamo l'accattivante "Green Face", la ruffiana "Easy for You to Say", la complessa "Through the Glass" e "Transporter", breve strumentale per synth che apre e chiude l'album.
In definitiva è un album costruito intelligentemente, la cui musica non è certo particolarmente brillante, ma nemmeno disgustosa, e sicuramente interessante. Se l'acquistate non farete certo il peggior affare della vostra vita!

Voto: 7.5

mercoledì 10 febbraio 2010

Le Vibrazioni - Le Strade del Tempo (Sony Music, 2010)


Che dire del quarto disco delle Vibrazioni? Dopo l'invidiabile tentativo di uscire dalla rotta potenzialmente pop dei primi due dischi correggendosi con un ottimo terzo lavoro, Officine Meccaniche, aggiustano definitivamente il tiro scegliendo la strada a loro più confacente. Perlomeno sul piano probabile. Quella della musica tendenzialmente commerciale, orecchiabile, semplice da digerire e mantenendo comunque dei tratti distintivi per non macchiarsi dell'atroce delitto che sembra essere oggi “snobbare i fan”. In effetti le chiare influenze dei Led Zeppelin e dell'hard rock anni '70 che negli altri lavori si manifestavano apertamente stanno scomparendo, lasciando una venatura più psichedelica (anche questa presagita dal lavoro precedente) che si rifà maggiormente alla tradizione pinkfloydiana (e derivati), con canzoni più lente e meno incentrate sulla presenza dell'elemento singolo.
La prima impressione che dà questo disco è quella di un prodotto confezionato alla svelta. Calma, non è un difetto. E' solo un'impressione e in effetti ascoltandolo con maggior attenzione ci si accorge che è probabilmente un'inflessione voluta, tesa appunto a quella resa pop che fa parte ormai del progetto Vibrazioni (diciamo più un tentativo di alleggerire il carico più possibile, per produrre brani più diretti e meno carichi di elementi che deviano dal filo della melodia principale). L'album è comunque prodotto molto bene, sia come qualità dei suoni che come songwriting, e mantiene intatta anche la vena radiofonica della band. La prima traccia, Va Così, ne é la manifestazione più evidente: ritornello che ti insegue nella mente, melodie di base difficili da scordare, una struttura piuttosto semplice. E' la formula che ha sempre funzionato e in questo disco non fa eccezione. Lo risentiamo in Parlo Col Vento, nonostante il primo impatto sia quello di una canzone insapore, magari anche per un testo piuttosto scontato e che lascia poche speranze di un'interpretazione logica, visto lo snodarsi dei versi stessi, e poi in Senza Indugio, un trittico peraltro ordinato su disco proprio come su questa recensione, questa più vicina alle sonorità dei primi dischi (forse per questo sarà più apprezzato dai vecchi fan rispetto ai brani già citati e ad alcuni a seguire), con un ritornello che tributa più ai loro canoni rock . L'irrompere del nuovo ingrediente, la psichedelia, arriva col primo singolo estratto, Respiro, a primo approccio deludente ma che se digerita con calma sa coinvolgere, grazie ad un'intensità resa vivida anche dalla malinconia che la canzone stessa suggerisce, e Ridono gli Dei, dalla trama più complessa ma non certo tra i brani più originali del disco. E poi incontriamo la title track Le Strade del Tempo, con un beat quasi ballabile, che prosegue tramite suoni di basso simil-sintetizzati anche nella successiva Oggi No, molto più azzeccata, con un refrain forse tra i più belli del disco. Ingresso melodico in stile “Ovunque Andrò” per Malìe, prima di un crescendo che porta la canzone ad un inedito confronto con alcuni archi che la paragonano ancor più da vicino all'esecuzione sanremese del singolo appena menzionato, sorprendentemente definibile “la novità” del disco.

Il quarto lavoro della band capitanata da Francesco Sarcina si classifica tranquillamente come un buon lavoro, a metà tra una reinterpretazione del loro vecchio repertorio e un parzialmente riuscito tentativo di innovarsi, con uno sguardo teso al futuro senza slegarsi da quelli che sono ormai i loro collaudati marchi di fabbrica. Nota negativa solo per i testi di Sarcina che funzionano dal punto di vista melodico ma che come impianto narrativo e significato stesso lasciano un po' a desiderare. C'è chi queste cose non le nota, e forse non ce n'è sempre bisogno, ma a volte si raggiungono risultati piuttosto “simpatici” (negativamente) in questo disco, dove parole ricorrenti come “tempo”, “mare” e “vento” (forse l'unico filo comune nelle liriche) risultano talmente onnipresenti da annacquare un po' quel collante perlomeno estetico che un testo deve avere. Musicalmente niente da dire, hanno sempre suonato bene e nulla è cambiato da quando hanno debuttato con l'ottimo “I”. Non resta che aspettare le performance live di questi interessanti brani e i risvolti futuri della carriera delle Vibrazioni.
Voto: 7.5

martedì 9 febbraio 2010

Wora Wora Washington Live @ Etnoblog, Trieste 06/02/2010


A me questi sono piaciuti. Sinceramente. Un recensore non deve parlare in prima persona? Chi se ne frega. Io lo faccio. Soprattutto se al piccolo ed intimo Etnoblog di Trieste è salito sul palco, a un certo punto, un trio di Mestre (VE) dall'impatto sul pubblico, devo dire, notevole. E soprattutto visto che tra il pubblico c'ero anch'io.

I Wora Wora Washington, in giro da qualche anno ormai, stanno portando le loro performance dance/electro-punk (mannaggia alle definizioni troppo contorte e alla scarsità di parole italiane per definire i generi musicali) in giro per il Nord Italia. E si spera non solo. Accoglienza iniziale non proprio calorosa ma che aumenta con il continuare del breve ma intenso set, dove propongono due volte (a grande richiesta anche come bis finale) la bella e potente Drum Machine, con un incipit di synth piuttosto, come dire, "catchy". Un bel modo di accogliere poco meno di cento (spero di non esagerare con le cifre) triestini, affezionati a generi di stampo ballabile come quello proposto dai veneti. Le distorsioni roboanti e i ritmi di batteria piuttosto indiavolati dei Wora Wora Washington si sono fatti sentire, purtroppo, per poco meno di un'ora, ma le hanno suonate a tutti. Vuoi per le urla WORA WORA WASHINGTOOOOOOOOON, vuoi per le canzoni particolarmente coinvolgenti in concerto, di sicuro questo set non ha mandato a casa insoddisfatto (e con l'udito intatto) nessuno. Nota di demerito per il locale forse un po' inadatto ai volumi "da concerto", ma con un'acustica passabile rispetto ad altre situazioni analoghe che si possono riscontare sempre nel Triveneto.

Magari ce ne fossero di band così in giro per l'Italia. A voi/noi lo auguriamo, ma non a loro. Lo sappiamo che odiate la concorrenza, suvvia.

Vi consigliamo a questo pro anche le prossime date dei ragazzi:
12.02 SCALO SAN DONATO - BOLOGNA
13.02 NEW AGE CLUB - RONCADE (TV)
26.02 BAR SARTEA - VICENZA
12.03 NERDS ATTACK PARTY - ROMA
27.03 BANALE - PADOVA

lunedì 8 febbraio 2010

Ministri e Heike Has The Giggles live @ Covo, Bologna, 12/12/09


Quando ho visto la prima volta questi ragazzi mi trovavo proprio al Covo, solo 9 mesi fa (Marzo 2009). Era una band molto meno conosciuta, e molto diversa sul palco, sebbene la scaletta non sia cambiata di molto. L'attitudine sempre molto punk rock nel proporre un genere in realtà difficilmente etichettabile così, li rende una band da godere più in live che su disco, complice una carica notevole che fa da perfetto contraltare alle carenze tecniche in passato denunciate da molti ai concerti. Ma dopo centinaia di date si può parlare tutto fuorché di errori.
Lasciando perdere le esagerazioni di Federico alla chitarra e di Michele alla batteria, nelle parti improvvisate come i finali dei pezzi o la conclusiva Abituarsi alla Fine, che a volte sfiorano il ridicolo, tecnicamente parlando, il gruppo è migliorato davvero tanto. Meno stonature per Divi, meno note fuori tonalità per Federico, un distorto più pulito e preciso, un suono più curato. Anche la scaletta di questo “In Mille Pezzi Tour” sembra funzionare molto meglio, costruita con più cura forse per suggellare definitivamente un grandissimo anno per una delle realtà che si sta consolidando più forte, anche se ci si chiede quanti altri fan possano conquistare continuando con questo genere che in Italia quasi nessuno prende in considerazione. Certo, se i fan sono tutti come i ragazzi che li seguono, facendosi centinaia di chilometri neanche fossero gli U2, bastano e avanzano per consolidare lo status di band italiana dell'anno, almeno per quanto riguarda il lunghissimo, estenuante e riuscito tour.
La scaletta, che trovate sotto, abbraccia tutte e tre le uscite discografiche dei Ministri (il primo disco, ristampato da poco, il secondo Tempi Bui e l'EP La Piazza), tra i cori del pubblico che sempre al Covo nove mesi fa non conosceva una parola. Anche il pogo è devastante, soprattutto in un locale piccolo come questo (dove peraltro anche l'acustica non brilla per la sua qualità), nelle canzoni più potenti come Il Camino de Santiago, Diritto al Tetto (la migliore della serata) e I Nostri Uomini ti Vedono, che suona bene spostata ad inizio scaletta. C'è spazio anche per la nuova versione de Il Bel Canto, i singoli dell'ultimo disco (tutti e quattro, compresa la lenta E Se Poi si Spegne Tutto) e tre pezzi su quattro dell'EP, tra cui la richiestissima Fari Spenti in apertura di concerto.
Da notare come il “quarto ministro” F Punto abbia trovato (o gli abbiano fatto trovare...) una dimensione finalmente personale, suonando la chitarra “per davvero” per tutto il concerto, lasciando stare sintetizzatori e tastierine che servivano, facendo due conti, solo a far partire qualche base.
Tenendo conto della crescita della band e del tempo che ci hanno messo non si possono che esternare i più sentiti complimenti, restando solo attenti a non esagerare con gli apprezzamenti perché si tratta pur sempre di una band nella media sia tecnicamente che a livello compositivo, anche se per chi ascolta questo genere è quasi impossibile non coinvolgersi e non uscire contenti da un concerto di questo tipo. E se volete pogare, ora, potete. Questi sono i Ministri, alla fine del millenovecentotrentanove.

Nota finale: ad aprire il set dei Ministri c'erano i bolognesi Heike has the Giggles, che propongono un rock veloce, ballabile, di stampo British, molto azzeccato. Il debut album è stato recensito su questo blog e potete aprire la recensione cliccando sul nome della band.

SETLIST:
FARI SPENTI
LA FACCIA DI BRIATORE
I NOSTRI UOMINI TI VEDONO
NON MI CONVIENE PUNTARE IN ALTO
BEVO
LE MIE NOTTI SONO MIGLIORI DEI VOSTRI GIORNI
I SOLDI SONO FINITI
IL BEL CANTO
IL CAMINO DE SANTIAGO
TEMPI BUI
E SE POI SI SPEGNE TUTTO
LA MIA GIORNATA CHE TACE
LA PIAZZA
DIRITTO AL TETTO
BERLINO 3
ABITUARSI ALLA FINE