Doveva stare piuttosto male quel giorno in cui la ragazza lo ha piantato a Londra. La “sua città” (dove si era trasferito da Malmo, la vera città natale). Se ha fatto uno dei dischi più retrò-malinconici degli ultimi due anni, per Gustaf Kjellvander dev'essere stata quantomeno una doccia fredda. In ogni caso il prodotto è stato notevole: un emozionato songwriting produce quasi sempre un risultato perlomeno valido per chi può condividere quello stato d'animo, ma qui non c'è solo questo.
Pop d'autore, volutamente anacronistico, che contempla il passato di band come The Byrds pur non distaccandosi da scelte indie rock più confacenti alla Gran Bretagna dei giorni nostri. C'è tensione nella seconda metà di “Friday On My Knees”, dopo Friday I'm In Love dei Cure, forse un riferimento vero e proprio alla sua storia. Autobiografie a parte, i testi sofferti e interpretati in maniera magistrale da Gustaf rendono questo disco una vera e propria perla: complice la sua voce impostata abbastanza da sembrare Smith degli Editors ma meno “piena” (in realtà canzoni come “For Those Who Dream With Open Eyes” e “I'm Sorry” qualche tono new wave ce l'hanno pure), giusta per non stonare su certe canzoni più old-style come “Dolophine Smile”, la title-track, o “The Teenage Order”, dal sapore cantautorale, seppur inquadrate in un contesto più rock. La sofferenza più grande con la voce arriva dall'interpretazione di “Looking for Your Love”, supportata anche da archi sintetizzati di grande impatto.
Questo disco, come si vede dalla copertina, non è per stomaci deboli. Niente di particolarmente “depressivo”, però non si parla di gaudio e felicità. Musicalmente d'alto livello, così come le parti strumentali e vocali, lascia a desiderare solamente in quanto a varietà dei toni, ma risulta comunque un'interessante traduzione di sentimenti ed esperienze personali in musica, come si tenta sempre di fare quando sei un artista e ti muore un parente o ti lascia la ragazza. Ci dispiace per te Gustaf, ma se per fare un bel disco deve succederti una disgrazia, (sperando almeno non sia la rivelazione di una malattia mortale) qualche volta te le manderemo buone.
Voto: 7.5
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