lunedì 15 febbraio 2010

Untied States - Instant Everything, Constant Nothing (Distile Records, 2010)


Non succedeva da tempo. Gli anni zero sono stati veramente sovraffollati in quanto a revival, rielaborazioni, rivisitazioni. La new wave, il post punk, il post rock, generi che hanno veramente visto ogni sviluppo in questo decennio lasciando ancora poco da sentire. Ed è proprio in quel miscuglio di post-punk e noise che sono i Jesus Lizard, o di post-hardcore e punk rock che sono i Fugazi che trova più o meno tutto il suo terreno ideale la musica degli Untied States, che si propaga partendo dai dettami di queste band (ma anche degli Wire volendo) per attraversarne tutti gli stereotipi ed arrivare, se possibile, a conclusioni diverse. Come si dice, stessa partenza, diversa destinazione.
L'apertura del disco è affidata ad una combo puramente garage/post-punk, con i distorti graffianti aiutati anche dalla produzione molto casereccia (che in certe tracce troveremo più pulita, in realtà), e i ritmi tipici di questo genere. Gli aficionados del genere non si stupiranno, ma è comunque una partenza bruciante, quella appunto di Gorilla The Bull e Not Fences, Mere Masks. Noise e new wave per pezzi come il terzo, in ordine, Unsilvered Mirrors (i ragazzi ascoltano di sicuro i The Buzzcocks) e la prevalentemente rumoristica Wrestling With Entropy in the Rehabbed Factory, il cui cantato quasi sommerso da rumori che sembrano di fabbrica ci ricorderà la scia interminabile di band inglesi dell'ultimo secolo. E Grey Tangerines non è da meno, lasciando pure spazio a dei sintetizzatori che fanno raggiungere l'apice massimo dell'orecchiabilità al disco proprio in questo punto. Se si osa una base post-rock/noise alla “primi Sonic Youth” in Bye Bye Bi-Polar, stiamo però tralasciando quella gran bella cavalcata che è Take Time For Always, sebbene troppo stratificata in quanto a suoni, anche se i fan dei già citati Jesus Lizard ringrazieranno di certo.
Delusions Are Grander, pure quella, stupisce. Elettronica a spezzare/calmare momenti di panico urlato, e siamo veramente all'apice del disco. Solo pensare a come può rendere bene un disco così live può dare le vertigini. Gli ultimi due pezzi chiudono il disco in maniera piuttosto pop (rispetto al resto, sia chiaro), andando a toccare quel tasto dolente della musica d'imitazione tipicamente new wave, anche se si introducono dei rumori propriamente noise che ci ricordano che gli Untied States fanno sul serio. Più radio-friendly rispetto alla media del disco (ma neanche troppo) sono infatti Kowtow Great Equalizer, in chiusura, e la penultima Holding Up Walls, che mette in pratica quel tesoro di piccoli cliché che sta facendo la fortuna di molti negli ultimi quindici anni. Formula che funziona? Perché abbandonarla. Ma non è certo una colpa.
Come musicisti questi Untied States meritano certo più di qualche lode. Passaggi di tempo non sempre scontati, scelta dei suoni notevole anche per la varietà degli stessi. Un miscuglio di generi reso più omogeneo da una produzione sporca quanto basta per farti capire quanto apprezzano quelle band da cui prendono a piene mani. Se forse si potesse rielaborare ancora di più questo materiale, avremo tra le mani un vero e proprio germe su cui far crescere un virus che si chiama “novità”. Ma non sbagliamoci, gli Untied States non stanno rinnovando nulla. Resta inteso che questo è un gran disco e che prenderà molto tutti i fan delle band sopracitate e anche chi non griderà al miracolo dirà “beh...questi spaccano il culo”.
Commenti di disappunto attesi. Ma qui, si, sono piaciuti. 
Voto: 8 

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