Tracklist:
1. Elezioni a Little Garden
2. Comizio all'Italiana
3. Tutti al Ministero
4. Una Storia Disonesta
5. La Cospirazion
6. Ponte Si Ponte Boh?
7. Tempi Moderni
8. Da Domani Smetto
9. Il Paese Mio
10. Si Maritau Rosa
Io per fare questa recensione vorrei quasi scatenare una guerra tra webzine, sfidando Rockit a dirmi perché hanno praticamente stroncato il disco mediocremente paragonandolo ad un lavoro completamente diverso come Tempi Bui dei Ministri solo per le similitudini di nome della band e titolo dell'album. Sinceramente mi sembra riduttivo perché nonostante il genere proposto dai The Ministro non lasci tanto spazio ad originalità né ad evoluzioni che si possano davvero chiamare tali (ed esaminare come tali), la definizione di "più che dignitoso" gli si addice solo con un'accezione positiva, al contrario di quanto lì riportato. Speriamo che questo invito a prendere più sul serio la musica che esaminano sia ben accetto.
La band propone un disco simpatico, che saggiamente infila la via della "politica" schierandosi, in maniera più o meno aperta e più o meno dichiarata, con una parte che ultimamente non ha molto successo. Lo starter invece di sparare a salve colpisce, in questo caso, un paio di maratoneti, azzoppandoli: scusate la metafora, per chi vuole una spiegazione, trattasi di un disco che utilizza dei metodi abbastanza subdoli per mettere fuori gioco la concorrenza. Questa accozzaglia ben costruita di swing, reggae e blues, senza parlare degli esperimenti country che ne popolano più che altro gli angoli più remoti (quelli che fanno solo da sottobosco e che non si possono apprezzare nei primi due ascolti), si fregia infatti di un'estetica di facciata che gli permette di battere alla porta del nemico e mostrargli il dito medio senza neppure giustificarsi. Lo fa con l'artwork, coi titoli delle canzoni, con discutibili inserimenti di cover e testi provocatori, ma fino a un certo punto. O almeno io, in frasi come Mi rallegro se poi parte la briscola oppure Chiedo a un pescator: "il tempo come sarà?", mi risponde che ha visto su internet e peggiorerà", ci vedo dei cenni critici che gli giovano parecchio, anche se essenzialmente il valore letterario dei testi si abbassa di molto con alcune sviste d'italiano e pecche di lessico.
Fino a qui sembra che la band abbia pochi motivi di vantarsi di avere dato alle stampe questo Tempi Moderni, ma bando alle ciance, come potete evincere dalla prima sezione della recensione non è così: l'appeal di base del lavoro è essenzialmente commerciale, anche se approccia in maniera originale una corrente che trova la sua manifestazione più efficace nei club e nelle feste estive (molto più che su disco), ed è evidente la presenza di alcune scelte di sound che giocano questa carta in maniera costruttiva, vivace ed esauriente. Parlo di brani come "Comizio all'Italiana", per citarne uno. E un altro aspetto molto funzionale all'allontanare con discrezione le ombre è la presenza dei fiati di Antonio Valentino, che non a caso creano un'atmosfera piuttosto festosa, ricollegandoci all'argomento della frase precedente. Declinano il sound, in particolar modo, verso una direzione più ska che smorza le tonalità più cupe dei pochi riferimenti blues di cui è comunque costellato uniformemente.
E se sotto il sole ci mettono anche alcuni passaggi che dal punto di vista contenutistico ricordano il Gaber più acuto, non possiamo però accostarli a certe perle del cantautorato italiano, per la palese scarsezza di alcune critiche troppo bambinesche, anche se si apprezza sempre in maniera molto positiva la presenza di opinioni unite ad una buona dose di musica che non dimentica mai gli accenti autoreferenziali dell'essere siciliani, in un momento in cui sono la Toscana e le due isole a sfornare il maggior numero di band rivelazione. Sarà così anche per loro?
Voto: 6.5
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