mercoledì 10 novembre 2010
Philosophy of Watermelon - A Dirty Quickie (Antstreet Records, 2010)
Tracklist:
1. Friday Night
2. We Are Pow
3. Sex on Drugs
4. Brain Eater
5. Hello from Hell
6. T.D.T.F.
7. 666 Girl
8. I Wanna Be Your Slave
9. Cry Cry Cry (Johnny Cash)
10. Party Girl
Rock'n'roll, e lo dichiarano. Io devo dire che a volte trovo coraggiosa la scelta di fare ancora questo genere nel duemiladieci poiché morto e sepolto da una decina d'anni, nel continuo ripetersi di cliché che, diciamolo con pochi peli sulla lingua, hanno scassato il cazzo. Però, non hanno rotto a tutti, e quindi queste band trovano ancora una ragione di vivere, così come i punk e i metallari, per i quali vale lo stesso discorso.
A Dirty Quickie, lavoro piuttosto "quick", per richiamare anche il titolo, è un veloce lancio di palla dalla parte del punk/rock più banale ma vincente, quello che sa di già sentito ma non ha ancora esalato l'ultimo sospiro. Le dieci tracce che lo compongono sono corte e rapide al punto giusto, d'impatto ma nonostante questo piuttosto indolore (sarà per la scelta della formula tipica della costruzione punk che non lascia più il segno se non la vai ad ascoltare live con un impianto buono che ti spacchi le orecchie?). "Friday Night", come "666 Girl", come, per non tirarla per le lunghe, tutte le altre canzoni, sono costruite in un modo molto simile, che passa per i mostri sacri del rock'n'roll più sporco ad attingere anche nel mondo più recente dell'alternative punk (che brutta definizione!). Le limitazioni più evidenti sono quelle della stesura dei brani, che non hanno un'evoluzione particolarmente interessante né curata, e che si assomigliano un po' tutti. Certo ai punkettari e a chi ha voglia di pogare ai concerti non gliene frega niente, ma questo è un sito di recensioni quindi bisogna anche notare che gli accordi sono sempre gli stessi e le strutture non cambiano quasi mai. Social Distortion, ma prima Ramones, nel pentolone, insieme a qualcosa di più commerciale che però è risuonato con un sound molto più grezzo e ruvido (ecco, questo è un elemento che innalza le sorti del disco). E la cover di Johnny Cash è un altro dei buoni santi dell'album, mai pesante neanche dopo una decina di ascolti.
In generale, non c'è molto da dire poiché tutto quello che potete ascoltare in A Dirty Quickie l'avete sicuramente già sentito. Se poi vi basta la copertina per comprarlo, quando lo vedete su qualche scaffale non lasciatelo là, darete un grosso contributo alla musica indipendente trentina che, effettivamente, ha bisogno di una mano per uscire dalla nicchia in cui si trova.
Voto: 6.5
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