sabato 13 novembre 2010
Underground Railroad - Moving the Mountain (Alka/Shinseiki, 2010)
Tracklist:
1. Black Rain
2. Same Old Place
3. Riverside
4. Hard to Let Go
5. Chain Gang
6. Enlightenment
7. Drown
8. Part Time President
9. Rainstorm
10. A New Machine
11. Satisfied
12. Dirty Woman
Southern, molto southern. Sprechiamo parole a raffica per definire un disco del genere? No, non ne vale la pena. Attenzione, non stiamo dicendo che sia brutto, perché ci sono dei bei pezzi, però miei cari ragazzi è possibile avere del materiale originale nel duemiladieci?
Dispiace sempre iniziare con così poca effervescenza una recensione, però, come dicevano una volta, pane al pane, vino al vino. Gli Underground Railroad, emiliani, hanno già fatto della bella musica in passato e non hanno smesso con questa nuova bomba "sudista", anche se non politicamente (o senza dirlo). ZZ Top, Lynyrd Skynyrd, echi ledzeppeliniani, come altre persone già hanno notato. Influenze che rasentano comunque sempre l'hard rock, anche i più strazianti Guns'n'Roses, i lavori solisti di Slash, i Velvet Underground e perché no, gli Audioslave e i Deep Purple. Ci sarebbero cascate di band da citare, le band da cui sono influenzati, le band a cui assomigliano, ma ci limiteremo ad abbozzare una descrizione di quello che potete trovare Moving the Mountain.
Il genere l'avete capito, è quello. Niente di più, niente di meno. I brani, in realtà costruiti con una certa cura, sono tutti molto standard nell'assetto e nel songwriting, così come nella scelta dei suoni. Colpisce, negativamente, quello che si è appena detto, e positivamente invece la tendenza sempre piuttosto palese ad irrigidirsi dentro a schemi e preconcetti che prendono a piene mani dal panorama hard rock più classico, senza però "sporcarsi le mani" con il plagio. Questo significa, per forza di cose, che quel tipo di linguaggio viene catturato e in un blend molto più moderno ricompattato e reso al pubblico sotto una luce abbastanza personale, se vogliamo dare un merito alla band. Ogni canzone, di per sé, fornisce elementi importanti per capire scelte nel sound, scelte stilistiche, motivi e finalità della band. La voglia di fare del sano rock'n'roll che funzioni ancora.
Ed effettivamente ci riescono, senza pretendere troppo né da loro stessi (tecnicamente e per quanto riguarda i suoni selezionati per finire nella release definitiva che abbiamo tra le mani) né dagli ascoltatori. Sperando che esistano, perchè questo genere, feste di birra a parte, sta morendo e bisogna addentrarsi in qualche desertico stato degli USA meridionali per trovare chi lo apprezza ancora. In Alabama, forse, è dove gli Underground Railroad volevano nascere, ma l'Emilia non li porterà molto lontano, dove la birra si beve per dimenticare la nebbia e le delusioni politiche.
Punti a favore quindi la rielaborazione personale di quei cliché che hanno rotto le palle al mondo intero, il suono pulito e curato, gli assoli, levigati e non troppo sboroni.
A sfavore gioca la scelta del genere, da non imputare troppo alla band se comunque questi sono i loro gusti (ed è giusto che suonino quel che gli va di suonare), alcuni momenti troppo pesanti da digerire soprattutto negli ultimi due brani del disco ("Satisfied" e "Dirty Woman"), la strada già sbarrata che il mercato gli impone.
Ma senza questi punti contrari dove sarebbe lo sprone? Un disco che i fan del southern rock (e dell'hard rock) più tradizionali ameranno tantissimo, mentre gli altri rimarranno con la bava alla bocca sperando che ai concerti venga qualche donna a mostrare le tette stile backstage dei Motley Crue. Ma siamo in Italia, sveglia!
Voto: 6-
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