giovedì 25 novembre 2010
Stone Sour - Audio Secrecy (Roadrunner, 2010)
Tracklist:
1. Audio Secrecy (instrumental)
2. Mission Statement
3. Digital (Did You Tell)
4. Say You'll Haunt Me
5. Dying
6. Let's Be Honest
7. Unfinished
8. Hesitate
9. Nylon 6/6
10. Miracles
11. Pieces
12. The Bitter End
13. Imperfect
14. Threadbare
15. Hate Not Gone (bonus track della versione cd+dvd)
16. Anna (bonus track della versione cd+dvd)
17. Home Again (bonus track della versione cd+dvd)
18. Saturday Morning (bonus track su iTunes tedesco o nel pre-order americano)
Anni e anni sprecati a parlare di progetti paralleli e tradimenti. Dopo la morte di Paul Gray, Corey ha annunciato che forse gli Slipknot non torneranno mai più e il modo in cui tratta questo suo sedicente "side project" non fa sperare molto bene i fan degli ex-nove che, per alcuni motivi abbastanza comprensibili, spesso detestano questi Stone Sour.
Questa formazione parafighetta di Corey in realtà ha prodotto finora un paio di bei dischi e ha saputo spegnere le critiche coniugando ottime prove in studio con accattivanti ed energiche performance live che, soprattutto nei grandi festival estivi, hanno scaldato folle piuttosto numerose in attesa dei loro beniamini (vi ricorderete il loro concerto prima degli Iron Maiden all'Heineken Jammin Festival 2007, dove furono accolti in maniera formidabile).
Arrivati alla terza prova con il fiato sul collo saranno riusciti a mantenere fede agli standard qualitativi medi dei primi due lavori?
Effettivamente si, ci sono riusciti. Ciò che si ascolta in Audio Secrecy è un'altalena continua di alternative metal pesto e tagliente, dai toni caldi e volutamente iperdistorti, e una mistura di alt-rock e hard rock più freddo e "poppeggiante" che si abbandona tra le flebili braccia della melodia per provare a vendere qualche copia in più. Per capire meglio queste due categorie, rifatevi pure alle vecchie "30/30 150" e "Through Glass", che ben fanno capire le differenze. Con una produzione molto più curata e da chart, questo disco ricalca questo bivio del quale la formazione di Des Moines non riesce ad individuare il percorso corretto. E' abbastanza strano da dire ma questa volta sono stati i pezzi più calmi a suscitare più interesse, sia per il songwriting piuttosto limpido e deciso che li accompagna, sia per il modo in cui Corey Taylor li canta, appollaiato in maniera abbastanza indelicata sul suo trespolo da rockstar maledetta che si spoglia della maschera e dello screaming per fare anche qualche singolo strappalacrime. E' il caso di "Anna", "Dying", la title-track all'inizio e "Home Again" (anche se la migliore rimane "Hesitate", la più malinconica e sofferta dell'ensemble), tutte coordinate con un ritornello piuttosto melodico ed orecchiabile o comunque una costruzione che si pavoneggia del suo status di easy-listening. Ma c'è anche spazio per la strafottenza più alternative che sfuggiva dalle loro grinfie nei brani più aggressivi del primo disco, come accade in "Mission Statement" e in alcune sezioni del singolo "Say You'll Haunt Me", una scelta azzeccata da dare in pasto alle chart di Billboard e delle varie riviste più o meno specializzate. In questo brano in particolare si sente benissimo come la produzione di Raskulinecz accomuni i suoni del pulito delle chitarre in vari artisti con cui ha collaborato (in questo caso mi vengono in mente per primi i Coheed and Cambria e il loro Good Apollo, I'm Burning Star IV, Volume Two: No World For Tomorrow).
Dire se questo disco è brutto o meno non spetta certo al sottoscritto, poiché è chiaro che chi li ha sempre odiati non cambierà idea con un lavoro del genere. La verità è che nessuno di questi brani brilla né per originalità né per capacità di risultare penetrante ed influente, semmai ci si fa coraggio di traccia in traccia, mandando giù bocconi di "già sentito" che riescono però a sopprimere i desideri di stoppare il disco grazie all'efferato binomio aggressività-dolcezza che quasi come in un delizioso piatto agrodolce si mischiano con tutte le loro avversità, fondendosi in un tutt'uno che non distingue più alternative rock da alternative metal. E' il miracolo del Corey Taylor più commerciale, quello che se ne frega delle critiche e magari ha anche più di qualche interesse ad attirare le fighe ai concerti (anche perché il suo amico Root si è già accaparrato la Scabbia), riuscendo a tenere a galla una barca con qualche buco ("Nylon 6/6" o "Pieces") causato anche dall'eccessiva durata del disco. Ripeto, niente di nuovo ma un disco che riesce ad unire sponde neanche troppo distanti in una maniera tutta sua, senza nessuna pretesa.
Voto: 7-
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