domenica 11 maggio 2008

UK - Danger Money (E.G., 1979)

Il supergruppo "UK" si era formato appena un anno prima. La formazione per il primo disco era qualcosa di straordinario: John Wetton (basso, voce), Allan Holdsworth (chitarra), Eddie Jobson (tastiere, violino) e Bill Bruford (batteria).
Dopo il tour successivo alla incisione del primo disco, Bruford abbandona per proseguire la sua carriera solista, portando con se Holdsworth.
Wetton e Jobson decidono di non prendere un chitarrista e assoldano l'americano Terry Bozzio, una scelta fantastica.
Questa nuova line-up a tre registra il suo secondo (e ultimo) album in studio. Le traccie contenute in questo album, se vogliamo, sono più semplici rispetto ai lavori contenuti nel loro primo lavoro, ma non per questo risultano inferiori.
Anzi, a mio avviso questo disco è ancora meglio di "UK", e Bozzio è un batterista spettacolare.
La title-track apre il disco, e dopo un maestoso intro di batteria e sintetizzatore inizia il brano vero e proprio: un rock con ritmo irregolare e una splendida linea vocale. "Rendevous 6.02" uscì anche come 45 giri, ed è una splendida ballata, dominata dal sognante piano di Jobson.
"The Only Thing She Needs" ci ricorda le composizioni del primo album (infatti fu scritta durante il tour del medesimo), e ci offre una bellissima performance batteristica di Bozzio.
"Caesar's Palace Blues" è un tour de force di Jobson al violino, che riesce a sostituire egregiamente la chitarra, e "Nothing To Lose" è una cavalcata che rievoca perfettamente le immagini del testo ("I got to run for my life...").
Siamo arrivati alla sesta e ultima traccia, un capolavoro. Un brano di 12 minuti e 20 secondi. Un brano che se fosse stato scritto nei primi anni 70 sarebbe stato ricordato come un capolavoro del progressive. Sto parlando della bellissima, evocativa "Carrying No Cross": la storia di un soldato che si perde in un accampamento nemico e si rende conto di quanto sia inutile la guerra.
L'apertura è affidata ad un intro di sintetizzatori che termina bruscamente, per lasciare spazio ad una triste (ma non lagnosa) parte vocale. Tutto questo finisce dopo qualche minuto, e inizia un intricata parte centrale, che dimostra che gruppi come Dream Theater o Tool, per quanto bravi siano, non hanno inventato nulla di nuovo. Il brano infine termina con una reprise della parte vocale.
Un disco veramente eccellente, da avere!

Dopo di "Danger Money", la band pubblicò un ottimo live album registrato in Giappone, intitolato "Night After Night", nel quale erano presenti anche due inediti. Dopo qualche mese di tournée, gli UK pubblicarono un 45 giri (entrambi i brani inediti su CD): il lato A conteneva una versione ri-registrata di "In The Dead Of Night" e il lato B un brano di Wetton, intitolato "When Will You Realize".
Quest'ultimo brano era un po' troppo catchy per gli standard del gruppo e gli UK decisero di prendersi una pausa riflessiva. Purtroppo però ognuno prese una strada differente (Wetton formò gli Asia, Bozzio entrò nei Missing Persons e Jobson si aggregò ai Jethro Tull) e il progetto UK finì lì.
Nel 1997 si parlava di "Legacy", un album reunion che avrebbe dovuto avere tutti i membri degli UK (Bruford, Wetton, Bozzio, Jobson, Holdsworth) nonché musicisti come Jeff Beck e Tony Levin come ospiti, ma non se ne fece più nulla.
Attualmente Jobson sta registrando un nuovo progetto (intitolato "UKZ") che dovrebbe perseguire la strada originale degli UK, anche se lui è l'unico membro rimasto.

Voto: 8.5

mercoledì 7 maggio 2008

The Raconteurs - Consolers Of The Lonely (Warner Bros., 2008)

Seconda prova in studio per i Raconteurs di Jack White (leader dei White Stripes) e Brendan Benson (ex Greenhornes). Dopo un primo album veramente rock'n'roll, con pezzi rock da hit parade come "Steady As She Goes" e "Hands", così come canzoni più studiate e più classiche del calibro di "Intimate Secretary", i the Raconteurs si ripresentano, forti del successo del primo lavoro e con alle spalle un nutrito numero di fan (in parte lo stesso degli Stripes) e un bel gruzzoletto grazie ai singoli ed alla tournee. Quello stesso gruzzoletto gli permette ora di registrare un album per niente superficiale a livello di suoni, con una produzione eccellente, con le sonorità tipiche del rock americano (in qualche frangente possiamo accostare i suoni ai lavori dei White Stripes, dei Foo Fighters e anche dei Juliette Lewis and The Licks, anche se c'è ovviamente una differenza stilistica notevole).

Caliamoci nell'album: mi permetto di bollarlo subito come una conferma del feeling che unisce il gruppo a livello compositivo, un feeling che permette una commistione di indie, blues, garage e alternative rock di stampo americano riuscita come poche. E' solo quel feeling può produrre ottimi pezzi come il singolo "Salute Your Solution" e la title-track in apertura "Consoler Of The Lonely", che eleggo futuro probabile estratto e forse il pezzo più bello dell'album per il lavoro sui suoni, i riff aciduli ma catchy, il cantato che rassomiglia molto a quello dei White Stripes ed un velato spirito blues. Il singolo non va molto distante da quelle canzoni stile "Hands" con i quali ci hanno abituato i The Raconteurs del primo album ed è veramente notevole il lavoro alla chitarra, con riff costruiti in modo da seguire la voce e da creare melodie che non faticano per niente a rimanere in testa. Lavoro riuscito. Dopo un’apertura ottima troviamo "Old Enough", che sembra un pezzo dei Beatles messo nel frullatore assieme a qualche disco di folk e country americana, anche se il cantato ci riporta subito con i piedi per terra. Stiamo ascoltando un album dei Raconteurs. Apprezzo particolarmente la struttura di "The Switch And The Spur", un pezzo studiato ma forse uno dei meno incisivi, insieme a "Top Yourself ". Trascinato e trascinante (gioco di parole voluto, eheh) è invece "Hold Up", il quale però non si classifica tra i migliori. “Five On The Five” e “Many Shades Of Black” sono pezzi carini ma nulla più. “Attention” è un bel pezzo rock’n’roll con influenze punk, ricorda un po’ i nostrani Tre Allegri Ragazzi Morti, anche se chiaramente il gruppo di Toffolo ha un indole più adolescenziale rispetto ai quattro americani, più maturi. L’impianto blues di “Rich Kid Blues” (il nome non l’hanno scelto a caso a quanto pare) rende la canzone per nulla ingenua, un pezzo godibile fino all’ultimo secondo e che fila liscio tra gli scorci melodici di voce e gli arpeggi di chitarra alternati a momenti blueseggianti intensificati dal suono granuloso, quasi grunge della chitarra distorta. “These Stones Will Shout” è un pezzo compatto, che si presenta come un crescendo molto disteso, oltre 2 minuti di voce accompagnata solo da chitarra acustica e basso che va via aggiungendo spessore prima di partire con la batteria fino alla fine del brano, creando un effetto di inseguimento che sinceramente trovo meritevole.

I due pezzi più calmi, "Pull This Blanket Off" e "You Don't Understand Me" riprendono il pop americano di tanti cantautori e sono alla fine orecchiabili ma niente più. Nel complesso sufficienti.

Conclude l’album la semi-ballata “Carolina Drama”, con un inizio che mi dispiace ricondurre ancora una volta ai White Stripes già citati, ma il paragone è innegabile. Lo stile di White non è molto labile. Nel complesso anche questa canzone si presenta come una canzoncina ballabile, un lento cantabile che però sembra non prendere mai il volo. La calma voluta che lo domina sembra distendere troppo la canzone, che alla fine risulta ridondante nonostante la sua struttura lineare e semplice.

Ora facciamo un piccolo passo indietro. Il track by track dimostra che i pezzi veramente buoni sono pochi, ma nulla lascia intendere che tra i quattordici brani che compongono questo album ce ne sia qualcuno di insufficiente. I pezzi nel complesso sono tutti godibili e ben oltre la sufficienza. Unica nota dolente, l’originalità: l’album non si discosta più di tanto dal primo se non per una produzione migliore e alla fine ritroviamo lo stesso contenuto già incontrato in “Broken Boy Soldiers”, con ben poche novità e pezzi degni di nota, che sono sicuramente quelli più carichi: parlo di “Salute Your Solution”, “Consoler Of The Lonely” e “Attention”. Senza togliere nulla a degli artisti che sanno di certo suonare i loro strumenti, reputo quest’album un lavoro riuscito, sicuramente oltre la sufficienza, ma al di sotto delle aspettative e delle loro possibilità. White, Benson, Lawrence e Keeler sanno il fatto loro e sono in grado comporre pezzi con i fiocchi, ma forse una piccola smania di successo ha divorato la loro vena compositiva (sta succedendo lo stesso con gli Stripes di White, e i giochi di parole in questa recensione non finiscono…), timida ma prorompente, che ha comunque prodotto un album da ascoltare in macchina o in casa per rilassarsi o per ascoltare un po’ di rock americano del 2008. Nulla di eccezionale, ma neanche da buttare.

Consigliato l’acquisto a chi già apprezzava questa band, agli altri consiglio il primo album. Mi aspetto che ci “raccontino” qualcosa di più esclusivo nei prossimi anni.

Voto: 6,5