mercoledì 27 agosto 2008

King Crimson - Starless and Bible Black (Island, 1974)


Quinto album dei King Crimson, Starless and Bible Black è il secondo disco, dopo Lark's Tongue in Aspic del '73, a testimoniare le gesta della terza formazione del gruppo, con John Wetton (basso e voce), Bill Bruford (batteria e percussioni) e David Cross (violino, viola) ed ovviamente Robert Fripp (chitarre e mellotron), abbandonati però dal percussionista Jamie Muir. La band prosegue l'ardito discorso sull'improvvisazione cominciato nell'album precedente, e per renderlo ulteriormente spontaneo registra la maggior parte delle tracce dal vivo, arrichendole poi in studio con eventuali parti vocali o minimali aggiunte. Non ostante questo, SABB appare subito come un lavoro più accessibile del suo predecessore (e del suo successore, il difficile Red), particolarmente in dote di un lato dell'album, il primo, caratterizzato da brani più brevi ed assimilabili, in contrapposizione con il secondo lato, costituito da due lunghe ed estreme improvvisazioni strumentali.

Anzitutto, va detto l'esperimento risulterebbe solo in parte riuscito. Alcuni dei brani sono praticamente inesistenti: We'll let you know, registrata a Glasgow, vegeta per quasi quattro minuti di suoni singhiozzanti e percussioni incalzanti (Bruford dimostra, in ogni caso, di aver imparato la lezione del dimissionario Muir) accumulando una tensione che non esplonde mai; il pezzo pare non pervenire a nulla. The Mincer, proveniente da un concerto a Zurigo, è arricchita in studio da una breve parte vocale che poco serve a risollevare le sorti del brano, tenuto insieme da un accompagnamento statico su cui Fripp passeggia senza troppi risultati con i propri effetti chitarristici. La stessa Starless and Bible Black , parte di una data al Concertgebouw di Amsterdam e prima delle due composizioni del secondo lato, incorpora tutti i difetti delle tracce precedentemente citate e li proietta per nove minuti e dodici secondi; ancora una volta si tratta di qualcosa che avrebbe potuto essere adatta alla sede concertistica (ed infatti da dei live vengono queste tracce!) ma fissata su disco perde quasi del tutto significato, anche perchè non si tratta esattamente di un'improvvisazione riuscitissima.

Per fortuna quelli finora nominati sono gli unici casi "irrecuperabili". Vi sono altre due tracce improvvisate, provenienti sempre dagli spettacoli al Concertgebouw, che si trovano totalmente su di un altro pianeta.
Il caso più eclatante è Trio, così intitolata per l'assenza volontaria di Bruford, che non voleva "macchiare" la delicata alchimia del brano; Fripp posa la chitarra per dedicarsi al Mellotron, che s'intreccia in maniera splendida con il violino di Cross (curioso l'intreccio tra archi sintetici ed archi reali), Wetton li segue al basso e dà un'unità alla composizione. E' uno degli strumentali più toccanti e delicati mai eseguiti dal gruppo, e rivela un'intesa perfetta e magica; risulta quasi difficile pensare che il pezzo non sia stato davvero scritto prima di essere suonato.
Fracture (seconda parte del lato 2) pur rimanendo un po' "volatile" come brano trionfa dove Starless and Bible Black aveva fallito, ed è in gran parte merito del chitarrismo frenetico ed anomalo di Fripp, qui impegnato in una delle sue prove più tecnicamente elevate.

A nobilitare il disco vi sono poi le tre canzoni "convenzionali" (per quanto possa esserlo un pezzo dei King Crimson) del disco, che si fregiano di ottime parti musicali affiancate ai notevoli testi di Richard Palmer James, paroliere e chitarrista (fu tra i fondatori originari dei Supertramp) che su questo disco riesce a non far rimpiangere Pete Sinfield.
The Great Deceiver è un'altra occasione per le acrobazie ed i glissando in accordo di Fripp, per una canzone atipica nel tempo e nello sviluppo (si sentano gli stacchi improvvisi, la strofa retta dal solo basso...), impreziosita da un'irriverente lirica sul consumismo, costruita con grande attenzione nel ritmo e nella rima.
Lament parte come una nenia per accordi di chitarra reiterati e mellotron, per poi sfociare in atmosfere più serrate con altri tipici ruvidi suoni Frippiani e giochi percussivi, concludendosi in una frenetica coda in unisono. Il testo è una satira sulla fama, che ben si abbina ad un personaggio particolare come Fripp. Piccola nota: entrambe le canzoni appena descritte sono le uniche del disco ad essere state registrate interamente in studio.
The Night Watch costituisce assieme a Trio il vertice dell'album, la gemma melodica in mezzo a selve di suoni senza compromessi, come Exiles su Lark's Tongue in Aspic e Fallen Angel su Red. Resa immortale da uno splendido testo di Palmer, ispirato al dipinto La Ronde de Nuit di Rembrandt, la canzone si sviluppa in un'atmosfera dolce e soffusa, impreziosita dall'eccezionale lavoro di cesellatura di Fripp, con armonici e fraseggi dilatati. L'assolo a metà del brano (che potrebbe ricordare i coevi esperimenti di Steve Hackett dei Genesis, strumentista che annovera Fripp tra le sue principali influenze) è un piccolo gioiello, uno di quegli intermezzi squisiti come il chitarrista assai raramente ne eseguirà ancora negli anni successivi, concentrandosi unicamente su esperimenti sonori e tecnici.

Tirando le somme, SABB appare come un disco sicuramente non privo di difetti, ma ben controbilanciato da ottimi momenti e segnale di una grande coraggio e volontà di sperimentare da parte degli autori. Lo possiamo considerare come un buon lavoro, sebbene non il migliore del gruppo.

Voto: 8

mercoledì 20 agosto 2008

Ministri - La Piazza EP (Black Out/Universal, 2008)

Nel 2008 in Italia non è uscito solo l'album di Vasco Rossi, ma anche le realtà underground della musica alt-rock italiana si sono fatte sentire. Le Luci Della Centrale Elettrica, gli Amari, i Canadians, l'Eterea Postbong Band, ed infine i Ministri. Queste band stanno da tempo ravvivando il panorama “indie” italiano soprattutto con i loro concerti. Ma veniamo al dunque...questi Ministri. L'EP di recente pubblicazione è un prodotto di ottima fattura. La produzione, non eccelsa ma comunque sopra la media, rende giustizia ad una band che ha ancora molta strada da fare e molto da dire. 4 brani per una durata media di 3 minuti a pezzo, tutti politicamente impegnati anche se non eccessivamente, forse per smorzare un po' i toni dopo il primo album, molto più aggressivo a livello di liriche. E' un album comunicativo, sia come parole che come musica. Vediamolo meglio:

Il trio di “ussari” ci sbalordisce subito con un bel pezzo, l'omonimo La Piazza, che sa un po' di Afterhours dei tempi di Germi, con la voce di Alberto dei Verdena. Ma non è semplicemente con un paragone che si può descrivere questo bel pezzo rock, lento rispetto ai due che seguono, ma molto intenso e con un ritornello molto orecchiabile. Il secondo pezzo, il singolo, Diritto Al Tetto, con un testo che, a detta di Dragogna ed Auteliano intervistati per un giornale, è una denuncia neanche tanto velata contro alcuni provvedimenti della polizia milanese, che avrebbe condannato un senzatetto agli arresti domiciliari su una panchina per poi arrestarlo mentre si era allontanato a defecare. E' cronaca anche questa. Musicalmente la canzone è quasi punk, aggressiva al punto giusto e mai pesante, considerata la durata modesta che lo rende un singolo perfetto. La vera traccia di fuoco è Fari Spenti, con un ritornello bellissimo. Non si allontana da Diritto al Tetto come tiro, anche questa veloce e pesta, ma presenta un testo riflessivo, profondo e molto critico, senza mai diventare politico né avventato negli attacchi diretti che sferra. L'EP si chiude con un pezzo che odora di riempitivo, seppur proseguendo il filone critico nei loro testi e quello aggressivo nella musica, anche se nella seconda strofa notiamo un calo di intensità nelle parole di Dragogna. Molto bello il ritornello di questa Meglio Se Non Lo Sai, orecchiabilissimo soprattutto grazie al tiro pop della linea vocale (ascoltatelo e ditemi se non ricorda Max Pezzali negli 883, ma quelli dei tempi migliori).

Alla fine non c'è molto da aggiungere. I Ministri sono una realtà forte, conosciuta, rispettata. Hanno molto da dire vista anche la giovane età, e considerato che l'energia non gli manca c'è solo da sperare che sappiamo “amministrare” il loro futuro. Ci salveranno?

Voto: 8-

Scars On Broadway - Scars On Broadway (Interscope, 2008)


Dopo molti mesi di attesa è uscito finalmente anche l'ultimo lavoro di Daron Malakian e John Dolmayan, rispettivamente chitarrista/seconda voce e batterista dei System Of A Down, attualmente in “pausa indefinita”. Prodotto da Rick Rubin (che ha già lavorato con Linkin Park, Weezer, Slayer, Rage Against The Machine e decine di gruppi mainstream), questo album non delude le aspettative di molti fans dei SOAD, anche se ha saputo dividere sia la critica che il pubblico.

L'album risulta praticamente l'unione di ciò che hanno fatto i SOAD inventando un genere come tutti ben sappiamo, con uno spruzzo di alternative rock all'americana (quello che parte dai Weezer, contaminato dal grunge, ma che riesce a prendere qualche spunto anche da altri generi come il punk e l'hard rock). A questo riguardo possiamo dire che nell'album si sentono atmosfere nuove ed alcune cose già viste e riviste. I pezzi più interessanti dell'album sono sicuramente quelli meno simili a quanto già sentito con i System Of A Down, anche se l'utilizzo ovvio della voce di Daron porta nuova linfa a un genere che è stato forgiato per la voce di Serj Tankian, anche lui impegnato in alcuni progetti da solista. Ed ecco che l'album inizia con una bellissima Serious, pezzo velocissimo senza un attimo di pausa che ci introduce subito nella potenza e nella pazzia di Daron, che sia come esecutore che come compositore riesce ogni volta ad esternare tutta la sua rabbia. Gli altri pezzi veloci come World Long Gone, Stoner Hate e Exploding/Reloading non dicono nulla di nuovo, anche se sostanzialmente rappresentano il continuato del lavoro da compositore che Daron svolgeva nei SOAD. Bei pezzi, trascinanti anche considerata la breve durata (14 canzoni su 15 durano meno di 210 secondi). Belle Funny e Kill Each Other/Live Forever, due pezzi che iniziano come pezzi puramente da SOAD (inevitabile il continuo paragone) ma che poi trovano qualche spunto creativo nei rispettivi ritornelli e nei passaggi di batteria di John. Le canzoni più lente risultano invece molto apprezzabili, soprattutto Insane, 3005, Whoring Streets e 3005, di cui le prime due sono le più belle. Tutte e 4 hanno una struttura simile (eccezion fatta per la terza citata, Whoring Streets) che ricalca molto da vicino quello che sentivamo nel quartetto armeno in pezzi come "Aerials", "Holy Mountains" e "Lost In Hollywood", ma risultano scorrevoli, piacevoli e mai noiose. I due pezzi più belli dell'album in quanto ad originalità sono sicuramente Enemy e Babylon, il primo per l'originalità dei riff e della struttura (nella quale spunta anche un vecchio giro già cantato da Daron nei concerti del 2001 con i System), la seconda per l'orecchiabilità di tutta la canzone. Anonima ma curata è invece Cute Machines, un pezzo più che discreto che non stona all'interno di questo pezzo ma che forse meritava una lunghezza maggiore per poter comunicare di più. Entrambi pezzi molto ben costruiti, ma una nota di merito particolare va anche ad Enemy, possibile secondo singolo dell'album. Canzoni discrete ma molto banali nella struttura sono il singolo, They Say, praticamente basato interamente su un riff e due giri di batteria, e Chemicals, secondo estratto ad apparire su MySpace prima della release del disco, un pezzo con una base elettronica nella quale fa breccia poi un ritornello potentissimo. Carina, ma troppo scontata, ed è forse la canzone in cui la voce di Daron pecca di più.

Fatto questo essenziale track by track in cui tutti i pezzi risultano sopra la sufficienza, parlerei un attimo dei testi, forse pecca dell'album, al contrario della produzione, che è eccellente (Rubin e Malakian ci sanno fare, e questo già lo sapevamo). Le liriche di Daron sono molto banali, spesso basate su poche frasi a canzone, e lasciano spesso spazio a “fuck” gratuiti che sanno molto di giovane ribelle, e che non sono per niente azzeccati in alcuni dei pezzi. Punto negativo anche per la copertina, visto che il padre di Daron è un artista (Vartan Malakian) ed ha già prodotto copertine artisticamente molto interessanti per i SOAD non lo vedevo come una brutta alternativa a questo obbrobrio visivo.

Che dire...l'assenza di Serj Tankian in questo album si sente, soprattutto perchè le qualità canore di Daron non si avvicinano neanche minimamente a quelle dell'ormai quarantenne cantante dei SOAD, ma se dobbiamo guardare con occhio critico ciò che questo album voleva essere, forse questo è un punto a favore, poiché avremo in quel caso avuto un ennesimo album dei SOAD (forse ciò che avrebbero gradito i fan), invece abbiamo avuto un lavoro nella media, ben prodotto, fresco, compatto ed innovativo. Pollice (cicatrizzato) alzato.

Voto: 7,5

martedì 19 agosto 2008

AAVV - Maiden Heaven: A Tribute To Iron Maiden (Kerrang, 2008)

Sarò sincero, non sapevo come recensire questo album in quanto si presenta in una forma un po' inconsueta per una recensione, però alla fine ho optato per un track by track molto semplice e veloce. Ma diciamo prima cos'è questo album. L'ennesima compilation tributo? Si, in effetti è proprio questo. Allora cos'ha di particolare? Beh, molti dei migliori gruppi metal degli ultimi tempi e alcuni elementi storici della scena che reinterpretano a loro modo i classici degli Iron Maiden. Alla fine basta per dargli almeno un ascolto, no? E magari ci scappa anche la sorpresa.

Ecco la tracklist:
1. Black Tide - Prowler
2. Metallica - Remember Tomorrow
3. Avenged Sevenfold - Flash Of The Blade
4. Glamour Of The Kill - 2 Minutes To Midnight
5. Coheed and Cambria - The Trooper
6. Devildriver - Wasted Years
7. Sign - Run To The Hills
8. Dream Theater - To Tame A Land
9. Madina Lake - Caught Somewhere In Time
10. Gallows - Wrathchild
11. Fightstar - Fear Of The Dark
12. Machine Head - Hallowed Be Thy Name
13. Trivium - Iron Maiden
14. Year Long Disaster - Running Free
15. Ghostlines - Brave New World

Seguirò più o meno l'ordine, dando più risalto a quelle che secondo me sono le cover più azzeccate della compilation. La tracklist si apre con una bellissima Prowler interpretata a dovere dai Black Tide, rivelazione proprio di questi ultimi tempi. Gabriel Garcia, classe 1993, ci dimostra gia adesso cosa potrà fare con la sua voce, ben impostata e mai fredda, nel corso degli anni, interpretando perfettamente i difficili versi di Paul DiAnno. Promossi anche i Metallica, band ormai sempre più controversa e criticata. La voce chiaramente modificata di Hetfield sostiene comunque un pezzo coverizzato a dovere, nonostante vedessi meglio altri pezzi per una cover dei 'Tallica. La ballata Remember Tomorrow è qui trasformata dai quattro nel loro tipico pezzo hard rock della nuova era (diciamo come Fuel e The Unforgiven II), ma con dei bei suoni (niente a che vedere con St. Anger). Unica nota di demerito la piattezza di Lars Ulrich, che non si avvicina neanche minimamente agli ottimi Clive Burr (esecutore originale) e Nicko McBrain. Carina, anche se non particolarmente, la cover di Flash Of The Blade eseguita dagli Avenged Sevenfold, prima band finora ad aver preferito mantenere il pezzo praticamente identico, se non nei suoni di chitarra. Una cover mediocre ma che non stona nel contesto della compilation. Discreta anche se con un arrangiamento piuttosto superficiale la cover dei Glamour Of The Kill, che si cimentano con 2 Minutes To Midnight, grande pezzo dal quarto album dei Maiden, Powerslave. Niente da aggiungere. Una cover passabile. Bel lavoro invece per i Coheed And Cambria, band che sia in passato che recentemente ha mostrato i denti, con album graffianti e freschi. La cover di The Trooper è eseguita in modo magistrale dal punto di vista della tecnica (anche se Nicko McBrain rimane una spanna sopra tutti i batteristi che hanno suonato in questo disco, sarà forse l'effetto di sentire le sue canzoni suonate da altri, ma il groove dei pezzi di Nicko in molte di queste cover, compresa quella dei C.A.C., è fortemente assente), e la voce di Claudio Sanchez si adatta perfettamente allo stile della canzone. Non proprio azzeccate le due cover successive, Wasted Years fatta dai Devildriver e Run To The Hills rivista dai Sign. Entrambe le canzoni sono state riarrangiate alla bell'e meglio, con un riguardo particolare ai riff di chitarra, che sono stati resi sì piu taglienti, ma che risultano ciononostante meno incisivi. Inoltre, se Zolberg dei Sign riesce ad imitare piuttosto bene il timbro di Bruce, Dez Fafara si chiude invece in uno screaming fuori contesto, che finisce subito per annoiare. Seguono To Tame A Land e Caught Somewhere In Time, eseguite rispettivamente dai DreamTheater e dai Madina Lake. Ovviamente le canzoni sono state eseguite in modo perfetto, rispettando ogni parte, anche se il suono un po' troppo metallico che ormai contraddistingue gli ultimi album dei Dreamtheater qui un po' sembra stonare. Caught Somewhere In Time è forse la canzone che più si allontana dalla versione originale, risultando originale soprattutto negli arrangiamenti e nella voce di Nathan. L'hardcore punk dei Gallows trasforma invece una Wrathchild che ormai siamo abituati a sentire da anni nei concerti dei Maiden. Niente da dire se non che il tiro più punk che i cinque musicisti inglesi hanno conferito alla canzone risulta perlomeno innovativo, e piacevole all'ascolto (nonostante l'assenza del famoso urlo nella parte centrale). Dall'hardcore punk dei Gallows al post-hardcore dei Fightstar, che registrano una Fear Of The Dark molto fresca e pungente. La voce profonda di Charles Robert Simpson rende la canzone più appetibile. Dal punto di vista della tecnica niente da dire, se non che la canzone è stata eseguita molto bene, con qualche riff più "pestato" che, visto chi ha suonato il pezzo in questa compilation, ci stava. I grandi Machine Head eseguono magistralmente Hallowed Be Thy Name, forse il pezzo che potevano suonare meglio tra tutti quelli scelti per questa compilation. La voce e i musicisti si calano perfettamente nell'atmosfera Maiden, anche se chiaramente hanno preferito mantenere le loro sonorità. Unica nota dolente il suono della chitarra, in alcuni punti missata in modo imperfetto. Belle anche le parti urlate, che non rovinano assolutamente la canzone. Ottima Iron Maiden, eseguita dai Trivium, incredibilmente carichi (avevamo gia sentito un'ottima cover di Master Of Puppets nel cd di tributo ai Metallica), riarrangiata completamente in un pezzo speed/thrash dove la voce grattata ci sta tutta. Un'ottima rivisitazione. Running Free, rivisitata dagli Year Long Disaster, band resa celebre grazie a un tour mondiale con band di spicco come Motorhead, Foo Fighters e Velvet Revolver, è il pezzo eseguito in modo più simile, soprattutto per i suoni, anche se chiaramente non ci si deve aspettare nulla, vista la sostanziale differenza di genere. L'album si conclude con Brave New World, unico brano recente della compilation, suonata dai Ghostlines, band inglese che spazia tra l'alternative e l'elettronica. Il brano alla fine è più che discreto, anche se profondamente diverso dall'originale, con un loop a fare da batteria e il tema sostituito da un piano.
Cosi si conclude una compilation molto buona, nella quale non si può tenere di certo conto dell'originalità, ma della quale possiamo solo parlare bene vista la competenza dei gruppi interpellati. Tutti i pezzi sono eseguiti bene, e nessuno sembra sforzarsi per eseguire la cover corrispondente (eccezione fatta per i DevilDriver, come detto sopra). Per questo motivo consiglio l'ascolto a tutti i fan dei Maiden, anche se so che i più affezionati non apprezzeranno i riarrangiamenti troppo radicali come quello dei Ghostlines e quello dei Trivium, ma che invece appaiono come particolari note di merito in una compilation che altrimenti sarebbe stata pura ostentazione di tecnica. Per il resto...up the irons!

Voto: 7.5

lunedì 18 agosto 2008

Captain Beefheart and The Magic Band - Shiny Beast (Bat Chain Puller) (Warner Bros, 1978)

Ogni volta che mi trovo ad ascoltare Captain Beefheart mi stupisco di quanto fosse avanti nei tempi quell'uomo. L'uscita di questo disco è stato un vero e proprio recupero e ritorno all'attività. Gli ultimi 4 anni per Beefheart non erano stati proprio i migliori. Infatti la casa discografica, pensò che Don Vliet (il vero nome di Capitan Beefheart) fosse un artista poco commerciale (e non a torto!) e volle tentare di trasformarlo in tale. Il primo di tali album ("Unconditionally Guaranteed"), ci fece conoscere una versione del Capitano differente dal solito: mieloso, sdolcinato, quasi irriconoscibile (con la sola eccezione di "Upon The My-O-My").

Beefheart lo stesso anno tentò di mischiare il suo amato blues alla musica mainstream con un secondo album, "Bluejeans & Moonbeams". Questo lavoro al contrario del precedente era piuttosto buono, ma il Capitano non si riconosceva per niente, e lui stesso fu molto deluso da tale lavoro, tanto da non organizzare nemmeno un tour. Oltrettutto a complicare la vita del Capitano si aggiunsero dei problemi contrattuali, che praticamente lo bloccarono.

Captain Beefheart, al che si rappacifico con l'amico Frank Zappa (con il quale aveva avuto qualche diverbio anni prima), il quale tentò di tirarlo fuori dai guai portandoselo in tour. Per questo specifico tour Zappa scrisse alcune composizioni per lui, e Vliet ne portò di nuove. Il risultato venne pubblicato sul live album "Bongo Fury", ed è qualcosa di straordinario, sentire due vecchi amici suonare e divertirsi, entrambi con la stessa passione per la musica e per le armonie atonali. Nel 1976 Captain Beefheart iniziò le registrazioni per un nuovo album ("Bat Chain Puller") prodotto appunto da Zappa, ma i problemi contrattuali saltarono fuori di nuovo. La Virgin infatti bloccò la produzione dell'album (che resta tutt'oggi inedito) e limitò la stampa di "Bongo Fury" solo per l'America. Il Capitano a tal punto si arrese, e per due anni scomparve.

Finché nel 1978 non decise di alzare la testa, riformare la sua Magic Band con nuovi musicisti (tra cui il fenomenale Walt Fowler al trombone), recuperare qualche pezzo di "Bat Chain Puller" (dovendo però ri-registrarlo per problemi contrattuali) e comporne qualche nuovo. Il risultato è questo album, una vera e propria manna dal cielo, acclamatissimo dai fan e dalla critica, i quali videro l'attesa rinascita artistica di Vliet, nella quale pochi ormai speravano.

"Shiny Beast (Bat Chain Puller)" trionfa laddove "Unconditionally Guaranteed" fallisce. La musica qua è relativamente accessibile per lo stile di Vliet, ma allo stesso tempo non perde lo stile tipico del Capitano. L'apertura di "The Floppy Boot Stomp" mostra subito di cosa parlo. Bizzarro? Certamente! Trascinante? Anche!
La seguente "Tropical Hot Dog Night" è ancora meglio, soprattutto per il testo.
Che dire poi delle acrobazie strumentali di "Suction Prints" e "Ice Rose"? (Quest'ultima poi con il beneficio di Arthur Tripp alla marimba, uno degli ex-batteristi di Captain Beefheart).
"Candle Mambo" sembra una reprise revisionata e migliorata della title-track di "Bluejeans and Moonbeams", mentre "Love Lies" è un brano d'amore, ma diverso da quelli incolori di "Unconditionally Guaranteed": lento, letargico, trascinato e cantato con una splendida voce roca. Mentre "You Know You're A Man" si rifà un po' al punk, ovviamente visto dal punto di vista del Capitano.
"Harry Irene" è un brano assolutamente unico, molto jazzato, in stile un po' ballata Francese. Qualcosa di assolutamente originale e che allo stesso tempo non ci si aspetta per niente da Beefheart, che però allo stesso tempo risente molto della personalità del suo autore.
Comunque a mio parere il momento più alto del disco lo si raggiunge con "Owed t'Alex" (inizialmente intitolata "Carson City"), che addiritura contiene una sezione centrale che anticipa qualche sonorità tipica degli anni 90.

Direi che se volete avvincinarvi al lavoro di Captain Beefheart, questo album è sicuramente il più indicato, assieme al seguente "Doc At The Radar Station", che seguì egregiamente le orme del predecessore.

Un'ultima cosa su Captain Beefheart. Cercando in internet, ho trovato qualche recensione che parlava di lui come di un Frank Zappa dei poveri. Zappa è l'artista che adoro sopra ogni altro, ma credo che facendo un tale paragone si dimostra di non conoscere né la musica di Zappa né tantomeno quella di Vliet. Entrambi sono (erano, Zappa ci ha lasciati nel 1993, e Vliet ha smesso di suonare da circa il 1981, per dedicarsi alla pittura) dei geni, entrambi sono due artisti estremamente bizzarri e difficili da capire, ma in maniera diversa.
Zappa non avrebbe mai potuto fare un disco come "Safe As Milk" o "Lick Your Decals Off, Baby", così come Captain Beefheart non avrebbe mai potuto fare "Joe's Garage" o "You Are What You Is".

Voto: 10