domenica 10 settembre 2017

Francess - A Bit of Italiano (Sonic Factory, 2017)

E' strano vivere in un periodo in cui gli artisti tentano sempre più di affermarsi con il revival, rivisitando il passato con una DeLorean e portandosi a casa momenti del nostro patrimonio musicale per consegnarlo ai posteri attualizzato. O scopiazzato. In ogni caso, sono scorciatoie che vengono prese sempre più spesso, ottenendo un lasciapassare per l'interesse dei media che trovano più facile commentare l'ennesima cover di Modugno piuttosto che analizzare una novità discografica sana e genuina. 

Francess, nome d'arte della ventottenne italo-giamaicana nata a New York Francesca English, ha dalla sua la multiculturalità genetica, ambientale, reale, e questo sicuramente la assiste nel portare a casa uno splendido risultato pur facendo l'ennesima riproposizione di vecchi classici italiani. Prima di tutto, si è permessa il lusso e l'audacia di rendere contemporanei brani ormai scolpiti nella roccia, immutabili, conosciuti anche fuori dal Belpaese così come sono, anche senza la necessità di adulterarli in qualche modo. In seconda battuta, l'ha fatto con testa e dignità, non scegliendo nuovamente vesti swing, jazz, orchestrali, ma andando a navigare nei linguaggi lounge, latini, tropicali, mantenendo l'elettronica protagonista, in primo piano, ma conservando una natura timida e poco aggressiva. Niente casse dritte da serata a Riccione, per intenderci. E così, tra una versione latin pop con chitarre in levare di "Attenti al Lupo" e una "Vacanze Romane" vagamente industriale, notturna, cerebrale, le sue reinterpretazioni in inglese colgono nel segno, andando a unire due mondi separati da un oceano con una traduzione dignitosa, che rispetta la metrica, e una voce clamorosamente azzeccata. Lo stesso avviene per Buscaglione ("Guarda che Luna"), Gino Paoli ("Il Cielo in una Stanza") e soprattutto "Vengo Anch'io No Tu No" di Jannacci, Dario Fo e Fiorentini, divertente nell'originale del 1967, divertente qui. L'inedito "Good Fella", che si legge nella cartella stampa essere una dichiarazione d'intenti / manifesto sul proprio modo di intendere la pluralità di input culturali a cui è sottoposta l'autrice, non risuona tra i migliori momenti dell'album, ma restituisce comunque l'immagine di un'artista fervida, visionaria, che potrebbe riservare per il futuro uno squisito album di musica originale contemporanea e in equilibrio tra più mondi. 

venerdì 1 settembre 2017

La Differenza - Il Tempo Non (d)Esiste (SMR/Universal, 2017)

Il tempo non desiste, il tempo non esiste.
Riflettendo su questi concetti richiamati dal titolo del quinto disco in studio degli abruzzesi La Differenza, ci viene automaticamente da considerarlo autoriferito. Il tempo non sembra essere passato in maniera troppo brusca da quando con un ottimo pezzo intitolato "Che Farò" ribaltarono i pronostici piazzandosi al secondo posto di Sanremo Giovani, riproponendo un sound più moderno ma che li identifica ancora appieno, senza progressioni evidenti ma neppure con passi falsi che possano inquadrare i ragazzi di Vasto come una band destinata a sfumare artisticamente. Il nocciolo della questione è proprio questo: per fare cinque dischi di pop elegante, senza seguire il mercato come bandierine sballottate dal vento, rimanendo sé stessi, occorrono più estro creativo e capacità tecniche di un J Ax qualunque, per fare un esempio di chi ha sempre cercato di appoggiarsi alle mode del momento. Ancora più palle servono per reinterpretare dieci brani altrui, pescando in acque profonde e senza scadere in scelte banali, e farli propri con tale maestria, coinvolgendo gli autori stessi, tra i quali citeremo in particolare Eugenio Finardi e Edoardo Bennato, rispettivamente con "Trappole" e "Tira a Campare". Il premio di compito più arduo e con il risultato più sorprendente lo vince la rigenerazione di "Le Louvre" di Garbo, in una ricostruzione dalle fondamenta vera e propria che ha coinvolto Enrico Ruggeri (autore dell'originale), disarticolando il suo scheletro anni '80 originario per ricoprirla di arditissime orchestrazioni. E vogliamo parlare di "Oh Oh Oh" di Faust'o, altra pietra miliare di quella scena che oggi quasi abbiamo dimenticato? 
Se dovessimo cercare il momento più radiofonico, incredibilmente ci dovremo accostare ai ritmi in levare di "Sole Spento" dei Timoria, riadattata con la collaborazione di Omar Pedrini che ne esce a testa alta anche dopo tutti questi anni. 
In tutto il disco, troviamo un solo inedito, intitolato "Molecolare". Nel suo abito di classe in salsa digitale, un po' retrò, ricorda un po' i primi Diaframma se avessero collaborato coi Bluvertigo, ma munita di una sua dignità data principalmente da una scrittura profonda e azzeccata, risuona come un chiaro messaggio: non stiamo solo omaggiando la storia della musica italiana, stiamo anche contribuendo a (ri)scriverla. 

Sicuramente siamo di fronte ad una band che non ha avuto il successo meritato, e si spera che un progetto di questa risma sia in grado di donare loro quell'attenzione che dopo Sanremo sembrava essere scemata. In ogni caso, siamo di fronte a qualcosa che vale la pena ascoltare con attenzione, senza la distrazione facile tipica degli ascolti in streaming. Dategli una chance.