mercoledì 21 dicembre 2011

Frank Zappa II 2.0



Come nel mese di Dicembre di ogni anno, questo blog dedica almeno un editoriale a Frank Zappa che, se oggi fosse ancora in vita, compirebbe 71 anni. L'anno scorso, in questa data, abbiamo pubblicato una lista delle pubblicazioni postume di Zappa edite dallo ZFT (Zappa Family Trust). L'articolo è tutt'ora reperibile su questo blog.

In questo periodo di tempo sono uscite alcune nuove interessanti pubblicazioni, quindi questo articolo ha lo scopo di essere un appendice al precedente.



The Frank Zappa AAAFNRAAAA Birthday Bundle (Zappa Records/iTunes)
Data di pubblicazione: 20 Dicembre 2010


I "Birthday Bundle" sono dei pacchetti I-tunes contenenti brani della famiglia Zappa: metà del pacchetto è dedicato a Frank, mentre il resto raccoglie collaborazioni coi figli. In questa serie di articoli li valuteremo esclusivamente per i brani di Frank Zappa, ignorando il resto. Solitamente, questa è la serie più inutile tra le pubblicazioni postume ma, se non altro, questa volta, le selezioni sembrano avere un criterio logico, ovvero il lato chitarristico di Zappa. Oltre all'ottima versione di "Treacherous Cretins" (1979), si segnala che questa cover di "Stairway to Heaven" (1988) ha un arrangiamento radicalmente diverso da quello pubblicato su "The Best Band You Never Heard In Your Life". I dubbi persistono: c'era davvero bisogno di un'altra versione di "My Guitar Wants to Kill Your Mama"? E perché "City Of Tiny Lights" viene dagli stessi live che hanno prodotto "Hammersmith Odeon", che contiene una versione praticamente uguale dello stesso pezzo? "Questions, Questions, Questions, flooding into the mind of the concerned young person today" avrebbe commentato lo stesso Zappa. Comunque, dal punto di vista musicale è quello più interessante e quindi è l'unico a raggiungere la sufficienza, seppur tirata ma questo materiale continua a non soddisfare. Quando le selezioni sono buone, ci si rammarica del fatto che non possiamo sentire altro e quando non funzionano, non funzionano per niente.

Voto: 6


Penguin In Bondage/The Little Known History Of The Mothers Of Invention (Zappa Records/iTunes)
Data di pubblicazione: 10 Maggio 2011


Simpatica trovata dello ZFT: il giorno della festa della mamma hanno fatto uscire un piccolo bonus su I-tunes di 20 minuti tratto dal concerto dell'11 Maggio 1974 all'Auditorium Theater di Chicago. Il contenuto di questo piccolo EP consiste in un eccellente versione di "Penguin in Bondage" e un racconto dettagliato e un po' nostalgico di Zappa sullo Studio Z, il leggendario studio di registrazione nel quale il giovanissimo Frank ha cominciato a muovere i primi passi nei primi anni 60. Sul finale Zappa comincia ad improvvisare un assolo, ma purtroppo la registrazione finisce poco dopo. Pubblicazione non essenziale, ma senza dubbio più godibile degli inutili (e costosi) "Birthday Bundle". Chissà che questo EP non sia un sampler di qualche futura pubblicazione di questo concerto: si tratta di un breve tour di anniversario dei Mothers che comprendeva una formazione piuttosto originale: FZDon Preston dei Mothers originali e George Duke alle tastiere, il ritorno di Jeff Simmons alla chitarra, Napoleon Murphy Brock al sassofono e alla voce, i fratelli Fowler, Tom al basso, Bruce al trombone e Walt alla tromba, e Ralph Humphrey e Chester Thompson alla batteria.

Voto: 7



Feeding The Monkies At Ma Maison (Zappa Records ZR20012)
Data di pubblicazione: 22 Settembre 2011


Questa uscita si occupa, per la prima volta, del synclavier, lo strumento elettronico a cui Zappa si era appassionato negli anni '80. I primi tre brani consistono in un disco inedito che Zappa aveva prodotto intorno al 1986 e, in effetti, molto materiale presente su questo disco suona come un companion di "Jazz From Hell". Due dei cinque brani qua inclusi finiranno in versioni radicalmente diverse su "Civilization Phaze III", vero e proprio epitaffio di Frank Zappa (del quale potete trovare una recensione su questo stesso blog). Si tratta di "Buffalo Voice" e "Secular Humanism" che, in questa fase, mancano dell'atmosfera così tetra che si respirerà nelle loro versioni ufficiali e durano entrambe circa il doppio della durata. Il resto del disco consiste in inediti che, però, erano già conosciuti allo scolaro Zappiano. La lunga title-track faceva parte di un altro disco inedito per synclavier, disponibile ai collezionisti, intitolato "Resolver + Brutality" dove compariva come "Resolver ED.". Il brano in sé suona come una sorta di prototipo di "Porn Wars", senza le voci del PMRC. Circa venti secondi dell'inquietante "Worms From Hell" comparivano come apertura alla VHS "Video From Hell" (non ancora disponibile su DVD) e l'Ensemble Ascolta eseguì nel 2007 in prima mondiale il quinto brano, "Samba Funk" che, come immaginabile, non assomiglia né ad una samba né ad un funky e una sua versione orchestrale non avrebbe certo sfigurato su "The Yellow Shark". Sicuramente non è un album per tutti, visto che non tutti apprezzano gli esperimenti di Zappa al synclavier, ma per gli amanti del genere, è un'aggiunta interessante ed essenziale. E poi... non è bello, dopo 17 anni dalla sua morte, riuscire ad ascoltare comunque nuove composizioni di Frank Zappa?

Voto: 8


Carnegie Hall (Vaulternative Records VR2011-1)
Data di pubblicazione: 17 Novembre 2011


Eccellente cofanetto di 4 CD contenente i due concerti tenutosi alla Carnegie Hall l'11 Ottobre 1971. Nonostante la qualità audio sia in mono, i concerti sono stati registrati con un solo microfono presente sul palco, la qualità audio è eccellente e cristallina. La line-up: FZFlo & Eddie (alias Mark Volman e Howard Kaylan) alle voci soliste, Ian Underwood alle tastiere e ai fiati, Don Preston al mini moog, Jim Pons al basso e alla voce e Aynsley Dunbar alla batteria. Non tutti amano questa particolare line-up del gruppo di Zappa, considerato come "vaudeville", a causa della tendenza lirica a scendere nell'umorismo adolescenziale becero e scurrile. Tuttavia, da un punto di vista musicale, il gruppo era solido e i due cantanti erano dei professionisti seri e preparati. Chi ama questa formazione, adorerà questo quadruplo CD, e, per tutti gli altri, abbiamo diverse opzioni. Chi non apprezza le routine di questo periodo, ma è pronto a riconoscere le capacità canore di Flo & Eddie avrà molto di apprezzarli in brani come "Anyway The Wind Blows", "Call Any Vegetables", "Shove it Right In" e "200 Motels Finale". Chi non può comunque sopportare i due personaggi anche quando cantano normalmente, avrà modo di gustarsi le acrobazie strumentali di "King Kong", "A Pound For A Brown", "Sleeping In A Jar" e gli assolo di "Billy The Mountain", posti in una traccia a parte. Lo scolaro Zappiano vorrà comunque procurarsi questo disco per tre motivi: una nuova versione di "Billy The Mountain", una suite che cambiava sera per sera, l'arrangiamento rock'n'roll di "Who Are The Brain Police?" e, soprattutto, finalmente una pubblicazione completa della "Sofa Suite" del 1971,  che, oltre a contenere una versione embrionale del celebre valzer, la suite conteneva anche una versione già completa e arrangiata di "Stick it Out", registrata su "Joe's Garage" solo 8 anni dopo. Insomma, che vi piaccia o no questa formazione, vi consigliamo comunque di ascoltarlo. Una curiosità: il primo CD contiene anche l'opening act, The Persuiasions, un gruppo doo-wop vocale amato particolarmente da Zappa che dà una performance senza dubbio di altro livello.

Voto: 9,5


The Frank Zappa AAAFNRAAAAAM Birthday Bundle 21 Dec. 2011 (Zappa Records/iTunes)
Data di pubblicazione: 21 Dicembre 2011


Dal punto di vista degli altri artisti che collaborano a queste pubblicazioni, questa probabilmente è la più interessante: compaiono infatti anche Serj Tankian e Jerry Lawson. Dal punto di vista di Frank che, ahimè, è proprio quello che trattiamo ora. è quello più trascurabile. Solo una chicca: la versione in studio di "Dead Girls of London" registrata per le session dell'album di L. Shankar "Don't Touch Me Here", prodotto da Zappa con Van Morrison alla voce. Nella versione pubblicata, a causa di alcuni problemi legali, la parte cantata è affidata a Zappa stesso e a Ike Willis. Per il resto, "Peaches en Regalia" (1988) e "Another Variation of the Formerly Secret" (assolo registrato nel 1980) sono di buon livello, ma nulla aggiungono al resto della discografia e i due brani "collaborazione" sono del tutto evitabili. "Wowie Zowie" è la versione in studio originale di "Freak Out!" ma è cantata da Mathilda Plum Doucette Zappa, nipotina di Frank, figlia di Moon e nata il giorno di quello che sarebbe stato il sessantaquattresimo compleanno del nonno e, dopo la tenerezza del primo ascolto, risulta abbastanza irritante. "Cosmik Debris" è una versione dal vivo del Dweezil Zappa Plays Zappa eseguita con la voce di Zappa tratta dalla sua versione dal vivo pubblicata in "The Dub Room Special". Come al solito, è a discrezione del fan decidere se vuole davvero procurarsi questi pacchetti...

Voto: 4


Speriamo che il 2012 ci riservi altre sorprese (e magari i tanto attesi "Dance Me This", "The Rage and The Fury" e soprattutto il famigerato DVD dei concerti al Roxy Theater del 1973).




NOTA - Questo articolo ha avuto due ulteriori seguiti:

The Return of the Son of Frank Zappa II
Frank Zappa's continuing voyage into the twilight realm of his own secret thoughts


Potete comprare gli album al BARFKO-SWILL SHOP!

lunedì 21 novembre 2011

Cat Claws - Cat Laws (42 Records, 2011)


Nel 2011 si sentiva il bisogno di staccare la spina, cambiare aria ed argomenti, fuggire in maniera subdola ma serena, cancellando il senso di stagnante che si sta pian piano portando via la musica europea. Svicolando attentamente dietro l’angolo, i Cat Claws si inseriscono invece in uno di quei filoni che sta lentamente morendo, forse riuscendo in qualche modo a non risultare fuori tempo massimo e a guadagnarsi una credibilità che pochi altri riescono ancora ad avere. Il grunge è morto molto prima di questo indie così banale da risultare sempre fresco e godibile anche dopo tanti ascolti (il problema è sempre col susseguirsi dei dischi). Dall’Italia gli indie acts hanno spesso deluso, e altre volte (Thoc!, Heike Has The Giggles, Trabant ecc.), cavalcando l’onda del post-punk ballerino dei nuovi club sedicenti new wave, si sono ritagliati uno spazietto neanche troppo minuto, con qualche sostenitore hipster sempre pronto a scavalcare la parola moda con il suo senso iperbolico di fashion che è un termine che vale di più quando si parla “indie-pendente”.
A cosa serve allora questo Cat Laws? Le undici canzoni che lo compongono non introducono novità, non rivoluzionano niente, ma semplicemente riassumono le più importanti direttive dell’indie storico, spiazzando per la diversità degli ingredienti messi in gioco che però sono sempre gli stessi: Joy Division, Pixies, Devo, New Order, derelitti moderni vari e malinconica dolcezza progredita à-la-Strokes, perlomeno per le chitarre. I brani tendono a declinare verso impostazioni già sentite, soprattutto i ritornelli e le entrate di batteria, ma gli incontri quasi iconoclasti tra psichedelia e noise più leggero, per non parlare dell’incespicare electro di alcuni elementi senz’altro più adatti al movimento fisico nei live, risollevano la maturità, l’originalità e l’efficacia del disco, perfetto anche per mandare giù il difficile boccone del secondo lavoro, difficile per molti, come ricordava il buon Caparezza. La voce femminile, ancora abbastanza infrequente nel genere, quindi poco noiosa per i più schizzinosi, rende il tutto, se possibile, più digeribile.
I Cat Claws possono sfruttare la garanzia di fare bene un genere facile ma contemporaneamente complesso da portare in seno nel suo periodo di massimo splendore commerciale, cioè di declino qualitativo. Il songwriting sempre molto pulito, coniugato con una produzione rozza tipica delle registrazioni in presa diretta, gli conferisce anche la ruvidità che denota raramente produzioni analoghe per quanto riguarda l’Europa: dovremo spostarci in Europa ma non lo faremo perché questo disco è nato qui, e lo apprezzeremo solo qui, con i suoi pregi e i suoi limiti, entrambi evidenti.

Voto: 7-

venerdì 4 novembre 2011

Into Deep #2 - 40 anni di Aqualung!

Steven Wilson, leader dei Porcupine Tree, non è solo un buon chitarrista e un buon compositore, ma da un paio di anni ci sta anche dimostrando di essere anche un archivista niente male.
Si è infatti occupato di rimasterizzare i lavori dei King Crimson (a partire da "In The Court of the Crimson King"), non limitandosi a remixare gli album, ma anche aggiungendo chicche curiose presenti sui nastri registrati all'epoca.



Dal 2008, Ian Anderson celebre leader dei Jethro Tull si occupa di far uscire ogni anno un edizione speciale per il quarantennale della loro discografia (saltando però "Benefit", lacuna gravissima a mio avviso). Probabilmente memore del successo delle riedizioni Crimsoniane, Anderson ha pensato che per il quarantennale del loro album più celebre forse era il caso di affidare a Wilson l'uscita.




E' un bene? Un male? Beh, parto subito dicendo che spesso ciò che non apprezzo dei remix degli album classici è che, sostanzialmente, si cambia la storia. Immaginate di vedere un quadro di Van Gogh con i colori cambiati: il tratto e il disegno saranno esattamente gli stessi, ma il cambio di colore sconvolgerà completamente il quadro. Alcuni particolari si noteranno meglio, ma altri che prima erano prominenti lo saranno molto di meno. L'effetto inevitabile, comunque, sarà quello di percepire l'opera in maniera completamente diversa. Ed è proprio qui che voglio arrivare: la registrazione sarà anche la stessa, ma il disco è diverso. Per cui, a mio avviso, se proprio dobbiamo remixare un disco classico (operazione che comunque può rivelarsi molto interessante), l'edizione originale dovrebbe quantomeno comunque essere presente (cosa che avveniva con le pubblicazioni dei King Crimson, ma non con questa). Grave è infatti il caso degli ultimi remaster dei Genesis (non ad opera di Wilson) che ormai hanno sostituito le edizioni principali (e faccio notare che, in quelle edizioni, in alcuni casi sono stati usati dei frammenti vocali diversi; e non solo su brani minori, ma anche su "Supper's Ready" e "Dancing With The Moonlit Knight"!). In più alcune scelte sono senza dubbio bislacche: ad esempio il momento in cui "My God" passa da una misteriosa ballata per piano e chitarra acustica a un potente rocker con un riff epocale. Nell'edizione originale il cambio di volume tra le due sezioni era notevole: il brano, arrivato a quel punto, esplodeva letteralmente. Nel remix le due sezioni sono ad un volume più o meno simile e l'entrata del gruppo perde un sacco di impatto. C'è comunque da dire che Wilson ha cercato di fare il lavoro migliore che poteva senza cercare di far perdere le atmosfere originali dell'album. Inoltre, il chitarrista e produttore Inglese, sembra amare particolarmente estendere i fade-out dei brani, regalandoci così una manciata di secondi in più rispetto all'edizione originale.




Questa edizione di "Aqualung", uscita il 31 Ottobre, ci arriva in 2 CD (anche se c'è un edizione speciale contenente un LP, un DVD, un Blue Ray e un libro) e i bonus contenuti in essa contenuti sono senza dubbio superiori a quelli dell'edizione del 25ennale che sembravano, francamente, compilati un po' a casaccio.
La spumeggiante "Lick Your Fingers Clean", che apre il secondo CD, inizialmente intesa per essere il vero finale del disco, venne in seguito spostata come 45 giri. Il 45 giri però non vide mai la luce e il brano venne completamente ri-arrangiato e inciso a nome "Two Fingers" nell'album "Warchild". La versione originale del brano (infinitamente superiore) vide la luce solo nel 1988 e da subito è entrata nei cuori dei fan come un classico perduto. Sono inclusi anche i tre brani che erano stati incisi per delle session preliminari del disco tra Aprile e Giugno del 1970, con ancora Glenn Cornick (basso) in formazione: "Just Trying To Be" (pubblicata nel 1972 su "Living in the Past"), una stupenda versione di "My God" (della quale si conosceva l'esistenza, ma che nessuno aveva mai sentito prima d'ora) e la bellissima versione completa di "Won'dring Aloud" (pubblicata parzialmente su "Living in the Past" nel 1972 a nome "Wond'ring Again", ma per la prima volta completa in questa pubblicazione). Altre cose interessanti sono un take diverso di "Wind Up" (originariamente apparso erroneamente nella versione quadrofonica dell'album), un remaster totale dell'EP "Life is a Long Song" (iniziativa particolarmente felice; la title-track è sempre stata disponibile in versioni non proprio eccellenti dal punto di vista dell'audio: l'originale aveva un suono di batteria ovattato e il remix del 1993 snatura l'intento originale del brano), un interessante spot radiofonico e una versione embrionale di "Up The Pool", originariamente intesa come uno degli intermezzi acustici presenti su album.
Insomma, essendo un fan, Steven Wilson include in queste serie le cose che interessano a noi fan. Dobbiamo ricordare, però, che il datore di lavoro resta Ian Anderson, che è molto meno generoso di Robert Fripp nel rilasciare cose inedite d'epoca: il libretto ci mostra crudelmente la lista di registrazioni complete includendo molte versioni alternative e soprattutto un'inedita "Pancake Domesday" non inclusa in questa edizione e che probabilmente, a questo punto, non vedrà nemmeno mai la luce.




Tutto sommato, però, è un'operazione niente male e a noi che abbiamo amato questo disco non dispiacerà per niente sentire alcuni aspetti nuovi dell'album e alcuni bonus. Resta il dilemma: questa versione può sostituire l'originale?
Sulle prime sarei tentato di rispondere "No": in fin dei conti ho scoperto l'album con il mixaggio originale e ogni versione diversa mi suonerà sempre strana.
Ma ragionando con i piedi per terra, il nuovo mixaggio non è per niente disprezzabile, e non impedirà certo a chi non conosce l'album di innamorarsi di esso, come accade dal 1971.
Secondo fonti ufficiali (interviste a Anderson e a Wilson), in questo momento è in lavorazione anche un'edizione speciale di "Thick as a Brick" prevista, ovviamente, per l'anno prossimo. Sarà particolarmente interessante vedere cosa verrà tirato fuori dal cilindro!

Into Deep #1 - Le tracce fantasma di Elio e le Storie Tese

Elio e le Storie Tese sono dei veri mattacchioni. I loro album sono vere e proprie miniere da scoprire e scavare, sono i classici album che anche al trentesimo ascolto offrono spunti nuovi e citazioni nascoste. Una tecnica che Elio & company paiono amare particolarmente è quella della traccia nascosta. Su 15 degli album ufficiali, 5 contengono sicuramente una traccia fantasma e altri 3 contengono un bonus che potrebbe essere considerato una traccia fantasma. Vediamo di più nello specifico.


Il loro disco "Italyan, Rum Casusu Çikti" (tradotto dal turco-cipriota "Si è scoperto che l'Italiano era una spia Greca") del 1992 è il primo album a contenere questa pratica. L'album è sicuramente uno dei migliori prodotti dal gruppo e contiene molti dei loro classici, tra cui "Supergiovane", "Il Vitello Dai Piedi di Balsa" e "Servi Della Gleba". Proprio quest'ultimo brano è quello che interessa a noi. Se sfogliate il libretto, noterete che prima del testo effettivo di questo brano c'è una parte che non appare su album. La traccia precedente, intitolata "Servi Della Gleba?" (un omaggio a "In The Flesh?" e "In The Flesh" dei Pink Floyd, che però non erano consecutive) non contiene questa introduzione. Al termine dell'album, qualche secondo dopo di "La Vendetta Del Fantasma Formaggino" si sente, per qualche secondo, un nastro velocizzato. Rallentando questo frammento fino ad arrivare a circa 1:38" è possibile sentire questo misterioso intro. Come già fatto notare, questo disco è del 1992, per cui decriptare tale operazione risultava molto più difficile di oggi (al giorno d'oggi tale operazione è abbastanza facile, si può fare ad esempio con il programma gratuito Audacity). Per questo motivo, a inizio della ghost track, Elio dice "Bravo! Ce l'hai fatta!". Il brano in se è un poetico e tenero frammento per voce e pianoforte, nel quale viene citata anche "La Donna Cannone" di Francesco De Gregori. E' una delle ghost track più conosciute del gruppo, che a volte l'ha anche eseguita dal vivo (è presente infatti all'inizio di "Servi Della Gleba" sul live ufficiale "Made in Japan" del 2001) ed è stata riregistrata per la compilation "Del Meglio Del Nostro Meglio Vol.1" nel 1997, con il titolo "Introservi". Le due versioni successive, però, differiscono leggermente sia nel testo che nell'arrangiamento rispetto all'originale (che resta disponibile soltanto come traccia fantasma di quell'album).


Nel disco successivo, del 1993, intitolato "Esco dal mio corpo e ho molta paura", un album dedicato ai primissimi brani del gruppo (nonché il primo a contenere Christian Meyer alla batteria, precedentemente sostituito in studio, ma non dal vivo, dal Tedesco Curt Cress), tra gli altri brani, è presente anche "Ho molta paura", un bizzaro collage di vari brani non inclusi integralmente nel disco. Il brano, sul retro copertina dura 2:50", ma la traccia ufficiale dura 3:32". Al termine della traccia, infatti, sono presenti due messaggi minatori lasciati sulla segreteria telefonica di Rocco Tanica (in stereo, uno per canale). L'autrice di tali messaggi è tutt'ora ignota (a noi, ma è possibile che il buon Tanica l'abbia denunciata e sappia benissimo chi sia) ed è identificata dal complessino come Nasty Sciura. Altri suoi messaggi sono presenti campionati nell'inquietantissima "L'eterna lotta tra il bene e il male", inedito pubblicato sulla già citata antologia "Del Meglio Del Nostro Meglio Vol.1". Questo frammento spesso è considerato il finale di "Ho molta paura", ma a mio parere è una vera e propria ghost track, proprio perché non c'entra assolutamente niente con il brano in questione.


Ma la ghost track più famosa di Elio e le Storie Tese è senza dubbio quella contenuta sullo splendido "Eat The Phikis" del 1996. Pochi sanno, però, che questo disco non contiene una, ma ben due ghost track. La tredicesima traccia del disco, intitolata "Neanche un minuto di non caco" (ovvero, la leggendaria versione de "La terra dei cachi" suonata integralmente in soli 55 secondi la prima serata del Festival di San Remo), dura in realtà 15 minuti. Al termine del brano, dopo qualche campionamento da cartone animato, il disco tace per qualche minuto. Il silenzio è rotto dalla voce del sintetizzatore vocale Eloquens: "Attenzione, in questo brano c'è troppo poco eco" (da notare che la parola "eco" è femminile...). A questo punto parte un mixaggio leggermente differente del brano "T.V.U.M.D.B.", già presente su disco (e con una splendida interpretazione vocale di Giorgia): oltre a esserci troppa poca eco (da segnalare che sul libro "Vite Bruciacchiate", un po' l'autobiografia di Elio e le Storie Tese, si fa riferimento al "riverbero eccessivo" su questo brano, forse questo il motivo per cui entrambe le versioni sono state inserite su disco), c'è anche qualche leggero cambiamento qua e là, ma niente di drastico. Al termine di questa alternate version, ci sono altri minuti di silenzio seguiti da 2-3 minuti di suoni velocizzati. Per sentire queste misteriose registrazioni, il procedimento che dobbiamo utilizzare è più o meno lo stesso che abbiamo usato per la ghost track di "Italyan, Rum Casusu Çikti", ma questa volta occorre anche riprodurre al contrario. Il risultato più vicino a un pitch corretto dovrebbe durare più o meno 14:50". Si tratta di un quarto d'ora di prove in studio, probabilmente registrate con un registratore a cassette portatile (in un paio di punti il pitch è un pochino altalenante), una sorta di documentario audio "Making of" del disco. Vale la pena spendere un po' di parole su questa ghost track, perché "Eat The Phikis" è uno dei dischi meglio arrangiati e più elaborati di Elio e le Storie Tese. Non a caso, molte delle registrazioni nella ghost track risalgono a due anni prima dell'uscita del disco (è la voce stessa di Rocco Tanica a dirlo). Il primo frammento che si sente è una versione elettronica de "La Terra Dei Cachi" (probabilmente ancora una demo). Il testo è un po' diverso ("il visagista delle dive/altro bello stronzo") e l'arrangiamento è piuttosto divertente. Su "Del Meglio Del Nostro Meglio Vol.1" tra "Pipppero" e "Abitudinario", compare una versione ri-registrata di questo arrangiamento, abbastanza fedele alla versione nella ghost track. Segue una registrazione nella quale Elio e Rocco stanno scrivendo un testo (mai pubblicato, per cui non si sa a quale melodia volessero appiopparlo). Nel testo che in quel momento stanno componendo, il protagonista immagina di essere il capo del mondo che però, invece di svolgere i suoi compiti, delega tutti i suoi doveri al vice-capo del mondo e passa l'intera giornata a giocare ai videogiochi sul suo pc. Purtroppo, però, non è il capo del mondo e deve accontentarsi di giocare con i giochi del suo pc "che comunque sono molto belli". L'idea è molto divertente (e diverte anche gli stessi Elio e Rocco, che non fanno altro che ridere durante la stesura) e perfettamente nel loro stile. La terza parte della traccia fantasma è una prova in studio di un brano tutt'ora inedito, identificato come "Politica" (o meglio, Elio ripete la parola "politica" continuamente nel testo). Si tratta di un brano hard rock cantato in falsetto, sulla falsariga di "Yes, I Love You" pubblicata su "Tutti Gli Uomini Del Deficiente". Il testo di questo brano è ancora grezzo e nonostante contenga alcuni giochi di parole tipici del gruppo (chi altri potrebbe snocciolare una frase come "crogiuolo di partiti a forma di truogolo"?) è chiaramente ancora non finito e non sembra promettere molto bene. In realtà tutto il brano sembra abbastanza sottotono, probabilmente la vera ragione per cui non è mai stato pubblicato da nessuna parte. Segue una versione piano e voce di un brano che, al momento della pubblicazione di "Eat The Phikis" era ancora inedito, ma ora non lo è più. Si tratta della mitica parodia di Ligabue "Bis", pubblicata tre anni dopo sull'album "Craccracriccrecr". La stesura qua pubblicata ha ancora un testo molto diverso ed è interessante comparare le due. Purtroppo però questo brano è proprio quello disturbato dalla velocità non costante del nastro e quindi l'ascolto potrebbe risultare fastidioso. Proseguendo, ci sono due frammenti della realizzazione dell'ottima "Burattino Senza Fichi". La prima parte che si sente è la strofa, suonata e cantata da Rocco Tanica. Purtroppo le parole non si capiscono quasi per niente (il volume del piano è molto più alto rispetto alla voce), però si nota subito che non solo il testo è completamente diverso, ma non viene fatto neanche un riferimento a Pinocchio. Per questo motivo è probabile che il brano inizialmente avesse un altro titolo. Il secondo frammento, risalente chiaramente ad un'altra session, mostra sempre Rocco Tanica comporre il brano, ma questa volta il ritornello che è praticamente uguale, a parte una gustosa citazione a "Get Back" dei The Beatles ("Geppetto, geppetto, geppetto" sull'aria di "Get back! Get back! Get back!"). Successivamente, si sente un frammento strumentale di piano che non si riesce ad identificare, anche se potrebbe essere una prova di arrangiamento del finale di "Li Immortacci" (come vedrete più avanti, all'interno della ghost track ve ne sono anche altre). Seguono le prove di arrangiamento per "La Cinica Lotteria Dei Rigori", simpatica sigla del programma "Mai Dire Gol" nel 1994, in seguito pubblicata nel 1998 sul disco di inediti e rarità "Peerla". Si tratta di uno dei momenti più interessanti della ghost track, soprattutto quando fanno le armonizzazioni (chiamate da Faso "Trio lescano armonizations"). Oltre a provare le armonizzazioni per "La Cinica Lotteria Dei Rigori", ne provano anche per dei cori (in seguito non inseriti) di "Li Immortacci" ("si chiama Micheletto ma il negretto nun vo' fa", su una melodia basata su quella di "Beat It" di Micheletto Jackson). Un altro momento saliente della ghost track è la composizione di "Tapparella" ("tema per un lento, probabilmente argomento festa, balli, lenti"), ancora embrionale, ma con il testo già molto simile a quello definitivo. Solo la musica è più blueseggiante. Dopo altre prove per i cori di "Li Immortacci", la voce di Rocco introduce delle prove per "La Canzone del Delatore" scritta per Claudio Bisio, ma purtroppo non sono presenti perché dopo un paio di secondi di piano, la ghost track termina. Insomma, come potete capire da questa pedante descrizione, si tratta di una ghost track molto generosa e affascinante, soprattutto per chi fa musica, perché consente di vedere come lavorano in studio Elio e le Storie Tese.


Giunti a "Craccracriccrecr" nel 1999, le ghost track smettono di essere velocizzate e vengono presentate "in chiaro", probabilmente perché ormai, scoprirle era diventato troppo facile. La traccia fantasma di questo disco si potrebbe definire in un certo senso una versione pornografica di "Alan's Psychedelic Breakfast" dei Pink Floyd. Registrata con una tecnica chiamata olofonia, il surreale brano è introdotto da una voce distorta che afferma che l'ascoltatore sta per "fare l'amore con Elio e le Storie Tese" e il brano è poco più che questo. Un po' come guardarde un porno in 3D, solo dal punto di vista dell'audio. La citazione a "Alan's Psychedelic Breakfast" sono gli interventi bluesy di chitarra acustica che si sovrappongono a tutto ciò. Al termine dell'"amplesso", Elio propone di far ascoltare a "questo meraviglioso essere umano" (cioé l'ascoltatore) alcuni brani inediti (probabile citazione alla ghost track di "Eat The Phikis"), ma i suoi compagni di gruppo, per tutta risposta, si sganasciano dal ridere. Una piccola curiosità: al termine del brano si sente un coro apparentemente scollegato a tutto il resto. Si tratta soltanto di una pista vocale di Feiez isolata da tutto il resto. Come ben sapete, il largo factotum del gruppo (così chiamato affettuosamente dagli altri perché di grossa corporatura e perché capace di suonare moltissimi strumenti) è scomparso il 23 Dicembre del 1998, in seguito ad un'emorralgia interna, cronologicamente nel mezzo delle session del disco. Per cui il disco, oltre a essere dedicato a lui, si apre con un suo assolo di sassofono e si chiude con un suo coro.


Quella contenuta sul primo live album ufficiale di Elio e le Storie Tese, "Made in Japan" del 2001, non è una vera e propria ghost track poiché la durata dell'ultima traccia del secondo CD ("Tapparella") è la stessa riportata sul retro, ma è comunque un interessante bonus del quale non si fa menzione da nessuna parte né sul CD né sul libretto: si tratta del finale del concerto di James Taylor al Night Express di Milano il 29 Settembre del 1997, durante il quale Elio e le Storie Tese fecero da backing band per il cantautore Statunitense. Durante questo finale, inserito anche su disco, Taylor, appunto, presenta i nostri eroi.


Lo stesso discorso si può fare per l'album "Cicciput", del 2003, trionfale ritorno in studio dopo quattro anni di assenza. L'ultima traccia "Pagàno karaoke", una versione strumentale di "Pagàno", uno dei loro brani migliori, dura 7:18", come effettivamente segnato sul retro. Il brano vero e proprio però finisce a circa 5 minuti e mezzo. Ciò che si sente dopo, a volte è segnato come la quattordicesima traccia del disco intitolata "Elio, vai avanti tu". Questo frammento, della durata di circa due minuti, non è altro che un loop continuo della voce di Enrico Ruggeri, preso da "Gimmi I.", che appunto ripete la frase incriminata con vari effetti applicati sul suono. E' abbastanza fastidioso, ossessivo e irritante, a dire la verità, ma probabilmente lo scopo era quello.


Ma il premio ghost track più brutta spetta a quella contenuta sul triplo CD live "Grazie per la splendida serata", del 2005. Dopo una decina di minuti di silenzio nell'ultima traccia dell'ultimo CD ("Budy Giampi") parte un groove di basso e batteria con sopra alcuni versi di Mangoni, probabilmente registrato durante un soundcheck. Molto irritante e ricorda molto i versi che fanno i prigionieri di guerra quando vengono torturati. Ce n'era bisogno? Probabilmente no, ma abbiamo pur sempre altri 32 ottimi brani da sentire nel disco, quindi perché lamentarsi?


L'ultimo album (per ora) a contenere una ghost-track è "Studentessi" del 2008, un album che ha molto rassicurato noi fan che, dopo tanti anni di assenza in studio (e due album live di fila), ci chiedevamo se Elio e le Storie Tese non avessero esaurito la loro linfa. Durante i primi secondi di "Plafone" ho subito tirato un sospiro di sollievo e ancora di più durante "Il Congresso delle Parti Molli", uno dei brani più belli che il complessino abbia mai creato, soprattutto la meravigliosa coda finale. Comunque, questo disco, contiene non una ma due ghost track. Niente di particolarmente interessante a dire il vero, in questo caso sembra sia più una consuetudine che altro. Dopo l'ultimo pezzo, la quarta parte di "Effetto Memoria", simpatico brano realizzato a puntate durante il disco (nel quale ogni membro del gruppo si scambia gli strumenti), al solito silenzio segue una prova di Maurizio Crozza. Sia su questo album che sul precedente "Cicciput", Crozza fa una parodia di una pubblicità progresso dedicata alla Toscana: su "Cicciput" dice di non portare via i sassi dalla Toscana perché questo significherebbe spargere la Toscana per tutto il mondo (che a quel punto "potrebbe chiamarsi direttamente Toscana"), su "Studentessi" invece dice che ormai c'è l'allarme opposto: adesso la Toscana è invasa dai sassi e vanno portati via. Tutto questo senza riuscire a rimanere serio. In questa prima ghost-track, della durata solo di qualche secondo, sia lui che Elio si sganasciano dalle risate, incapaci di parlare. Segue un altro po' di silenzio e poi il disco si chiude definitivamente con una reprise della terza parte della già citata "Effetto Memoria". La terza e quarta parte erano cantate da Claudio Baglioni, il quale canta anche la versione ghost-track, accompagnandosi però con la sola chitarra acustica. Abbastanza carino, dopotutto.



(Per questo articolo ringrazio il sito www.marok.org [vera e propria bibbia di Elio e le Storie Tese] che spesso mi è venuto in soccorso per certe citazioni di cui non ero sicuro. Segnalo anche che in tale sito è possibile scaricare le due ghost track decriptate di "Italyan, Rum Casusu Çikti" e "Eat The Phikis". Per amor di cronaca va però fatto notare che la prima è leggermente più veloce di quello che dovrebbe essere e la seconda è su un file mp3 compresso, per cui perde ulteriormente un po' di qualità [già bassa di suo]. Tuttavia, presumo che molti di voi si accontentino dei file presentati che risparmiano tempo e consentono comunque di farsi un'idea di ciò che avviene nelle due tracce nascoste)

mercoledì 2 novembre 2011

Prog Exhibition 2011: Pochi ma buoni


Prog Exhibition 2011: Pochi ma buoni.

Nella cornice di un teatro semivuoto ciò che si è visto sul palco del Teatro Tendastrisce ha dello spettacolare. I nomi dei gruppi, che non sono altisonanti come nel 2010, hanno suscitato due reazioni: sconforto e curiosità. E così c'è chi ha preferito restare a casa e chi, interessato ha assistito ad un Prog di alto livello. La mancanza di pubblico ha reso il clima ancora più intimo, rendendo disponibile lo scambio di idee con gli artisti come un normale colloquio con un amico, così come dovrebbe sempre essere.

Il 21 ottobre, nel terribile freddo del teatro, abbiamo assistito ad uno spettacolo quasi interamente strumentale. Gli Stereokimono, gruppo che si trova sotto l'etichetta “Immaginifica” di Franz Di Cioccio, hanno aperto lo spettacolo con sonorità particolari e un'ottima batterista donna, Cristina Atzori. Parliamo di donne proprio perchè, come vedrete nell'articolo, sono state protagoniste in gran parte anche loro, provocando commenti positivi da parte del pubblico. Gli Oak, trascinati dalla simpatia di Maartin Allcock, ex chitarrista dei Jethro Tull, riprendono lo stile proprio dalla band di Ian Anderson come si evince dall'aspetto del cantante Jerry Cutillo e dal suo modo di presentarsi sul palco. Entrambi i gruppi di apertura decisamente positivi.

Tra i principali hanno aperto i Saint Just Again dell'incredibile Jenny Sorrenti, che continua a conservare una voce unica, tra il lirico e il melodico, nonostante siano passati tanti anni. Assieme alla sua band l'esibizione si è incentrata sul nuovo lavoro “Prog Explosion” che segna il ritorno dei Saint Just un po' come successe l'anno scorso con la Raccomandata Con Ricevuta Di Ritorno. Il momento tanto atteso però era la prima esibizione di Jenny e Alan, tutto in famiglia Sorrenti. Alan è stato un'icona del Prog Italiano negli anni '70, lasciando degli album importanti e influenti, in particolare “Aria”, che tra l'altro, annuncia lo stesso cantante napoletano, vorrebbe riproporre per intero nell'immediato futuro. Tuttavia, l'esibizione con la sorella di “Vorrei Incontrarti”, in generale non ha colpito, anzi, all'interno del gruppo ufficiale dedicato alla Prog Exhibition, ha provocato diverse critiche in particolare per la voce di Alan. Insomma non è più “Aria”.

Seguono ai Saint Just Again gli Ut, una delle infinite formazioni dei New Trolls, appena sfornata. Adesso diventa veramente difficile non confondersi tra le innumerevoli band che rappresentano la parte Prog o no. In ogni caso, il progetto nasce a tavola (racconta Iaia De Capitani), e dopo aver provato, il gruppo ha avuto quindici minuti di spazio, terminati dignitosamente richiamando Concerto Grosso con Adagio. Ottima prova.

Dopo la breve parentesi entra in scena Gianni Leone con Il Balletto Di Bronzo. Talento incredibile, Gianni all'eta di 17 anni ha composto una pietra miliare altamente complessa: Ys. Ovviamente l'esibizione si è incentrara soprattutto su quest'album che nell'Introduzione viene accompagnato dal primo grandissimo ospite della manifestazione: Richard Sinclair. L'ex Hatfield And The North e Caravan è come tutti gli artisti dovrebbero essere: simpatico, aperto al dialogo, umile. A tutto questo ovviamente si aggiunge la sua grandissima qualità e lo stile che lo ha contraddistinto in questi anni.

Mentre nel 2010 la prima serata veniva chiusa dalla PFM con Ian Anderson, quest'anno lo spazio maggiore è riservato agli Arti & Mestieri (con il ritorno di Gigi Venegoni) e Mel Collins che sostituisce Darryl Way, storico violinista dei Curved Air che non è potuto partire a causa di problemi di salute e a cui auguriamo una pronta guarigione. A guardare i nomi, come blasone, non ci sarebbe paragone, ma questo è esattamente il modo di pensare più sbagliato. Nonostante mancassero elementi come il sax e il violino, fondamentali per una band di questo tipo che tende verso il jazz, la doppia chitarra ha nascosto la loro assenza sostituendo questi due strumenti impeccabilmente. All'interno di questa band ritroviamo una presenza già presente con i The Trip l'anno precedente: Furio Chirico. Incredibile batterista dalla potenza inaudita e dalla tecnica sopraffine, che accompagnato da Beppe Crovella, Gigi Venegoni e Co., ha riproposto la maggior parte del lavoro “Articolazioni” del 1974. Apprezzatissimo anche Mel Collins, che sul palco si mostra molto timido, già in collaborazione precedentemente con gli Arti & Mestieri e attualmente impegnato con il mago del Prog Robert Fripp.


La seconda serata si apre con una delle realtà più importanti del Prog odierno, i perugini del Bacio Della Medusa. Dimostrano di non sentire la pressione delle grandi manifestazioni hanno mostrato una grinta incredibile e definirei spettacolare la corsa del cantante Simone Cecchini tra il pubblico. I perugini rimangono probabilmente la più grande sorpresa delle due serate.

Ma da non sottovalutare è la grandissima prova di Vic Vergeat, chitarrista dal talento inestimabile, molto vicino allo stile Hendrixiano. Molti hanno considerato la sua presenza “inadeguata” per uno stile che non si avvicina al Prog ma bensì al Blues/ Hard Blues. In ogni caso nessuno ha avuto da ridire sulla sua prova, oltre a quella dei suoi musicisti e di, nuovamente, Mel Collins, tornato anche il 22 come prestabilito dal programma.

Prima di parlare dei Garybaldi è opportuno rivolgere un pensiero affettuoso a Bambi Fossati, leader del gruppo, grandissimo musicista, che purtroppo è in pessime condizioni di salute.

Sui genovesi non c'è discussione. Anche se il volume della chitarra era smisurato, ripresentare brani della bellezza di Moretto Da Brescia: Goffredo e Giardino Del Re è un incredibile punto a loro favore; d'altronde rimane di straordinaria bellezza l'album su cui si è incentrata l'esibizione: Nuda. Con loro ha duettato Marco Zoccheddu della Nuova Idea, unico ospite italiano se non consideriamo Gigi Venegoni che di fatto è un membro storico degli Arti & Mestieri.

Verrebbe da usare l'aggettivo “perfetta” se ci riferiamo alla performance del Biglietto Per L'Inferno.Folk. E' proprio quel “.Folk” che inizialmente rendeva tutti scettici ma i riarrangiamenti in chiave Folk dell'omonimo album del 1974 hanno sorpreso tutti, anche se alla voce non vi è più Claudio Canali (è diventato frate) ma Mariolina Sala, e qui si risale al discorso riguardante l'effetto delle donne. Appunto, come detto, molti brani sono stati completamente reinventati mantenendo lo stesso testo, tranne Confessione che rappresenta il capolavoro del gruppo e che ha subito pochissimi cambiamenti soprattutto nell'assenza di tastiere sostituite da flauti, fisarmoniche e così via. Lì il pubblico ha iniziato a scaldarsi, ma è diventato incandescente quando Martin Barre, storico chitarrista dei Jethro Tull, ha intonato le prime note di Aqualung. Al termine della sua esibizione il pubblico si è alzato in piedi senza esitazione.

Successivamente ai problemi tecnici iniziali, i Goblin hanno potuto iniziare il loro concerto. Nonostante siano stati impeccabili rimane il bisogno e l'utilità, per un gruppo specializzato in colonne sonore, di avere un maxi schermo e di offrire quindi uno spettacolo visivo oltre che sonoro. Dopo il viaggio intrapreso passando per Roller e Suspiria, al momento dell'esecuzione di Profondo Rosso, l'entrate in scena del leggendario Steve Hackett ha scatenato un urlo generale. Pur dovendo ammettere che la rappresentazione da parte dei Goblin di Watcher Of The Skies non sia stata il massimo, le emozioni sono state incontrollabili così come sono state grandissime anche nella Jam finale.

La Jam sembra quasi nata come una ripicca nei confronti di chi ha chiesto l'anno prima la ripetizione della Prog Ex e poi non si è presentato quest'anno. E' stato quindi visto come un evento unico e irripetibile. E in effetti vedere insieme Di Cioccio, Collins, Sinclair, Barre, Hackett e inseriamo anche la simpatia di Allcock, è un qualcosa che mai più si rivedrà.


Dalla Prog Exhition Iaia De Capitani si è lasciata andare ad alcune anticipazioni. Sappiamo che ci sarà una Prog Exhibition 2012 e che probabilmente saranno presenti gli Area. Sappiamo anche che uscirà un nuovo cofanetto ma questa volta quasi solamente audio e con pochi spezzoni/interviste video. In conclusione il resoconto finale è positivissimo. Le manifestazioni servono proprio per dar spazio a chi è sottovalutato. In questo Iaia e Franz sono riusciti alla grande. La mentalità che deve cambiare è quella degli assenti, che concentrandosi sul blasone del nome, perdono la possibilità di assistere a degli spettacoli suggestivi e non comuni.Prog Exhibition 2011: Pochi ma buoni.

Nella cornice di un teatro semivuoto ciò che si è visto sul palco del Teatro Tendastrisce ha dello spettacolare. I nomi dei gruppi, che non sono altisonanti come nel 2010, hanno suscitato due reazioni: sconforto e curiosità. E così c'è chi ha preferito restare a casa e chi, interessato ha assistito ad un Prog di alto livello. La mancanza di pubblico ha reso il clima ancora più intimo, rendendo disponibile lo scambio di idee con gli artisti come un normale colloquio con un amico, così come dovrebbe sempre essere.

Il 21 ottobre, nel terribile freddo del teatro, abbiamo assistito ad uno spettacolo quasi interamente strumentale. Gli Stereokimono, gruppo che si trova sotto l'etichetta “Immaginifica” di Franz Di Cioccio, hanno aperto lo spettacolo con sonorità particolari e un'ottima batterista donna, Cristina Atzori. Parliamo di donne proprio perchè, come vedrete nell'articolo, sono state protagoniste in gran parte anche loro, provocando commenti positivi da parte del pubblico. Gli Oak, trascinati dalla simpatia di Maartin Allcock, ex chitarrista dei Jethro Tull, riprendono lo stile proprio dalla band di Ian Anderson come si evince dall'aspetto del cantante Jerry Cutillo e dal suo modo di presentarsi sul palco. Entrambi i gruppi di apertura decisamente positivi.

Tra i principali hanno aperto i Saint Just Again dell'incredibile Jenny Sorrenti, che continua a conservare una voce unica, tra il lirico e il melodico, nonostante siano passati tanti anni. Assieme alla sua band l'esibizione si è incentrata sul nuovo lavoro “Prog Explosion” che segna il ritorno dei Saint Just un po' come successe l'anno scorso con la Raccomandata Con Ricevuta Di Ritorno. Il momento tanto atteso però era la prima esibizione di Jenny e Alan, tutto in famiglia Sorrenti. Alan è stato un'icona del Prog Italiano negli anni '70, lasciando degli album importanti e influenti, in particolare “Aria”, che tra l'altro, annuncia lo stesso cantante napoletano, vorrebbe riproporre per intero nell'immediato futuro. Tuttavia, l'esibizione con la sorella di “Vorrei Incontrarti”, in generale non ha colpito, anzi, all'interno del gruppo ufficiale dedicato alla Prog Exhibition, ha provocato diverse critiche in particolare per la voce di Alan. Insomma non è più “Aria”.

Seguono ai Saint Just Again gli Ut, una delle infinite formazioni dei New Trolls, appena sfornata. Adesso diventa veramente difficile non confondersi tra le innumerevoli band che rappresentano la parte Prog o no. In ogni caso, il progetto nasce a tavola (racconta Iaia De Capitani), e dopo aver provato, il gruppo ha avuto quindici minuti di spazio, terminati dignitosamente richiamando Concerto Grosso con Adagio. Ottima prova.

Dopo la breve parentesi entra in scena Gianni Leone con Il Balletto Di Bronzo. Talento incredibile, Gianni all'eta di 17 anni ha composto una pietra miliare altamente complessa: Ys. Ovviamente l'esibizione si è incentrara soprattutto su quest'album che nell'Introduzione viene accompagnato dal primo grandissimo ospite della manifestazione: Richard Sinclair. L'ex Hatfield And The North e Caravan è come tutti gli artisti dovrebbero essere: simpatico, aperto al dialogo, umile. A tutto questo ovviamente si aggiunge la sua grandissima qualità e lo stile che lo ha contraddistinto in questi anni.

Mentre nel 2010 la prima serata veniva chiusa dalla PFM con Ian Anderson, quest'anno lo spazio maggiore è riservato agli Arti & Mestieri (con il ritorno di Gigi Venegoni) e Mel Collins che sostituisce Darryl Way, storico violinista dei Curved Air che non è potuto partire a causa di problemi di salute e a cui auguriamo una pronta guarigione. A guardare i nomi, come blasone, non ci sarebbe paragone, ma questo è esattamente il modo di pensare più sbagliato. Nonostante mancassero elementi come il sax e il violino, fondamentali per una band di questo tipo che tende verso il jazz, la doppia chitarra ha nascosto la loro assenza sostituendo questi due strumenti impeccabilmente. All'interno di questa band ritroviamo un elemento già presente con i The Trip l'anno precedente: Furio Chirico. Incredibile batterista dalla potenza inaudita e dalla tecnica sopraffine, che accompagnato da Beppe Crovella, Gigi Venegoni e Co., ha riproposto la maggior parte del lavoro “Articolazioni” del 1974. Apprezzatissimo anche Mel Collins, che sul palco si mostra molto timido, già in collaborazione precedentemente con gli Arti & Mestieri e attualmente impegnato con il mago del Prog Robert Fripp.


La seconda serata si apre con una delle realtà più importanti del Prog odierno, i perugini del Bacio Della Medusa. Dimostrano di non sentire la pressione delle grandi manifestazioni, hanno mostrato una grinta incredibile e definirei spettacolare la corsa del cantante Simone Cecchini tra il pubblico. I perugini rimangono probabilmente la più grande sorpresa delle due serate.

Ma da non sottovalutare è la grandissima prova di Vic Vergeat, chitarrista dal talento inestimabile, molto vicino allo stile Hendrixiano. Molti hanno considerato la sua presenza “inadeguata” per uno stile che non si avvicina al Prog ma bensì al Blues/ Hard Blues. In ogni caso nessuno ha avuto da ridire sulla sua prova, oltre a quella dei suoi musicisti e di, nuovamente, Mel Collins, tornato anche il 22 come prestabilito dal programma.

Prima di parlare dei Garybaldi è opportuno rivolgere un pensiero affettuoso a Bambi Fossati, leader del gruppo, grandissimo musicista, che purtroppo è in pessime condizioni di salute.

Sui genovesi non c'è discussione. Anche se il volume della chitarra era smisurato, ripresentare brani della bellezza di Moretto Da Brescia: Goffredo e Giardino Del Re è un incredibile punto a loro favore; d'altronde rimane di straordinaria bellezza l'album su cui si è incentrata l'esibizione: Nuda. Con loro ha duettato Marco Zoccheddu della Nuova Idea, unico ospite italiano se non consideriamo Gigi Venegoni che di fatto è un membro storico degli Arti & Mestieri.

Verrebbe da usare l'aggettivo “perfetta” se ci riferiamo alla performance del Biglietto Per L'Inferno.Folk. E' proprio quel “.Folk” che inizialmente rendeva tutti scettici ma i riarrangiamenti in chiave Folk dell'omonimo album del 1974 hanno sorpreso tutti, anche se alla voce non vi è più Claudio Canali (è diventato frate) ma Mariolina Sala, e qui si risale al discorso riguardante l'effetto delle donne. Appunto, come detto, molti brani sono stati completamente reinventati mantenendo lo stesso testo, tranne Confessione che rappresenta il capolavoro del gruppo e che ha subito pochissimi cambiamenti soprattutto nell'assenza di tastiere sostituite da flauti, fisarmoniche e così via. Lì il pubblico ha iniziato a scaldarsi, ma è diventato incandescente quando Martin Barre, storico chitarrista dei Jethro Tull, ha intonato le prime note di Aqualung. Al termine della sua esibizione il pubblico si è alzato in piedi senza esitazione.

Successivamente ai problemi tecnici iniziali, i Goblin hanno potuto iniziare il loro concerto. Nonostante siano stati impeccabili rimane il bisogno e l'utilità, per un gruppo specializzato in colonne sonore, di avere un maxi schermo e di offrire quindi uno spettacolo visivo oltre che sonoro. Dopo il viaggio intrapreso passando per Roller e Suspiria, al momento dell'esecuzione di Profondo Rosso, l'entrate in scena del leggendario Steve Hackett ha scatenato un urlo generale. Pur dovendo ammettere che la rappresentazione da parte dei Goblin di Watcher Of The Skies non sia stata il massimo, le emozioni sono state incontrollabili così come sono state grandissime anche nella Jam finale.

La Jam sembra quasi nata come una ripicca nei confronti di chi ha chiesto l'anno prima la ripetizione della Prog Ex e poi non si è presentato quest'anno. E' stato quindi visto come un evento unico e irripetibile. E in effetti vedere insieme Di Cioccio, Collins, Sinclair, Barre, Hackett e inseriamo anche la simpatia di Allcock, è un qualcosa che mai più si rivedrà.


Dalla Prog Exhition Iaia De Capitani si è lasciata andare ad alcune anticipazioni. Sappiamo che ci sarà una Prog Exhibition 2012 e che probabilmente saranno presenti gli Area. Sappiamo anche che uscirà un nuovo cofanetto ma questa volta quasi solamente audio e con pochi spezzoni/interviste video. In conclusione il resoconto finale è positivissimo. Le manifestazioni servono proprio per dar spazio a chi è sottovalutato. In questo Iaia e Franz sono riusciti alla grande. La mentalità che deve cambiare è quella degli assenti, che concentrandosi sul blasone del nome, perdono la possibilità di assistere a degli spettacoli suggestivi e non comuni.

martedì 25 ottobre 2011

Coldplay - Mylo Xyloto (Parlophone, 2011)


Non si è voluto fare nessun antefatto per questa recensione, giacché l'esagerata campagna di marketing che Chris Martin in prima persona ha condotto prima dell'uscita di Mylo Xyloto ha già contestualizzato abbastanza i suoi obiettivi e il suo habitat naturale.
Trascinandoci a forza nel vivo dell'ascolto, ci troviamo di fronte ad un'amara considerazione, più che altro una constatazione: i Coldplay vanno analizzati con la conoscenza pregressa della loro carriera. Questo significa sapere che sono stati una band "alternative rock" per pochissimo tempo, forse per metà del running time dei primi due dischi, mentre dal capolavoro X&Y ad oggi sono stati sostanzialmente una macchietta pop sempre alla ricerca di successo e denaro. Detto questo, la parabola discendente della qualità dei dischi non impedisce a Mylo Xyloto di avere degli ottimi momenti e di risultare, tutto sommato, un interessante episodio nella loro storia. "Charlie Brown" e "Up With The Birds", i due brani migliori del disco, forti di una fluidità pop/rock che li connette immediatamente con i bei tempi di Parachutes, circoscrivono l'ambientazione di un album molto ben caratterizzato in ambito melodico, soprattutto in virtù di quella finalità ormai significativamente appiccicata al nome dei Coldplay: riempire gli stadi. Ecco allora i singoli "Paradise", "Every Teardrop Is A Waterfall" (con una melodia che, come sottolineano anche altri fonti in rete, sembra un plagio di "Ritmo de la Noche" di MYSTIC, pezzo osceno peraltro) e il probabile futuro estratto "Don't Let It Break Your Heart" che ci precisano la loro vocazione di band che può, e sa, perfettamente come far ballare, ondeggiare ed urlare degni del miglior Bono Vox. E di accostamenti agli U2, viste molte vicinanze nell'approccio chitarristico, dovremo farne molti altri (ma si evitano volentieri altri ingombranti paragoni).
Per allontanarsi dai Coldplay di Viva la Vida è necessario rivolgersi all'odioso featuring con Rihanna, già detestato da critici e fans (ed effettivamente "Princess of China", seppur ascoltabile, è una canzone molto debole se paragonata al resto del disco) e soprattutto a "Major Minus", con un piglio, soprattutto al basso, molto più indie rock. Qui ha ricordato molto i Kasabian, ma il pezzo è tutto sommato molto carino e non ristagna in nessun momento, soprattutto se lo vediamo come una parentesi di distacco dal resto. Abbiamo poi un momento vagamente soft punk, in particolar modo nel drumming, con la iniziale "Hurts Like Heaven", interessante probabilmente più nei live mentre in studio perde verve per una produzione un po' troppo rumorosa che toglie interesse alla voce.

Il resto del disco non ha mordente e troviamo alcuni elementi-riempitivo, come "U.F.O." e "Up In Flames" che si ascoltano senza annoiarsi troppo ma si eviterebbero volentieri. La produzione di Brian Eno svolge il consueto ottimo lavoro, anche se risulta un po' fuori fuoco rispetto al disco precedente. Il sound è leggermente più confuso, a parte le chitarre, la voce quasi tendente a sparire in alcuni momenti, mentre piccole fiammate epiche sottostanno a ottimi inserimenti degli archi di Eno in persona. Poco in risalto invece il basso, che meriterebbe qualche attenzione di più.
Mylo Xyloto è solo e soltanto quello che i Coldplay possono essere nel 2011. Una band pop da stadio senza nessuna pretesa in più: forse sbaglia più chi li ritiene ancora all'altezza di album come Parachutes e A Rush of Blood To The Head, non accorgendosi che il mondo che gli appartiene è solo e soltanto quello di MTV. Se la vediamo in quest'altro modo, apprezzeremo tutti senz'altro questo album, mediocre ma con una grande anima radiofonica che risulterà per questo, ai più, "scontata".

Voto: 6,5

sabato 24 settembre 2011

Dream Theater - A Dramatic Turn Of Events (Roadrunner Records, 2011)


Pionieri del Progressive Metal, i Dream Theater sono una delle migliori espressioni del genere soprattutto negli anni '90. Amatissimi ed odiatissimi, il pubblico si divide in chi li apprezza in tutte le loro sfumature e in chi li considera ripetitivi ma in particolare “senza cuore”, puntando solamente a quella che è l'esaltazione della tecnica che spesso va a discapito della melodia. L'ipertecnicismo simile a quello degli Emerson, Lake And Palmer e in effetti le principali ispirazioni della band partono esattamente dagli albori del Progressive Rock anni '70: Genesis, i già citati ELP, Yes, Pink Floyd e King Crimson soprattutto. La componente Hard/Metal facendo sempre riferimento ai passati Black Sabbath, Deep Purple e Led Zeppelin, arriva grossomodo dagli anni '80 con lo sviluppo del Trash tipico Metallica e dell'Heavy Metal degli Iron Maiden. Tappa fondamentale di ispirazione della band sono i Rush a cui Portnoy è molto attaccato. Iniziando sotto il nome di Majesty (poi sostituito con l'attuale a causa di diritti), i Dream Theater hanno realizzato una demo con il cantante Chris Collins poi sostituito da Charlie Dominici. Con lui è arrivato il primo album sotto il nome storico della band: When Dream And Day Unite (1989). In realtà anche se il disco rimane di pregiata fattura, la band troverà il suo sound tipico solamente con l'arrivo di James LaBrie, ex Winter Rose, sfornando quello che da sempre è considerato il più grande capolavoro della band: Images And Words. Gli anni '90 continueranno ad essere gloriosi per la band. Ad Images And Words succede Awake che sfocia in sonorità più cupe e tenebrose. Da lì in poi i DT continueranno a mantenere il proprio stile ma passando verso una fase più Progressive Rock (Falling Into Infinity (1997)), fino all'avvento di Jordan Rudess che sostituisce Derek Sherinian già a sua volta rimpiazzo di Kevin Moore durante il tour di Awake. Proprio con Rudess arriva il capolavoro che si contende il trono di pietra miliare del gruppo con il già citato IAW: Metropolis Pt.2 "Scenes Form a Memory" (1999), un concept album apprezzatissimo e profondissimo, seguito poi dal meravigliosoSix Degrees Of Inner Turbulence (2002) (incredibile l'esecuzione dell'omonima suite con l'Octavarium Orchestra nel live Score). Era il 2002, ed è proprio da lì e dal successivo Train Of Thought (2003) che iniziano a girare critiche. Gli appassionati si dividono, chi li critica da Train Of Thought e reputa Octavarium (2005) un album non rilevabile tranne per la suite omonima e chi li etichetta come ripetitivi e avvicinati troppo al metal da Systematic Chaos (2007) in poi. In effetti, gli americani, cominceranno da SC ad intraprendere sonorità più “metallare” fino poi ad alimentare perplessità con l'ispirazione quasi Black Metal che caratterizza l'ultimo, pessimo album Black Clouds & Silverlinings (2009). Da notare che a partire da Train Of Thought, ogni album, nonostante possa essere poco apprezzato, ha sempre la sua canzone di riferimento, quella che in un certo senso aiuta a trovare positività nel disco. A partire da In The Name Of God, Octavarium, passando per In The Presence Of Enemies e The Count Of Tuscany. Quello che succede successivamente è ancora più discutibile degli avvenimenti passati. Il 9 settembre 2010, Mike Portnoy, membro fondatore con John Myunge John Petrucci, storico batterista apprezzatissimo a livello mondiale, abbandona la band. Alla fine della sua partecipazione con gli Avenged Sevenfold alcune fonti testimoniano il fatto che lo stesso Portnoy abbia richiesto di tornare nei DT ma a quanto pare è stato rifiutato. E' un momento di difficoltà su cui i Dream Theater si mostrano nello stesso tempo simpatici e ridicoli. Infatti verranno provati 7 batteristi di fama mondiale che daranno vita a un documentario stile sitcom dal titolo “The Spirit Carries On”, come l'omonima canzone simbolo della band. Nonostante la grandissima prova di Marco Minnemann, uno dei più grandi batteristi moderni con Gavin Harrison dei Porcupine Tree; LaBrie e compagni scelgono Mike Mangini (ex Annihilator e Steve Vai) che più si avvicina alle caratteristiche di Portnoy e dimostra di avere un'umiltà rara per persone che lavorano a questi alti e pregiati livelli. La nuova formazione dopo alcune date pre-nuovo album attraversando l'Europa darà vita ad A Dramatic Turn Of Events.

Questo excursus d'introduzione sulla storia riassunta della band e sui fatti che riguardano l'abbandono di Portnoy è fondamentale per riuscire a percepire cosa si cela dietro gli aspetti e i temi di questo nuovo lavoro in studio.

L'album rappresenta un grande passo avanti rispetto agli ultimi, le sonorità tornano simili a quelle già espresse negli anni '90, ma nonostante tutto non c'è nulla di nuovo nello stile della band che da anni rimane radicato sullo stesso livello. Ma andiamo ad analizzarlo passo per passo. Canzone di apertura è On The Backs Of Angels, pubblicata sul canale della casa discografica (Roadrunner Records) in modo da essere già presentata nelle date del tour di Luglio. Per questa canzone è stato registrato anche un video, simile alla struttura di A Rite Of Passage, e con un LaBrie spiccante per un paio di occhiali abbastanza inguardabili. Comunque sia, il brano ha come tutte le canzoni della band un inizio coinvolgente dove man mano entrano i membri uno per volta. Per primo Petrucci che esegue un intro simile a quello di Endless Sacrifice o In The Name Of God però in questo caso abbiamo un evoluzione diversa, infatti, si addentrano all'interno del brano insieme Rudess e Mangini fino all'esplosione iniziale. Il riff è tipico, nulla da segnalare, ma quello che notiamo fin da subito è lo stato vocale di LaBrie. In quest'ultimo lavoro della band si percepisce più di ogni altro quanto sia calato il cantante canadese e quanto l'età influisca anche sulla prestazione vocale. Non c'è un acuto e come analizzeremo, le parti cantate sono spesso fin troppo statiche e melodiche per una band di questo livello. La canzone è estremamente orecchiabile ed ha il sound tipico di un singolo ma la parte strumentale nel centro della canzone è virtuosa tanto quanto le altre. Come vedremo Rudess e Petrucci spesso si scambieranno soli in diversi tipi di sfumature, mentre John, come anche in questa canzone, manterrà lo stesso stile che lo ha caratterizzato fino ad adesso, Jordan spazierà su tutti gli strumenti che gli competono, grazie soprattutto alla sua immensa qualità; quindi il pianoforte rappresenta la breve fase di stand-by del brano che a sua volta introduce il solo di Petrucci. Successivamente avremo la ripresa del ritornello con la chiusura che riprende il motivo del riff iniziale. Il secondo brano, Build Me Up, Brake Me Down, è di sicuro, obiettivamente, il più banale dell'intero album. La canzone sembra avere lo stesso ruolo che A Rite Of Passage ha in Black Clouds & Silverlinings, ovvero una traccia inizialmente accettabile ma a lungo andare, davvero stancante. In questa canzone si evidenzia quella che è una struttura spesso ripetuta e riutilizzata dai DT. Si articola in queste fasi: Introduzione, strofa, ritornello, strofa (spesso con una base diversa da quella della precedente), ritornello, strumentale e conclusione. Anche se in questo caso lo strumentale ha poca importanza, la struttura si ripresenta anche in Lost Not Forgotten, terzo brano. E' il primo dei quattro che superano i 10 minuti, quindi uno dei più articolati. Anche qui l'introduzione in piano permette l'esplosione iniziale e i toni, come si evince dalla sonorità più macabra della chitarra, si fanno più pesanti. La voce di LaBrie è leggermente più cattiva dei brani precedenti ma sempre statica e incapace di trasmettere emozioni. Una delle fasi principali del brano è il ritornello, se così lo vogliamo chiamare, che si struttura in quattro frangenti inframezzati da piccole sezioni strumentali. Dopo questo, come di norma, c'è l'evoluzione virtuosa della canzone. Inizia Petrucci, con uno dei classici soli in cui il ritmo cambia continuamente, procede Jordan Rudess, che in questo caso usa la sua tipica sonorità, senza richiami al passato. Come già specificato in precedenza, ancora una volta viene riproposto il ritornello seguito dalla conclusione che qui non è altro che la riproposizione dell'introduzione. Non può mancare così come in ogni album dei Dream Theater, la cosiddetta “ballata”, qui addirittura ne abbiamo tre. La prima è This Is The Life e già il titolo fa pensare alla reazione della band nei confronti dell'abbandono di Portnoy. A differenza di esperimenti mal riusciti come Wither, questa è una delle canzoni più emozionanti dell'album. Da notare la presenza del “Morphwiz”, un applicazione creata direttamente da Rudess per Iphone e Ipad che in effetti è un vero e proprio strumento musicale. E' una delle innovazioni più importanti che permette di creare sonorità mai sentite non solo nei DT ma anche al di fuori del genere. Emozionante anche il solo di Petrucci, simile allo stile di Peruvian Skies, poco Metal ma molto melodico, infatti notiamo come John si impegni a rendere gli assoli più significativi emozionalmente e meno fini a se stessi tecnicamente. Come avete notato i protagonisti sono sempre loro due. La traccia successiva, dal titolo Bridges In The Sky, che in realtà inizialmente doveva chiamarsi The Shaman's Trance, ha un inizio che molti probabilmente hanno inteso come un eruttazione accentuata, chiamata da alcuni scherzosamente in “tempi dispari”, è praticamente impossibile non riuscire a mantenere un aspetto serio inizialmente. Prima del riff iniziale, che ricorda i toni oscuri e cupi di Awake, c'è un ulteriore introduzione con un coro religioso che altro non fa che incutere ancora più terrore. L'inizio è di quelli travolgenti, la sonorità è cattiva, come quella già ascoltata in brani come Honor Thy Father. Nulla da segnalare nella strofa cantata, discreto il ritornello anche se stona leggermente con il suono più tenebroso del resto del brano. Ottima la sezione strumentale, mentre John dà ancora ampio spazio all'esaltazione della sua tecnica personale, Jordan subentra con le sonorità di un organo hammond alla Jon Lord, con richiami ai Deep Purple e a tutti i più grandi Hammondisti. Segue il cambio dall'Hammond al Continuum Fingerboard, il “tappeto magico” già protagonista per esempio nel finale di The Dark Eternal Night. In conclusione senza ripeterlo, torna il ritornello, e ritorna l'eruttazione iniziale. A Bridges In The Sky segue Outcry, un brano altamente pieno di sorprese e incredibilmente tecnico. Come in tutte le altre tracce, Mike Mangini si comporta degnamente, interpretando a pieno le parti scritte da Petrucci. Questo in effetti è il problema; anche se il chitarrista rimane un grande compositore, Mangini sicuramente avrebbe aumentato il livello dell'album se avesse avuto carta bianca. Si tratta di un batterista ultra veloce (detiene due record mondiali) e perfetto per un gruppo come i Dream Theater, riguardo allo stile che hanno adottato fino ad adesso. La canzone si concentra in particolare nella parte centrale dove avvengono cambi di ritmo in continuazione e spesso poco omogenei tra di loro, un po' a ricreare i passi che caratterizzano un Metropolis Pt.1 o un Take The Time. Alcuni di questi passaggi sono altamente stimolanti, basti pensare ai numerosi unisoni che rappresentano una delle caratteristiche fondamentali della band e allo scambio di battute dove Myung accompagna da solo Mangini. Inizialmente la canzone potrà parere confusionaria ma in seguito incomincerà a piacere di più. Esattamente da questo punto inizia il capitolo perfetto dell'album. Far From Heaven è una splendida canzone romantica, in cui anche LaBrie si comporta bene. Il tutto è affidato al pianoforte piangente di Rudess e ai violini di sottofondo, è un atmosfera commovente. La canzone è la più corta dell'album ma è proprio da questa in particolare che si scopre l'animo sensibile della band. In definitiva non è assolutamente da sottovalutare ma da apprezzare a pieno, in particolare perchè introduce il brano più significativo di tutto il lavoro dal gruppo americano. Breaking All Illusions è la ciliegina sulla torta che rievoca i bei momenti passati. Un bellissimo pezzo che richiama inizialmente per struttura e per tono, Learning To Live. Dopo l'accelerazione che avviene successivamente, avviene un intenso scambio. Nel primo Rudess rievoca i suoni del flauto traverso, strumento storico del Progressive Rock e portato in alto grazie anche a Ian Anderson dei Jethro Tull, nel secondo passa al pianoforte, nel terzo all'Organo; tutti divisi da un esplosione che dopo il terzo spunto, quello dell'organo, si placherà lasciando le redini del brano a Petrucci. Il solo che scaturisce da tutto questo è tipico del chitarrista; parte dal soft per aumentare sempre di più. Un po' come in The Spirit Carries On, dove si riprendevano sonorità Pink Floydiane, anche se qui è completamente diverso. Tornerà alla ribalta il tastierista della band che utilizza un suono simile a quello che si poneva prima della chiusura di Beyond This Life, dopo i precendenti assoli. Il finale della canzone è in stile epico, ma è perfetto per il ruolo che assume, ovvero è una degna conclusione sì, ma che non ancora trova il lieto fine che arriva con Beaneath The Surface. In questo finale c'è tanta allegria, la “drammatica serie di eventi”, finisce con l'inizio di una nuova vita e questo rispecchia il carattere di Mangini e compagni.

Come detto tutto questo rappresenta un netto miglioramento rispetto agli ultimi lavori in studio. E allora la domanda che alcuni si chiedono è: “Ma era davvero Portnoy il problema?” “Era lui che spingeva la band verso sonorità eccessivamente Metal?”. Questo non lo sappiamo, ma siamo a conoscenza del fatto che lo stesso Portnoy ha commentato l'album definendolo troppo simile ad Images And Words, non sappiamo se per invidia o se per giudizio, anche perchè qualche mese prima aveva preannunciato di non voler fare nessun commento sul nuovo lavoro. In ogni caso Mangini rappresenta ciò che fa al caso della band, è simile a Portnoy ma si comporta diversamente. Appunto perchè è simile, i Dream Theater hanno voluto non rischiare e decidere di mettere sotto contratto un batterista che non stravolgesse lo stile del gruppo. In effetti Marco Minnemann probabilmente avrebbe portato qualcosa in più, non dal punto di vista tecnico (qualcuno potrebbe anche pensare questo), ma soprattutto per la novità. Tuttavia Mike Mangini si è dimostrato una persona incredibile, chiedendo scusa al pubblico di Roma per aver mancato l'attacco di Fatal Tragedy il 4 luglio e mostrando tantissimo affetto nei confronti dei fan, quindi in quanto a lato umano è una garanzia, anche per il lato professionale ovviamente. L'unica pecca, che rimane una questione di abitudine, è la nuova sonorità che lui offre. La sua Pearl ha un suono differente e forse peggiore rispetto alla Tama di Portnoy.

Il voto finale di quest'album scaturisce da diversi fattori e da diverse motivazioni che adesso vado a spiegarvi.

Le domande che potrebbero essere poste sono due:

Perchè non un voto superiore?

Perchè l'album anche se molto apprezzabile non presenta nulla di nuovo e la grandezza di una band sta anche nella novità. E' normale comunque sia, dopo 25 anni di carriera, avere un calo di creatività ma nonostante tutto, le melodie e la tecnica non mancano.

Perchè non un voto inferiore?

Perchè i Dream Theater hanno attraversato un momento difficile. Dopo l'uscita di Portnoy, è venuto a mancare di fatto il membro che più è amato dal pubblico. Nonostante tutto, la band si è messa subito al lavoro cercando un nuovo batterista e presentando in poco tempo un album che rappresenta comunque una svolta positiva.

Il voto più importante però rimane quello che voi sentite dentro e le emozioni rimangono una questione di puro apprezzamento personale.

Voto:7