lunedì 21 novembre 2011

Cat Claws - Cat Laws (42 Records, 2011)


Nel 2011 si sentiva il bisogno di staccare la spina, cambiare aria ed argomenti, fuggire in maniera subdola ma serena, cancellando il senso di stagnante che si sta pian piano portando via la musica europea. Svicolando attentamente dietro l’angolo, i Cat Claws si inseriscono invece in uno di quei filoni che sta lentamente morendo, forse riuscendo in qualche modo a non risultare fuori tempo massimo e a guadagnarsi una credibilità che pochi altri riescono ancora ad avere. Il grunge è morto molto prima di questo indie così banale da risultare sempre fresco e godibile anche dopo tanti ascolti (il problema è sempre col susseguirsi dei dischi). Dall’Italia gli indie acts hanno spesso deluso, e altre volte (Thoc!, Heike Has The Giggles, Trabant ecc.), cavalcando l’onda del post-punk ballerino dei nuovi club sedicenti new wave, si sono ritagliati uno spazietto neanche troppo minuto, con qualche sostenitore hipster sempre pronto a scavalcare la parola moda con il suo senso iperbolico di fashion che è un termine che vale di più quando si parla “indie-pendente”.
A cosa serve allora questo Cat Laws? Le undici canzoni che lo compongono non introducono novità, non rivoluzionano niente, ma semplicemente riassumono le più importanti direttive dell’indie storico, spiazzando per la diversità degli ingredienti messi in gioco che però sono sempre gli stessi: Joy Division, Pixies, Devo, New Order, derelitti moderni vari e malinconica dolcezza progredita à-la-Strokes, perlomeno per le chitarre. I brani tendono a declinare verso impostazioni già sentite, soprattutto i ritornelli e le entrate di batteria, ma gli incontri quasi iconoclasti tra psichedelia e noise più leggero, per non parlare dell’incespicare electro di alcuni elementi senz’altro più adatti al movimento fisico nei live, risollevano la maturità, l’originalità e l’efficacia del disco, perfetto anche per mandare giù il difficile boccone del secondo lavoro, difficile per molti, come ricordava il buon Caparezza. La voce femminile, ancora abbastanza infrequente nel genere, quindi poco noiosa per i più schizzinosi, rende il tutto, se possibile, più digeribile.
I Cat Claws possono sfruttare la garanzia di fare bene un genere facile ma contemporaneamente complesso da portare in seno nel suo periodo di massimo splendore commerciale, cioè di declino qualitativo. Il songwriting sempre molto pulito, coniugato con una produzione rozza tipica delle registrazioni in presa diretta, gli conferisce anche la ruvidità che denota raramente produzioni analoghe per quanto riguarda l’Europa: dovremo spostarci in Europa ma non lo faremo perché questo disco è nato qui, e lo apprezzeremo solo qui, con i suoi pregi e i suoi limiti, entrambi evidenti.

Voto: 7-

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