martedì 27 gennaio 2015

Mukimukimanmansu - 2012 (Beatball Music Group, 2012)

Questo album è sicuramente la cosa più inusuale e strana di cui abbiamo parlato in questo blog, per cui ci scusiamo anticipatamente se questa recensione dovesse rivelarsi impacciata e goffa. Mukimukimanmansu è un duo sudcoreano, composto da Minwhee Lee (chitarra acustica, voce) e Muki Jeong (percussioni, voce). "2012", prodotto dal DJ Dalpalan, per ora, è l'unico lavoro in studio del gruppo ed è un ascolto, quantomeno, interessante. Tra la strumentazione incredibilmente scarna, argomentata soltanto da qualche fiato e sintetizzatore e la bizzarria delle composizioni, questo disco suona come nient'altro al mondo. 

Nonostante la presenza principale di solo una chitarra acustica e di un janggu (un tipo di percussione Coreana), la musica riesce anche a risultare ostica e aggressiva, pur tenendo uno stile molto variegato. Ad un primo ascolto, questo disco potrebbe pure creare repulsione, a causa soprattutto della tendenza delle due Mukimukimanmansu di gridare all'impazzata durante le composizioni. Un non nativo, inoltre, sicuramente troverà un'ulteriore difficoltà dal fatto che i 12 brani sono cantati in Coreano (per fortuna, Minwhee e Muki hanno associato ad ogni titolo una traduzione in Inglese, quindi per questa recensione abbiamo un problema in meno). Comunque sia, è impossibile non notare anche ad un primo approccio che la musica contenuta è, se non altro, di grande originalità. Successivi ascolti rivelano un disco per niente casuale, ben studiato e ben composto, che alterna momenti di grande delicatezza ("Seokwang-Dong, 2008", "Your Present") ad altri più spiccatamente aggressivi ("Andromeda", "I'm a Taxi Driver in Paris", "Struggle and Diet"). Ma l'album non vola solo tra questi due opposti: "If I Confess, Be Totally Surprised" suona quasi come un rock tradizionale, se non fosse per il ritornello e per la struttura del pezzo, "Botanical Garden" alterna un coro molto sereno e pacato ad un talking e ad un accompagnamento ossessivi e paranoici, mentre la stessa "Mukimukimanmansu" è un pezzo molto orecchiabile, ma reso intenzionalmente ripetitivo, finendo per dare l'impressione opposta. Curiosamente, più ascolti si danno al disco, più i momenti inizialmente inaffrontabili ("Struggle and Diet" e "Andromeda" su tutte) finiscono per risaltare su tutto il resto, risultando memorabili e altamente in grado di dare assuefazione.

Piaccia o non piaccia, questo disco è una lampante dimostrazione che anche oggi è possibile creare nuove strade musicali. Il fatto che le Mukimukimanmansu abbiano usato una strumentazione che apparentemente limita le possibilità è soltanto un altro punto a loro favore. Per chi ama le metafore, si potrebbe fare l'esempio della quantità pressoché infinita di piatti che si possono creare usando solo tre ingredienti e variandone dosaggio, ordine e consistenza. Ovviamente, è utopistico pensare che la musica futura si muova tutta in questa direzione, né questo album è necessariamente una pietra miliare anche se, comunque, in questo caso, si può tranquillamente parlare di "innovazione" senza cadere nella retorica. Però, in un momento come questo in cui la musica sembra essersi arenata e le cose che destano maggiore interesse sembrano rifarsi al passato, è senza dubbio una boccata d'aria fresca e rimane comunque un disco di ottima caratura, in grado di far notare nuovi particolari ad ogni ascolto. È possibile, al giorno d'oggi, creare della musica veramente originale? Minwhee Lee e Muki Jong ci sono riuscite, utilizzando della tecnologia a portata di tutti, e questo dovrebbe essere, senza dubbio, uno sprono e un'ispirazione per chi è in attività adesso, indipendentemente dal tipo di musica che intende fare.


sabato 17 gennaio 2015

Hot Poop - Numero 5 - Pursuit Green

Per la terza volta di fila all'interno di un numero di Hot Poop rimaniamo in Veneto, con i Pursuit Green, la cui formazione è rappresentata da Thomas Visentin (voce, tastiere), Filippo Gasparini (chitarra), Diego Gasparini (basso) e Andrea Fusaro (batteria). "Razor Lights From The City", di cui ci accingiamo a parlare oggi, è il terzo lavoro del gruppo, dopo un EP ("Darling Demo", 2005) e un disco (omonimo, 2008). Considerando il fatto che il gruppo sia, effettivamente, attivo dal 2001, non dovrebbe stupire che questo disco suoni molto deciso, con un'idea stilistica lineare, chiara e ben definita. Inoltre, per chi avesse avuto modo di ascoltare anche le pubblicazioni precedenti, rappresenta anche un passo in una direzione diversa, con la totale assenza delle tastiere e maggiore peso dato al basso e alla chitarra. "Razor Lights From The City" suona comunque coerente con il resto della discografia e il nuovo approccio al progetto molto naturale, segno che i Pursuit Green sono tutt'ora un gruppo fresco e in grado di portare avanti la loro visione musicale in maniera unita e compatta.

I musicisti hanno tutti il loro ruolo ben definito: la chitarra di Filippo Gasparini è presente, originale, palpabile, ma mai d'intralcio, Diego Gasparini e Andrea Fusaro costituiscono una sezione ritmica molto ben calibrata, il primo offrendo delle linee di basso che sono un perfetto equilibrio tra funzione ritmica e melodica basate sui pattern ritmici del secondo, perfettamente funzionali alla musica, senza mai cadere nel cattivo gusto o nel banale. La personalissima voce di Thomas Visentin, infine, è la ciliegina sulla torta: l'interpretazione è calorosa e originale, in grado di passare dal malinconico all'aggressivo e, addirittura in un caso ("Codger's Hard Time") al forsennato, risultando così un frontman perfetto per questo tipo di progetto. Le influenze del gruppo, che vanno dalla New Wave al Garage Rock, sono tutte molto palpabili e il disco, pur essendo ben bilanciato e non stancante, si muove su un terreno ben preciso e delineato.

Chi dovesse sentire i Pursuit Green per la prima volta, si troverebbe davanti ad un disco molto professionale, studiato nei minimi dettagli, ma senza essere artificioso e, soprattutto, un progetto nel quale la melodia e l'arrangiamento vengono al primo posto. Il CD contiene 12 tracce, per un totale di circa 40 minuti di musica: questo significa che ci troviamo di fronte ad un album, e non ad un EP, e quindi il rischio di annoiare dev'essere tenuto rigorosamente a bada. Con una sequenza decisamente azzeccata e brani di buona fattura, si è riusciti ad evitare la cosa, e si arriva a fine disco decisamente soddisfatti, sicuramente con voglia di riascoltare l'album anche in futuro. Tra i brani che colpiscono al primo ascolto, troviamo le energiche "Lost Safari Inside Us", "Hot Black Leather", "Wasteland"; la delicata, ma non saccarina, "In Your Heart" e l'irresistibile "The Long Way To The Sea Rocks". Un ascolto successivo, invece, consente anche di apprezzare quei pezzi meno immediati che, per le loro particolarità, sono in grado di risaltare particolarmente man mano che passa il tempo; in questa categoria troviamo la già menzionata "Codger's Hard Time", "By The Devil", con un'ottima linea di basso, e la bizzarra "Dead Skin Under The Rug", un finale dell'album enigmatico e, allo stesso tempo, convincente.

Questo è un disco che non cerca di nascondere le sue influenze e, allo stesso tempo, non è altezzoso o intellettualoide, pur mantenendo comunque una sua personalità e una sua originalità. Il risultato è che si tratta di un lavoro in grado di soddisfare sia l'ascoltatore più sofisticato, sia quello che non vuole intrecci troppo ingarbugliati. Considerando anche il fatto che questo disco utilizza delle sonorità classiche (chitarra/basso/batteria/voce) unite ad una produzione tipicamente moderna, possiamo tranquillamente affermare che sia un album in grado di sostenere più ascolti, anche a lungo termine. A chi rimanesse favorevolmente impressionato da questo lavoro, consigliamo anche il precedente "Pursuit Green", che mostra la stessa scuola di pensiero sotto un'ottica diversa.



(L'album è ordinabile contattando il gruppo)