giovedì 30 settembre 2010

(un mese che si chiama) Ottobre

Salve a tutti.
Il consueto appuntamento mensile con la selezione di date che Good Times Bad Times, nella persona di Emanuele Brizzante, vi consiglia, è arrivato.
Ad Ottobre ci sono parecchi eventi fichi, in primis la tournée dei One Dimensional Man ma anche il Barcolana Festival di Trieste, gratuito, oppure l'arrivo in italia dei This Will Destroy You! Lamentarsi non serve a niente, avete fin troppo da vedere, e pensare che non ve li copio neanche tutti!
Leggasi qui. Per la seconda parte ci si risente il 14 Ottobre.


01.10 THE BLACK ANGELS e SYBIANN, Madonna Dell'Albero (RA)
01.10 ...A TOYS ORCHESTRA, Bologna
01.10 ZEN CIRCUS, Reggio Emilia
01.10 THE FIRE (Unplugged), Badia Polesine (RO)
01.10 JULIAN COPE, Monfalcone (GO)
02.10 BAND OF SKULLS, Bologna
02.10 GIORGIO CANALI e I ROSSOFUOCO, Vimercate (MI)
02.10 APRES LA CLASSE, Bologna
02.10 DIAFRAMMA, Rimini
05.10 EPICA, Roncade (TV)
06.10 AUGUST BURNS RED, BLESS THE FALL, OF MICE & MEN, Bologna
06.10 RONIN, Trieste
06.10 ZEN CIRCUS, Chieti
07.10 THIS WILL DESTROY YOU!, Conegliano (TV)
07.10 LOVE AMONGST RUIN, Bologna
08.10 MYSTERY JETS, Bologna
08.10 VELVET e LE VIBRAZIONI, Trieste
08.10 SHELLAC e BELLINIA, Bologna
09.10 DANIELE SILVESTRI e THE CHARLESTONES, Trieste
09.10 MYSTERY JETS e HEIKE HAS THE GIGGLES, Roncade (TV)
09.10 IANVA, Padova
09.10 CANADIANS, Bologna
10.10 GRANNIES, Bergantino (RO)
10.10 I MELT, Lugo di Vicenza (VI)
10.10 APPALOOSA, Forlì (FC)
11.10 STEVE LUKATHER, Roncade (TV)
13.10 THE CHARLESTONES, Trieste
14.10 CALIBRO 35, Bologna
14.10 SOYUZ, Padova
14.10 ONE DIMENSIONAL MAN e SPEEDY PEONES + PIERPAOLO CAPOVILLA LEGGE KEN SARO JIWA, Bologna

mercoledì 29 settembre 2010

Francesco Guccini - Fra La Via Emilia e Il West (EMI, 1984)


Tracklist:
CD1
1. Canzone per un'amica
2. Autogrill
3. Il Vecchio e il Bambino
4. Il Pensionato
5. L'Isola Non Trovata
6. Asia
7. Canzone della Bambina Portoghese
8. Canzone delle Osterie di Fuori Porta
9. Il Frate


CD2
1. Piccola Città
2. Venezia
3. Bologna
4. Eskimo
5. Incontro
6. Vedi Cara
7. Un Altro Giorno E' Andato
8. Canzone Quasi D'Amore
9. La Locomotiva

Recensione:
E così nel 1984 Francesco Guccini pubblicava una raccolta di pezzi live che sarebbe passata alla storia. 

In verità non è proprio così giacché si possono reperire qua e là numerose recensioni ed opinioni diversificate per questo disco dal vivo, ma è nel singolo ascoltatore che si concretizza l'importanza di un episodio della carriera di un artista che gli piace e, tagliando corto, questa è la pubblicazione che preferisco di tutta la sua quarantennale discografia. Perchè? Molto semplice. Nella sua scaletta, scandita da diciotto perle estratte dai primi quindici anni di carriera del cantautore modenese, si rivivono momenti storici e qualche piccola sorpresa (più per oggi che per allora), con tutta la splendida e gigantesca sensibilità che solo Francesco sa garantire ai suoi fans ed ascoltatori. Quasi fossero confidenti. Una costante che si trova ovunque, andando a vedere i suoi spettacoli, ma che difficilmente è stata catturata così bene, come una polaroid che riesca a concentrare su di sé tutte le sfaccettature migliori delle performance di Guccini.

Cenni storici. Le canzoni presenti in questo lavoro sono tratte da quattro concerti del 1984 tenutisi, rispettivamente, al Kiwi di Piumazzo (MO), in Piazza Maggiore a Bologna, al Parco della Pellerina di Torino e al Teatro Tenda a Milano. Non si sente molto la differenza di missaggio tra un brano e l'altro, tant'è che difficilmente è possibile sentire tagli d'ambiente tra tracce contigue. Nel disco, al contrario di quanto succede in molti dei concerti del Guccini nazionale, manca praticamente tutta la parte "discorsiva", e questo probabilmente a causa di motivi di spazio (la durata dopotutto è di 88 minuti, ma all'epoca non si pubblicava su CD). L'eccezione che conferma la regola arriva per l'accenno verbale introduttivo di "Piccola Città", uno dei migliori brani sia di questa setlist che di tutta la produzione gucciniana e che dà il titolo alla raccolta ("Fra la via Emilia e il West" è una frase della canzone, dedicata alla sua città natale). Lo spessore, unito al taglio maturo ma critico, del suo testo rimbomba come una infinita eco di metafore che spiega, con parole di facile comprensione, un mondo infinitamente piccolo ma colorato di una luce che a volte sa essere anche troppo fioca, come quella di Modena, racchiusa tra la Via Emilia e il west rappresentato dalla campagna emiliana. 

Ed ecco il doveroso paragrafo dedicato ai protagonisti dell'opera: i musicisti che accompagnano l'artista sul palco. Sono tutti quelli storici, Juan Carlos Biondini (chitarre), Vince Tempera (piano e tastiere), Ellade Bandini (batteria), Ares Tavolazzi (basso) e Antonio Marangolo (sassofono). Il loro apporto tecnico è assolutamente sopra la media sia per quanto riguarda ciò che per noi oggi significa un concerto di un cantautore, sia per la musica italiana dell'epoca. Parliamo pur sempre di un cantante di caratura nazionale, pertanto con un'attenzione mediatica pari a molte popstars, e, se paragonati a molti delle band "da classifica" degli anni '70 ed '80, questi non hanno di che invidiare a nessuno. Arrangiamenti stupendi per quasi tutti i brani che, senza perdere l'identità donata loro da Francesco nelle studio versions, vengono rieseguiti quasi da zero (si ascoltino "Venezia" e "Vedi Cara", fantastiche in questa veste più late seventies rock-oriented, nobilitate dal sound del comparto ritmico che si presenta in chiave molto più moderna rispetto ai dischi di riferimento, "Metropolis" e "Due Anni Dopo"), dando un prestigioso contributo alla buona riuscita di tutto il carrozzone. Ma il vero "primo attore" è sempre lui, Francesco Guccini, che con un'interpretazione incredibile e una tecnica che, a volte in bilico, spiazza anche chi si pone in posizione di detrattore (a costoro si ridedica "L'Avvelenata", assente qui, nonostante fosse molto gettonata anche nelle scalette di tutti i primi trent'anni di tournée). Le note vengono raggiunte sempre alla perfezione, ed il tono e il timbro della voce, molto caratteristici, conferiscono come sempre la giusta profondità a famosissimi brani come "La Locomotiva", "Bologna" e "Eskimo", che suscitano, a più riprese, gli applausi del pubblico, soprattutto quando le frasi assumono connotazioni più politiche (e meno pittoresche). E' evidente che molte canzoni perderebbero tantissimo senza le splendide capacità vocali dell'emiliano. 
Le sorprese in scaletta non sono poi tantissime. Nessun inedito né riedizioni "massicce" (solo qualche accenno, come dicevamo sopra), ma, raffrontando la scelta di queste tracce con scalette di live come quello alla Radiotelevisione Svizzera del 1982, si può notare una diversificazione che volge le spalle alla produzione recente per dare ampio spazio a "L'Isola Non Trovata" e "Via Paolo Fabbri 43", dischi del 1970 e 1976, dalle quali si estraggono le perfette "Asia" e "Il Pensionato", tra le altre. Imperativo lamentare l'assenza di un paio di grandi brani, cioè "Bisanzio" e "Canzone dei Dodici Mesi", che con l'inserimento dei virtuosismi interpretativi di grandi musici come "Flaco" e Tavolazzi sicuramente avrebbero reso ancora meglio che nelle celeberrime versioni su disco.

Il perchè di una raccolta come questa lo si capisce solo a vent'anni di distanza, quando è evidente tutto il percorso dell'artista Guccini. Il suo voler narrare dei mondi neanche troppo sommersi del quotidiano e dell'intimo, i sottili toni erotici uniti a quelli cavallereschi e storico-geografici, la ruralità diretta ad un pubblico che è sia umile che borghese, parole per un pubblico più "di piazza" che "da palazzetto", nonostante ultimamente ci si inclini di più verso questo tipo di audience. Deviando un secondo da queste poche considerazioni di carattere non strettamente musicale, "Fra La Via Emilia e il West" è il modo migliore di approcciare uno dei migliori cantautori della scena italiana degli ultimi cinquant'anni, surclassando per ampiezza, profondità e competenza delle liriche anche artisti ritenuti "sacri" come Battisti e De Gregori, di cui nonostante tutto non si può dire molto di negativo. Ma un artista come Guccini, ottimo sia su disco che dal vivo (anzi, meglio dal vivo), come lo potete criticare? Se poi ha creato uno dei migliori live album della storia della musica italica, allora, fatevi due conti.

Voto: 9

venerdì 24 settembre 2010

Bianconiglio - Qualsiasi Ovunque Sia (New Model Label, 2010)

Tracklist:
1. In Quel Prato Sul Retro

2. Si Diverte
3. Di Giorno in Giorno
4. Frutti di Vento
5. Hey
6. L'Origine di Certi Sogni
7. Gradi
8. Luna d'Ottone
9. Nuda Polvere
10. Sul Mare delle Pupille
11. Jonny (Tanti Sogni Morti Con Lui)
12. Maiali Governanti
13. CH3 CH2OH
14. Qualsiasi Ovunque Sia

Lo dico subito così poi non c'è più bisogno di ricordarlo: il suono della grancassa quando il batterista usa il doppio pedale mi ha lasciato abbastanza spiazzato. Soprattutto perchè nel resto del disco il mix era ottimo. Spero non ci sia sotto lo zampino di una sovraincisione, ma non sono questi i problemi.

Una delle band più visionarie del nostro nord, i Bianconiglio, direttamente dalla mantovana Sermide (ma molto vicino alla provincia, veneta, per chi non lo sa, di Rovigo), come i loro compaesani Terzobinario, sono già attivi da anni e spaccano in due i timpani di tutti gli ascoltatori impazzando soprattutto nei palchi della loro zona. Con il loro disco di debutto, "Lo Scatolino Sporco", ci avevano mostrato com'era facile fare un crossover che funziona, in un'epoca in cui già, nel 2008, era morto e sepolto da tempo. Lo hanno seppellito, prendendosene anche i meriti, i Linkin Park e i Korn postumi (non ditemi che li considerate ancora in vita), insieme a tutte le band più o meno commerciali del filone. Ma in Italia, a parte i Linea 77, c'è poco da ricordare e tutto ciò che c'è è un accozzaglia di band che più o meno sopravvivono; i Bianconiglio si innestano in questo settore e, dopo aver esordito con un album di tutto rispetto ma senza particolari segni di originalità, hanno deciso di impregnare il "sophomore" di influenze nuove e singolari inserti dub. Il linguaggio è rimasto lo stesso: liriche graffianti, semplici ma dotate di una certa presa, con qualche citazione e fortificate dall'utilizzo della doppia voce, in puro stile Emo e Nitto, si sa. Un susseguirsi di cambi di tempo mai troppo "progressivi" e una sola parola d'ordine per quanto riguarda l'aspetto ritmico, l'aggressività.
Si apre il fuoco con "In Quel Prato Sul Retro", con un testo leggermente intimistico e piuttosto curato nella stesura e nella metrica, un arrangiamento sterile ma decentemente evoluto, tanto da rimanere stupiti quando arriva quello stralcio dub che ricaccia già in gola ogni dubbio. Bel brano, così come "Si Diverte", molto simile a tantissimi brani di ogni band nu-metallara che abbia visto almeno una volta i riflettori puntati addosso, ma che dimostra una carica decisamente inarrestabile. Così com'è inarrestabile la furia dei distorti anche in episodi più "sporchi" come "L'Origine di Certi Sogni", altro momento di scintillante rap metal, dove la linea vocale raggiunge i vertici dell'espressività (era successo prima solo in "Di Giorno In Giorno", in tutto il suo splendore dubstep, quasi reggae, tra i brani migliori). Spezziamo le catene e andiamo verso le novità dei momenti meno "cattivi". Melodia coinvolta in momenti sperimentali che ricordano vagamente certe digressioni à-la-Muse epic time, cioè quelli recenti (ascoltate i dischi interi, MTV-nerdacchioni, e non solo i singoli), come nella title-track, o più alternative-oriented nel ritornello di "Luna d'Ottone", che comunque per la maggior parte della sua durata è fatta di chitarre graffianti come poche altre volte accade nel lavoro intero. Poichè il disco è comunque fortemente crossover, ma si lascia inebriare di qualche arpeggino e suoni funky che lo elevano a piccola gemma del crossing over come lo intendono i biologi. Combinazione genetica, proprio così, quasi un esperimento, nel loro caso.
Anche l'artwork ha il suo perchè. Copertina disegnata davanti e dietro, un paio di animali sul retro che non riesco a identificare con qualche accenno emo sul'abbigliamento, un coniglio innamorato di una TV di fronte a te che l'hai appena comprato. Nel booklet testi e crediti, su uno sfondo di foto, macchie di sangue (o inchiostro?) e qualche abbozzo che galleggia tra impressionismo e pop-art. No, non ne so niente di arte, ma anche questo colpisce sotto al mento. Ottima mossa. 

E' un disco sicuramente ben fatto. Le musiche sono composte, e suonate, da gente che sa il fatto suo. Ci sono Clà e Macio senza peli sulla lingua che in alcuni brani le cantano a tutti ("Maiali Governanti"), infilando rime e scioglilingua degni del miglior rappettaro d'oltreoceano. Ci sono bassista e batterista in grande spolvero a spingere nel posto giusto, aiutati da un sound quasi sempre (vedasi l'incipit della recensione per chiarire il "quasi) ottimo, per una produzione pulitissima. Indipendentemente dal target che si prefigge, è un lavoro che giunge come una manna dal cielo per chi, come me, considera questo stile una cosa superata e ripercorsa in lungo e in largo senza più tante ancore di salvezza da afferrare. Loro l'hanno presa. Consigliati.


"Fatti cullare da questo torpore".
Voto: 7+

giovedì 23 settembre 2010

Camp Lion - La Teoria di Romero (New Model Label, 2010)


Tracklist:
1. Dimmi Cosa Ho Detto
2. Lo Stesso Punto
3. Lettera A M
4. Etere
5. Rattvik Parte 1
6. Rattvik Parte 2
7. Vuoti a Rendere
8. 45
9. Ombra
10. Deja Vu
11. Viale Mazzini
12. Meno di Uno Zero
13. Clever

Recensione:
Una volta messo nello stereo il disco dei Camp Lion ti scompare dalla mente che, nel titolo, compare il nome Romero. Il guru degli horror movies, citato anche nella presentazione per la stampa dell'album, sembra aver dato grande ispirazione alla band ma tutto ciò non sembra essere così lampante all'ascolto. Per dare una chiave di lettura più ampia della cosa, copiamo qui la loro spiegazione del concetto di "teoria di Romero:
"I film di George Romero hanno un'idea di fondo: il consumismo che dilaga violentemente e che rimane impresso negli uomini, come un marchio. Quando questi poi, vengono trasformati in Zombie (per ragioni che non ci interessano) tendono a ripetere le stesse azioni e gli stessi comportamenti di quando erano umani. Esempio eccitante fu "Zombi", "Dawn of the Dead" nell'originale, quando la popolazione zombie ritornava al centro commerciale come se l'abitudine malata fosse rimasta in loro anche dopo la trasformazione...un concetto piuttosto attuale!"

Il concetto è attuale, condivisibile e senz'altro di pubblico interesse. Il fatto che nei testi non ci sia particolare traccia di tutto ciò lo classifica più come uno spreco, ma non vogliamo considerare inutile lo sforzo della band di dare un senso al titolo del loro disco, poiché in esso troviamo anche tantissimi ottimi spunti. Di per sé ciò che propongono i Camp Lion è un pop/punk senza fronzoli, diretto, spoglio (in senso positivo) e assolutamente radio-friendly, evitando sperimentalismi, complicazioni chirurgiche e presenze esagerate di assoli o tecnicismi. Il risultato è che i brani, nella loro semplicità che costituisce a più riprese un pro e un contro per la buona riuscita del tutto, scorrono fluidi, veloci, e questo li aiuta nel penetrare a fondo nell'orecchio degli ascoltatori, che li fagocitano tanto velocemente da rimanere, qualche volta, illesi. E' il caso di "Dimmi Cosa Ho Detto", brano che ricorda i Jimmy Eat World più commerciali ma che con il testo in italiano, effettivamente, ci rammenta di più gli ultimi beniamini delle teenagers italiane (Lost, Finley, Broken Heart College) e straniere (All Time Low, Fall Out Boy). Lo stesso si ripeterà in "Lettera a M" e "Ombra", pezzi realizzati senza particolari pretese e in effetti piuttosto sfuggevoli alla mente, niente di evidentemente meritevole di essere ascoltato più di qualche volta. Ma da questo universo pop ci si sposta poi a quella "passione" per i Tre Allegri Ragazzi Morti che la stessa band ammette. Coniugando il loro interesse per l'alternative italiano con un sound vagamente brit-pop e power punk, si ottengono ottime canzoni come "45" e la doppia "Rattvik", divisa in due parti.  

La band non sembra suonare male, anzi in alcuni momenti rivela una certa sensibilità nel realizzare alcuni passaggi e nell'incastro di riff di facile presa. Sterili batteria e basso, che comunque svolgono il loro lavoro egregiamente. Anche il sound è buono, azzeccato per il genere, coadiuvato da una produzione ottima per essere un debut.
Ricordano i Paramore, ma con la voce maschile, prima di scendere a patti con l'indie da classifica e passare a quel panorama italoinglese che recentemente ha sfornato gente come i Plastic Made Sofa. Che in effetti, a volte, gli assomigliano. Nei testi si scorge una certa voglia di puntare alla "facile comprensione", nonostante il loro appeal da lirica intimista che funziona per chi è abituato con certe ballad melense delle band emo-punk di cui sopra (quelle italiche soprattutto), e che, dopotutto, non si meritano di essere snobbate così tanto.
Ciò che si salva in questo disco è la freschezza degli arrangiamenti, sempre piuttosto limpidi, mai troppo rarefatti, perfetti per lo scopo che si prefigge la band. Se è quello di puntare in alto. Di negativo abbiamo l'inevitabile banalità di alcuni episodi del disco (soprattutto quelli più veloci) e quindi una difficoltà a digerirlo per chi non mastica questo tipo di linguaggio pop. Un disco senza particolari sorprese, ma che si può apprezzare sulle brevi distanze.


Voto: 6+ 

mercoledì 22 settembre 2010

Sin - Sin (Eskimo Foe Records/Warner, 2010)


Recensione scritta per Indie for Bunnies
Tracklist:
1. The Postman

2. A Romantic Dinner For Three
3. It's Up To You
4. Elverum
5. Moaners
6. Crystal Red
7. 2nd Thoughts (On The Horizon)
8. Hornparade
9. Too Much To Ignore
10. The Quiet Bust-Up

Recensione:
Un altro grande disco. Ma quanti ne buttano fuori dalla Scandinavia di talenti così, in un territorio così freddo che ci si è sempre rifugiati nel pop più blando o nel metal più estremo. Invece l'elettronica ripulita si sta rifacendo su tutto e tutti, ed i Sin sono solo la punta dell'iceberg. Nel loro disco di debutto, arrivato per Eskimo Foe Records e Warner Bros. dopo 13 anni dalla loro formazione, troviamo un mix concentratissimo di electro-pop, indie, rock, alternative e trip-hop da far intimidire anche i geniacci del filone. Ma non è solo così, qui si punta più in alto e si creano dieci perle che singolarmente brillano di luce propria, forzando la mano anche con una produzione compatta e iperlavorata, un sound in alcuni momenti glaciale, in altri torrido, che si libera delle etichette di cui sopra per, a volte, immergersi in scenari più distanti (come il semplice rockettino di "A Romantic Dinner For Three", un singolone da classifica che funziona in ogni suo secondo). Le influenze della band sono tante e, per citarne alcune che anche il loro MySpace ricorda, sentiamo più concretamente nel disco ascolti dei Radiohead (da Kid A in poi), dei Notwist e, forse, anche dei Rapture e dei primi Arcade Fire. Ci sono momenti piuttosto disco, come in "It's Up To You", dove si capisce che le derive indie sono quelle che la formazione scandinava preferisce. La voce femminile in ogni brano si preoccupa di dare una dimensione più intima ai brani, conferendo, tramite una buonissima interpretazione, un'aria più easy-listening al tutto, come se già non lo fosse abbastanza.
I brani in cui è più evidente la provenienza geografica del progetto sono quelli meno ballabili, come "Elverum", mentre "Moaners" da quel tocco di indie che ti fa capire come se le canzoni fossero cantate da un Alex Kapranos qualunque allora forse si potrebbero anche chiamare Franz Ferdinand. O un indie act inglese qualsiasi (o scozzese, mai sbagliarsi!). 

L'arrangiamento di "Crystal Red" ricorda molto alcuni brani di Bjork (soprattutto in Volta) ma è la voce che ci porta a leggere il tutto sotto una luce diversa, ed il pezzo raggiunge quindi lo status di brillante gemma che porta proprio il trademark Sin, allontanandosi da ogni possibile paragone. Sarebbe molto interessante sentirlo live.

Il verdetto finale è molto semplice. In un disco così quadra tutto: i suoni, smussati fino alla perfezione, la produzione eccellente, la composizione che in ogni brano raggiunge livelli che molti in questo genere hanno trovato inarrivabili e, nell'overall, un piglio radiofonico che rende il disco apprezzabile praticamente da chiunque, nonostante l'assenza di ritornelli romantici o refrain strappaurla per concerti. Pochi dischi così quest'anno, ve lo dico.


Voto: 8.5

martedì 21 settembre 2010

Turzi - B (RecordMakers, 2010)


Recensione scritta per Indie for Bunnies
Tracklist:
1. Beijing
2. Buenos Aires
3. Bombay
4. Bethlehem
5. Baltimore (featuring Bobby Gillespie)
6. Brasilia
7. Bangkok
8. Baden Baden
9. Bogota
10. Bamako (featuring Brigitte Fontaine)

Romain Turzi è un compositore francese. Balena da anni in rivoli di indietronica che spiazzano l'ascoltatore prima di farti capire che la pasta è scotta. Nel senso che non fa niente di nuovo, ma lo fa con una passione che può sicuramente piacere. Avanti, a certi piace la pasta scotta no?
Sinceramente questo disco, intitolato B, dove i titoli delle dieci tracce sono città (tutte piuttosto grandi e celebri devo dire) che iniziano con la seconda lettera dell'alfabeto, ha le carte in tavola per essere annoverato tra i dischi più carini di questo 2010. Che poi non è ancora ora per dirlo. Lo vogliamo rendere chiaro: potrebbe esserci una piacevole connessione logica tra i nomi delle città e la musica, e in "Buenos Aires", chiudendo gli occhi durante il pezzo, si possono senz'altro intravedere le tipiche immagini da documentario della "città che non dorme mai". Luci ovunque, macchine che sfrecciano velocissime, grattacieli altissimi a contrastare la povertà straziante delle baraccopoli periferiche. E pensare che poco prima, in "Beijing", sembrava che i Battles incontrassero i Black Sabbath durante le olimpiadi, stringendogli la mano con presa piuttosto tenace, grazie a riff che tagliano in due l'ascoltatore scintillando di doom e poi di elettronica-epica, un genere che non fa quasi nessuno. Un comparto sonoro potente, volutamente acido, tendente all'epico ma senza sforare nell'assurdo; lo conferma anche "Bombay", orientaleggiante e piuttosto fast-paced, quasi una di quelle cavalcate alla Muse che i meno attratti ancora non hanno digerito a dovere (vedi "Knights of Cydonia"). Ci sono anche degli ospiti: Bobby Gillespie, musicista scozzese famoso per il suo contributo (ancora in corso d'opera) nei Primal Scream, e Brigitte Fontaine, anziana quanto poliedrica artista francese direttamente da Morlaix, Bretagna, entrambi con un nome che inizia con la B. Ha pensato proprio a tutto. Ma nella logica di un seguito al primo disco che si intitolava A i conti tornano.
Mettendo insieme i vari elementi che compongono questa epopea, si scorge una certa propensione per la world music, un certo feeling per l'etnico che si concretizza poi in armonici che puzzano di Sol Levante e percussioni prima arabeggianti, poi più africane, con cembali, tamburi e chissà cos'altro. Sicuri che in Francia l'integrazione vale abbastanza da non temere gli affronti di Sarkozy e la sua cricca, come conferma anche un proliferare di musica come questa, valevole quanto scioperi e comizi quando si tratta di "dire qualcosa". E Turzi lo dice bene, con suoni aspri, esasperati in particolar modo nella tesissima "Bethlehem", città scioccamente distratta a subire quello che nel suo contesto geopolitico continua a succedere a causa di religioni che non possono e non vogliono coesistere, costretta ad assistere alla nascita di un Cristo che, effettivamente, ha portato solo guerre. Devozione e politica a parte, tutto quello che una persona sa delle città diventate titoli può essere visualizzato degustando con le cuffie a palla questi brani, composti con una qualità che fuor d'ogni dubbio si può definire altissima. "Baltimore" è la più electro-pop ed ha un groove superballabile, quasi da chart. Niente hit parade però, si sfila solo per le paraboliche alternative più indie-affossate. Che termini di merda. 


La seconda parte del disco è altrettanto gradevole. Ancora un paio di strizzatine d'occhio ai Muse, quelli più danzerecci di "Take A Bow" in "Brasilia", e quelli più rock in "Bangkok", che si fregia di elicotteri sintetizzati che catapultano l'introduzione della storica "One" dei morti e sepolti Metallica in una dimensione pinkfloydiana dove Syd Barrett balla con Ringo Starr e, perchè no, coi Daft Punk. Ve lo immaginate? Relax che ancora ricorda i Battles più sognanti in "Bogota", una città straziata dal traffico della cocaina, immagine che non si può, stavolta, figurare più di tanto. Ma i suoi synth ricordano invece molto gli anni '80, combinati con quei pad molto soft pop che basterebbe un attimo per trasformarla in una hit dei vecchi Eurythmics. 


Un disco coloratissimo, che esplora l'elettronica in maniera multiforme, viaggiando avanti e indietro nel tempo e nello spazio, visitando luoghi che tutti noi conosciamo almeno per sentito dire con elementi della cultura musicale digitale che, anche questi, non ci sono ignoti. Album che mette in campo una produzione fantastica con grandi sforzi, senza dare nulla di nuovo, ma con un intuito e una composizione che sono al contempo pregevoli, sfarzosi ed intrepidi. E il valore superava così la scala percentuale. Gran disco.

Voto: 8.5

lunedì 20 settembre 2010

U.N.Disco - A Kingem Records Electro Indie Pop Neo Italo Tribute (Kingem Records, 2010)


Tracklist (tra parentesi gli interpreti):
1. Into The Night (Silvia Paradiso)

2. Future Vision (And The Clock Strikes Thirteen)
3. Church of Sound (Olivio Flora)
4. Astro Fille (Le Petit Chenilles)
5. Hot Times (Barry Bianco ft. Vanessa London)
6. Jellyfish (Cynn Der Elle)
7. Hologram Eyes (Clementine Light)
8. Mumarcord (Le Mulin Blanc)
9. Wonder (Vigint Mille Lieues Sous Les Mers)
10. Camouflage Detection (Nitelife USA)
11. King Of The Parking (Mary Skins)


Recensione:
U.N. Disco è un progetto dell'etichetta Kingem Records, che vuole tributare alla musica elettronica italiana anni '80 senza rubare troppi talenti a quel panorama (né a quello nuovo). In realtà non è facile parlare di un disco così, ma ci si vuole provare, visto che merita. 

Il lavoro è costituito di undici bei brani di elettronica, meglio definibile con le etichette piuttosto "indecenti" di indie-pop ed electro-pop, ma ancora meglio definibile se la si ascolta e non ci si sofferma su nomi e nomignoli di categorie già morte prima di essere nate. L'endecalogo è affidato a undici interpreti diversi, provenienti sia da band già note alla Kingem e anche da altri gruppi più o meno immersi nel panorama dell'elettronica underground. Questo la rende una compilation, e tutti i nomi che trovate tra parentesi sulla tracklist soprariportata hanno riferimenti mica da poco. Un po' di cenni random: c'è gente dagli italiani Formanta!, dai Friday Bridge, svedesi e fieri di esserlo, dagli Stars in Coma (già recensiti qui per GTBT) e dai The Brigadier. Le collaborazioni sono notevoli e i brani inclusi hanno tutti un'anima indie che volutamente si immerge in quel filone da classifica che però non ha molto spesso gli sbocchi adeguati per entrarvi veramente. La fonte primaria sono gli eighties, lo si è già detto, e "Astro Fille" lo conferma in pieno, con quei sintetizzatori così dark mood da impensierire anche gli ascoltatori più gioiosi. E si provocheranno gaudenti reazioni a chi ascolta tutto il pop anni '80 senza trascurare Eurythmics, Depeche Mode e Alan Sorrenti quando si arriva a "Hot Times" e "Mumarcord", tra i brani più 80s-oriented che si possono trovare nel disco. Ci sono brani che invece fanno fede a quel panorama indie più moderno che già prima nominavamo: trattasi di "Jellyfish", "Hologram Eyes" e, in parte, anche "Future Vision".
Molte tracce sono affidate a frequenti incursioni di sintetizzatori dall'abile e distinto piglio disco, con una spiccata prevalenza di voce femminile, anche questo per dare decise stoccate a chi vuole morto e sepolto il decennio più controverso di sempre per quel che riguarda la pop culture. E' piuttosto complesso carpire informazioni di fondo per definire quale filone preciso voglia seguire questa compilation, ma la sua indole è plausibilmente quella di un brillante e sequenziale omaggio alla categoria synth-pop, dove pop prevale solo per l'animosità delle sue ragioni, e la parte "sintetizzata" della musica conferisce la corretta strategia interpretativa per leggere una compilation azzeccatissima che, salvo qualche intermezzo di natura più blanda, colpisce dritta all'udito e arriva dove vuole arrivare. In men che non si dica. Ancora un buon disco dalla Kingem Records, etichetta destinata agli onori della stampa, anche lei, in men che non si dica.


Voto: 8

domenica 19 settembre 2010

Fotoreport #12: Indipendelta Festival 2010, giornata 2, Cavarzere (VE), 4 Settembre 2010

L'associazione Druidi di Loreo (RO) è riuscita a creare un festival di tutto rispetto, per l'ennesima volta. Dopo aver fatto innumerevoli edizioni dell'Indipendelta in quel di Loreo, la kermesse è stata trasferita a Cavarzere (VE), in realtà non molto lontano da lì, ed arricchita.
Il cartellone, che potete vedere integralmente qui, annoverava nomi come Zu e Morkobot. La serata che andiamo a recensire è però quella del 4 Settembre, dove hanno suonato, tra gli altri, Ten Story Apartment, Buzz Aldrin, Giardini di Mirò, No Seduction e Drink To Me.
Le foto, scattate da Eleonora Verri, sono state fatte solo agli headliner. Eccole:

DRINK TO ME


BUZZ ALDRIN



GIARDINI DI MIRO'

sabato 18 settembre 2010

Marky Ramone Live @ Teatro Miela, Trieste, 9 Settembre 2010


Quanti fans dei Ramones esistono ancora? Certe volte ci si stupisce ancora che una band del genere abbia significato tanto per la storia di un genere in realtà morto poco dopo la sua nascita, che si è dato da solo l'estremo saluto rifugiandosi in cliché che alla lunga avrebbero stancato anche i sostenitori più accaniti. Però i mostri sacri del genere, quelli che hanno contribuito a plasmarlo e a renderlo alla portata di tutti, non solo con la musica ma anche con atteggiamenti che sarebbero diventati simbolici per intere generazioni di giovani, non sono anche morti e chi detiene i diritti delle canzoni fa del suo meglio per accaparrarsene i meriti. E poi diciamoci la verità, i primi dischi erano spettacolari.

In realtà Marky Ramone, entrato tardivamente nella formazione americana, dopo l'addio di Tommy (1978) non ne sta certo facendo una questione economica, anche se non ci è dato di saperlo. Potrebbe anche essere così ma la verità è che, con un nugolo di musicisti provenienti dal panorama punk e rock d'oltreoceano (il cantante è un ex Misfits), è riuscito a costruire l'unica affidabile cover band dei Ramones che si fregia di avere nella sua lineup qualcuno che ci ha davvero suonato per decenni. E non è poco. Aggiungiamoci che Mark Steven Bell, cinquantaquattro anni, picchia ancora duro sulla sua batteria e ribattezzato il suo progetto di "revival" Marky Ramone Blitzkrieg, sta da qualche anno girando il mondo per riportare in vita memorabili successi (ed alcune sorprese) di una delle band più celebri di sempre. Questa volta ad accogliere le sue richieste di cachet ci pensa il Teatro Miela di Trieste, una delle poche realtà gestite da qualcuno che capisce qualcosa di musica nel capoluogo giuliano, a quanto pare. L'associazione Trieste Is Rock porta così un pezzo di storia del punk in questo piccolo teatro, trasformato in live club semplicemente togliendo i posti a sedere, che si fregia inverosimilmente di un'acustica piuttosto buona, che nulla teme nei confronti di locali ben più grossi (vedasi Estragon di Bologna o New Age di Roncade). E nonostante il prezzo si fa sold-out.

In scaletta trentacinque brani provenienti dall'intera discografia dei Ramones ed il pogo è incessante, sfrenato, confusionario. Non una parola dal palco, a parte i saluti velocissimi di Marky, ma semplicemente uno spettacolo che si preoccupa solamente di tributare alla band del Queens come meglio può, cioè con le distorsioni a mille e un atteggiamento on stage che ricorda da vicino i live del loro periodo d'oro. Non mancano in scaletta brani storici invocati a gran voce dai presenti, come "Blitzkrieg Bop", "Pet Sematary", "I Wanna Be Sedated" e "Sheena Is A Punk Rocker". Citare tutte le canzoni suonate sarebbe un'impresa titanica, quindi ci limiteremo a dire che la serata è andata per il meglio, con quasi 1 ora e 30 di puro punk vecchio stile, senza sbavature, apprezzato dal pubblico proprio per la sua veste di concerto diretto, grezzo, volutamente ignorante. Certo, suona strano vedere canzoni di per sé composte con zero tecnica reinterpretate da persone che invece le sanno suonare molto bene (e Marky nonostante l'età è pure migliorato), ma l'atmosfera svolge quel ruolo di catalizzatore che serve a mandare in visibilio i presenti. E soprattutto per superare la barriera delle "canzoni-tutte-uguali", pregio e difetto dell'intero filone punk da quando è nato, ma che vengono riconosciute dai fans che invece le cantano senza problemi. Peccato non essere uno di loro, ma basta poco per apprezzare lo show.

Assolutamente una bella serata, ma solo per aficionados.  

Qui sotto "Rockaway Beach", "Teenage Lobotomy" e "Psychotherapy" registrate dagli organizzatori

venerdì 17 settembre 2010

Fotoreport #11: Tre Allegri Ragazzi Morti live @ Estragon, 14 Settembre 2010

Rapido fotoreport del concerto tenuto il 14 Settembre 2010 dai Tre Allegri Ragazzi Morti all'Estragon di Bologna. 
A cura di Eleonora Verri. 





Altri articoli relativi a Tre Allegri Ragazzi Morti su GTBT:
* Fotoreport di "Tempesta Sotto Le Stelle" a cura di E. Verri e M. Di Toro
* Recensione di "Tempesta Sotto Le Stelle" a cura di E. Brizzante
* Recensione di "Primitivi del Futuro" a cura di E. Brizzante

giovedì 16 settembre 2010

Muse Live @ Wembley Stadium, Londra 10 Settembre 2010


Spettacolare. Tutto quello che fanno i Muse da quando esistono si può semplicemente definire così. Sotto il profilo artistico, per la loro capacità di forgiare dischi che impattano a mille contro quasi-chiunque li ascolti, per l'evidente disinvoltura con la quale riescono a saltare di palo in frasca componendo serenate al limite del pop commerciale e poi rockettoni da pogare sfrenatamente. Sotto il profilo dell'intrattenimento e dei concerti, per la loro grandissima abilità nel tenere il palco e nell'eseguire brani per niente facili in maniera superba, con una produzione che fa paura anche ai più grandi. Non stupisce visto che ormai fanno parte di questa categoria. Consacrati da anni alle glorie più alte da giornali e TV musicali, inseparabili da milioni di fan, eccoli sbarcare in uno degli stadi più grandi del mondo, Wembley, nella capitale inglese. Capitale non solo di uno degli stati che più di ogni altro contribuisce continuamente a cambiare la storia della musica e a riempire le classifiche di talenti, ma anche il centro più importante dell'arte del paese. Un evento come questo, diviso in 2 giorni di cui uno sold-out e l'altro quasi (molti posti vuoti a causa del bagarinaggio), pubblicizzato già un anno prima con qualsiasi mezzo mediatico che il 2010 possieda, attira l'attenzione di chiunque sappia cos'è una chitarra, e infatti allo stadio insieme a decine di migliaia di fans si trovano anche persone visibilmente spaesate, ma calamitate dall'importanza e dall'attuale fama dei tre (quattro sul palco) di Teignmouth.
La scaletta della serata che ho potuto seguire, cioè la prima delle due, è senz'altro interessante. La stragrande maggioranza delle canzoni eseguite è, ovviamente, tratta dagli ultimi due dischi, con un paio di sorprese che si intitolano "I Belong To You (Mon Coeur S'Ouvre A Ta Voix)", direttamente da Resistance ma inclusa nei live solo di recente, "Soldier's Poem" nel primo applauditissimo encore, e "Take A Bow" eseguita da Matthew Bellamy su una piattaforma rialzata (dove andranno anche bassista e batterista per una jam elettronica a metà concerto) con una tuta luminosa, come dimostra il video sottostante. 

Ecco l'intera setlist:
UPRISING
SUPERMASSIVE BLACK HOLE
NEW BORN
NEUTRON STAR COLLISION (LOVE IS FOREVER)
BUTTERFLIES & HURRICANES
GUIDING LIGHT
HYSTERIA
NISHE (Jam)
UNITED STATES OF EURASIA
I BELONG TO YOU (MON COEUR S'OUVRE A TA VOIX)
FEELING GOOD (cover)
MK JAM
UNDISCLOSED DESIRES
RESISTANCE
STARLIGHT
TIME IS RUNNING OUT
UNNATURAL SELECTION
-Encore1-
SOLDIER'S POEM
EXOGENESIS: SYMPHONY, PART 1: OUVERTURE
STOCKHOLM SYNDROME
-Encore2-
TAKE A BOW
PLUG IN BABY
KNIGHTS OF CYDONIA

Tra le canzoni eseguite vince la palma d'oro di miglior resa in concerto la sempre stupefacente "Plug In Baby", seguita a breve distanza da "Knights of Cydonia" e "Stockholm Syndrome". La potenza che questi tre riescono a concentrare con un solo backliner è strabiliante, e la fisicità con la quale il folto pubblico segue ogni nota è stucchevole, così com'è stucchevole l'accompagnamento a dir poco corale di ogni singola parola in ogni singolo pezzo. Come già dicevo nella recensione dello scorso live a Bologna, ci sono solo due canzoni che rendono meglio su disco e si chiamano "New Born" (troppo lenta) e "Undisclosed Desires", l'unica canzone nella quale il livello dei volumi sarebbe da rivedere massicciamente, perchè perde davvero tantissimo nonostante l'esibizionismo dei tre. Per niente male la criticata "Neutron Star Collision (Love Is Forever)": si sa, a molti duole sapere che i propri beniamini si vendono per fare la colonna sonora di un film per ragazzine sfigate, ma la triste verità è che i soldi non ti fanno rimpiangere proprio nulla. E poi, se siete veri fan, saprete anche che è la terza canzone che includono nella colonna sonora, mica la prima (e le fan di Robert Pattinson si beccano anche una versione "alternate" di "I Belong To You" sulla colonna sonora di New Moon).

Coreograficamente non badano a spese. Un pallone-schermo che spesso mostra un occhio (presumibilmente quello del "Big Brother" di orwelliana memoria), un palco a punta con un numero impressionante di schermi e luci, vestiti luminosi, la già citata piattaforma che rotea, si sposta e si alza, fumogeni, e un ufo gigante che arriva sul pubblico con tanto di ballerina che si esibisce in una pericolosa danza sospesa in aria. Anche questo contribuisce allo show, la parola migliore per definire quest'esperienza in cui tutto quadra: Bellamy, più egocentrico che mai con le sue mises sgargianti, non sbaglia un colpo, da vero rocker lancia due volte la costosissima Fender con Kaoss Pad incorporato; la scaletta che nonostante un'alta concentrazione di singoli e ballads, sfodera momenti da pogo che il pubblico non si lascia sfuggire; un'acustica perfetta grazie ad un impianto da migliaia di euro (o sterline) che raggiunge ogni centimetro dello stadio alla perfezione, aiutato da un sound ottimo (e ci mancherebbe, vista la strumentazione sfoggiata dai tre); un palco che colpisce alla vista per i numerosi effetti scenici e una costruzione particolare che, a detta di Matthew, richiama 1984 di Orwell, come molti dei testi dell'ultimo lavoro del trio inglese. Dopotutto lo sanno tutti che un concerto dei Muse non te lo dimentichi più, neppure se è il decimo che vedi. Peccato solo che la scaletta del giorno dopo, nettamente migliore, ma io, almeno, posso consolarmi con "Butterflies & Hurricanes" che live spacca come poche altre. Magistrali, punto e basta. 

* Video di "P10power"

* Video di "Antaresu"

martedì 14 settembre 2010

Nicolas Joseph Roncea - News From Belgium (I Dischi del Minollo, 2010)


Recensione scritta per Indie for Bunnies
Tracklist:
1. In The Snow
2. A Cup of Tea
3. 3-4
4. Another World
5. 3.20 AM
6. Blue Eyes

7. News From Belgium
8. A Day/A Week

Nicolas Joseph Roncea non è un chicchessia qualunque. Due dei suoi progetti impazzano da parecchio tempo nell'underground piemontese (e non solo), attirandosi non poca attenzione. Queste band si chiamano Fuh (ascoltatevi l'ottimo Dancing Judas) e Io Monade Stanca, furenti noise acts che hanno già dato molto alla scena italiana e molto altro faranno in futuro. Dall'aggressività di queste formazioni, Nicolas ha deciso di distaccarsi per un momento di relax che tramuta in un disco solista, forgiando un lavoro semplice ma notevolmente ispirato, di sensibilità vagamente cantautorale e con inserimenti che vanno dal jazz all'elettronica, per un prodotto finale veramente stimolante e per nulla banale.
Con un'apertura abbastanza sterile affidata a "In The Snow", brano pop da stanco cantautorato, si lascerebbe magari l'amaro in bocca agli ascoltatori più esigenti, però ci pensano "A Cup of Tea" e, di seguito, "3-4" a far capire di che pasta è fatta il soggetto che stiamo ascoltando. Penetrando con efficace distensione nel nostro apparato uditivo questo disco, se centellinato e assorbito nel modo giusto, è capace di provocare reazioni piuttosto strane, ma sempre molto vicine a quelle di una terapia calmante. No, niente ansiolitici, è un lavoro fatto con cura, senza effetti collaterali. La già citata "3-4", sempre su binari di forte matrice cantautorale, che corrono paralleli a tutta la scena italiana analoga (anche se in questo caso si canta in inglese, che fa meno "indie-fashion"), arrivano anche gli archi, compatti, ad aumentare quel senso di coinvolgimento che sa, a lungo termine, rendere radiofonico anche un album come questo, che di per sé non ha pretese di quel tipo. Senza paragonarlo a nulla di esageratamente commerciale, si può parlare di un pop d'autore personale ed intimistico, con testi anche questi vagamente incentrati ad esplorare l'interiorità più che le strade dell'omnicomprensibilità, il singolo più che la massa. Ascoltate "3:20 Am" e la title-track per un po' di dettagli su questo aspetto. Bisogna aspettare anche "Blue Eyes" per alcuni momenti di straziante blues-oriented pop (o jazz-oriented? forse è meglio dire così, si), coniugati con attenzione per ottenere una lineare ballad che in alcuni momenti sprizza gioia da tutti i pori ma che, contestualizzata all'interno dell'intero News From Belgium, si rivela come una barriera insuperabile di emozioni negative, valide sferzate dark che non fanno certo riferimento al gothic. Nulla del genere, solo una certa tensione che chi ascolterà il disco riuscirà senz'altro ad avvertire pressante e preminente. 
Quando, poche volte, si sente anche una batteria, si può cogliere quel senso del ritmo che in certi brani tende ad essere assente, dando ai pezzi un motivo ulteriore per esistere, rendendoli cioè ricettacoli di una fisicità, come dentro "A Day/A Week", canzone semplice ma incapace di sfiorire, a suo modo avanguardista. Ed è un bene che un disco senza fronzoli né sperimentazioni sappia essere originale, personale e caratteristico. Tutto merito di un songwriting ineccepibile e di un'interpretazione che non lascia mai a desiderare, salvo in un alcuni piccoli passaggi di voce che perdono a causa di una timbrica non sempre adatta. Ma sono attimi passeggeri che, sommersi da tutti gli altri aspetti positivi, molti non noteranno neppure.
Un disco fresco, ingenuamente rock, perla di cantautorato come Dio comanda. E lo dice un ateo. Ascoltatelo. 

Voto: 8

lunedì 13 settembre 2010

Fotoreport #10: Speciale FESTA DELLA MUSICA di Chianciano Terme 4/4

La Festa della Musica di Chianciano  Terme nella sua splendida edizione del 2010 ha ospitato Amor Fou,  Octopus, Le Peuple de L'Herbe, Kultur Shock, Vandemars, The Cyclops e  molti altri.

Monelle Chiti (link a destra) ha fotografato per noi quattro band. Scopriamole una al giorno, oggi è la volta di EASY STAR ALL STARS








domenica 12 settembre 2010

September for Your Ears Parte 2

(continua)

16.09 REAL MCKENZIES + MAHONES - Bologna
17.09 NOUVELLE VAGUE - Bologna
17.09 UOCHI TOKI - Rimini
17.09 ANTI-MTVDAY 2010 (vari) - Bologna
18.09 ANTI-MTVDAY 2010 (vari) - Bologna
18.09 MODENA CITY RAMBLERS - Bologna
18.09 ...A TOYS ORCHESTRA - Portomaggiore (FE)
18.09 99 POSSE - Bologna

22.09 BOLOGNA VIOLENTA e MELT BANANA - Bologna
25.09 BANCO DEL MUTUO SOCCORSO - Crespellano (BO)
25.09 IL TEATRO DEGLI ORRORI - Moncalieri (TO)
25.09 WOODSTOCK A CINQUE STELLE - Cesena (FC)
25.09 BAUSTELLE - Rimini
26.09 WOODSTOCK A CINQUE STELLE - Cesena (FC)
26.09 PETER GABRIEL - Verona
29.09 IL TEATRO DEGLI ORRORI - Seregno (MI)
30.09 REVEREND BACKFLASH - Trieste
30.09 RADUNO ZEN CIRCUS A VILLA INFERNO - Ravenna

Il cast dell'ANTIMTVDAY, consultabile qui, è composto dei seguenti artisti, spalmati tra i due giorni: 



Seppuku, Fire At Work, Pablito el Drito, Zona Rossa Krew, Nano Pecora, Teatrino Elettrico, Vzoo vj-set, 3nkd-vj-set-3D, Ronin, The Secret, In Zaire, Lili Refrain, Chambers, Zeus, Piano Earthquake, Verme, 1/4 Morto, Portugal, Santa Banana, Korea Ping Pong Attack, LivoreHC, Boulevard Pasteur, Isolamento, Grindine, Wrath Prophecy (e altri)

Quello di WOODSTOCK A CINQUE STELLE, organizzato da Beppe Grillo e Movimento Cinque Stelle, si consulta qui ed è il seguente:
Daniele Silvestri, Linea 77, Il Teatro degli Orrori, Paolo Benvegnù, Marta Sui Tubi, Tre Allegri Ragazzi Morti, Sud Sound System, Marracash, Fabri Fibra, Calibro 35, Bud Spencer Blues Explosion, Dente, Perturbazione, Blastema, Mamasita, Supa & Dj Nais, Leo Pari, L'Invasione degli Omini Verdi, Cattive Abitudini, Max Gazzè, Samuele Bersani, Stefano Bollani, Francesco Baccini, Ivan Segreto, The Niro, John De Leo, Flavio Oreglio, Charleston (e altri)

sabato 11 settembre 2010

Karen Rockower - Whales Standing (Autoproduzione, 2010)


Recensione scritta per Indie for Bunnies
Tracklist:
1. Drawing Roses
2. In My Car
3. Evelyn
4. Whales Standing
5. Nothing
6. Tralala
7. Glad You're Around
8. Cold
9. Little Heart
10. Behind The Door
11. At The Bottom
12. My Love

Guardiamo l'artwork del disco di debutto di questa ragazza. Una tatuatrice con un passato da rockettara nei Bugs in The Dark che prova a dire qualcosa anche da solista, lì nella copertina seduta in qualcosa che sembra una cornice intarsiata in qualche stanza marmorea di quelle residenze per ricconi. Il disco-solista ovvero niente di nuovo in un copione rispettabile che abbiamo già visto tante volte, ovvero tante possibilità di delusioni e risultati risibili. Invece no.

In "Whales Standing", dodecalogo del rock come lo intende lei, ci sono appunto, dodici capitoli. Altrimenti non sarebbe un dodecalogo. L'apertura è affidata, con un pizzico di presunzione, a "Drawing Roses, un pezzo soft, per niente pompato, che lascia ampio spazio alla voce della cantante e compositrice; una voce vellutata, quasi da bambina smaliziata (ho sentito una voce simile, e neanche tanto, solo quando, per caso, ho trovato una canzone di Selena Quintanilla-Perez in una web radio, ma i suoi pezzi, in quel caso, funzionavano meno), che può quasi sembrare fuori contesto sulle prime salvo poi far rendere conto a chiunque ascolti che invece, ci siamo, eccome se ci siamo. Lo conferma il brano successivo, "In My Car", molto più rock, una ballata dai toni quasi garage ma "sgrezzata", smussata, senza tanti rumori e con una produzione che ripulisce il sound creando un'atmosfera piuttosto onirica, sognante. E' quello che accadrà nuovamente in molti brani, ma in particolare nella tesissima "Little Heart", un brano emozionante, emozionale ed emozionato, mai sterile, piuttosto impavido. Ricorda i brani più soffusi della produzione di Melissa Auf Der Maur, e lo fa con piacere. In realtà non c'è nulla di pesante in un disco come questo, che spinge sui distorti solo quando serve, dosando appena pedali ed effettistica per proporre situazioni di straniamento che convincono l'ascoltatore appieno solamente dopo qualche ascolto. Ripetuto senza attendere troppo, se possibile, per non far passare la data di scadenza. Brani come "Evelyn", semplici ed intuitivi ma fortemente imbrigliati a scogli solidi e mai banali, di devota formazione American rock, si lasciano apprezzare senza troppe pretese, e scorrono veloci, lisci tanto quanto il loro piglio scintillante, bambinesco e volteggiante, richiederebbe se non fossero cantati da una ragazza così stilosa. Il momento più rockeggiante è "Behind The Door", ma nessuno si scandalizzi se non è questo l'episodio migliore di un disco che fa delle distorsioni e degli inserti più ruvidi solo degli intermezzi di contorno. Giusto che sia così. Dopotutto è un disco che funziona, se non si era capito. Per palati raffinati che non ricercano niente di complicato, con vibrazioni darkeggianti e dotato di una leggerezza che non ci aspettava di certo da una ragazza con un timbro del genere. Però fa tatuaggi, e qua cambia tutto.


Voto: 7.5

venerdì 10 settembre 2010

Fotoreport #10: Speciale FESTA DELLA MUSICA di Chianciano Terme 3/4

La Festa della Musica di Chianciano Terme nella sua splendida edizione del 2010 ha ospitato Amor Fou, Octopus, Le Peuple de L'Herbe, Kultur Shock, Vandemars, The Cyclops e molti altri.

Monelle Chiti (link a destra) ha fotografato per noi quattro band. Scopriamole una al giorno, oggi è la volta di IL PAN DEL DIAVOLO


giovedì 9 settembre 2010

Fotoreport #10: Speciale FESTA DELLA MUSICA di Chianciano Terme 2/4

La Festa della Musica di Chianciano Terme nella sua splendida edizione del 2010 ha ospitato Amor Fou, Octopus, Le Peuple de L'Herbe, Kultur Shock, Vandemars, The Cyclops e molti altri.

Monelle Chiti (link a destra) ha fotografato per noi quattro band. Scopriamole una al giorno, oggi è la volta di WAINES

mercoledì 8 settembre 2010

Klaxons - Surfing The Void (Polydor, 2010)


Tracklist:
1. Echoes
2. The Same Space
3. Surfing The Void
4. Valley of The Calm Trees
5. Venusia
6. Extra Astronomical
7. Twin Flames
8. Flashover
9. Future Memories
10. Cypherspeed

Uno che sente nominare i Klaxons nel 2010 cosa dovrebbe dire? Sopravvissuti all'ondata indie che non si è ancora arrestata e che genera tanto hype da essere spesso sinonimo di pateticità ad alto rischio? No, semplicemente, in quel marasma globulare di band, one-man acts e quant'altro che la Gran Bretagna (e la cultura britannica) buttano fuori giorno dopo giorno, sono tra quelli che hanno prodotto un disco di debutto sopra la linea del mediocre, e quindi sono destinati a rimanere. Se lo vogliono, e se lo vogliono i loro (non tantissimi, credo) fans. "Myths of the Near Future" era la sintesi perfetta dell'indie più hipster e dell'electro-pop commerciale ma studiato che va tanto di moda sia in Europa che negli USA, surclassando, per originalità, altri alfieri ora innominabili come i Bloc Party. "Surfing The Void" continua un percorso già tracciato con solchi piuttosto profondi ed evidenti, e lo fa in maniera sfacciata, in certi momenti ricalcandolo con foga, in altri esplorando le uniche nuove vie che lasciava aperte con interessanti sperimentazioni che meritano la descrizione più dettagliata che trovate di qui a poco.
L'apertura dell'album è affidata ad "Echoes". No, niente Pink Floyd, però alcuni accenni ai Pixies meno ruvidi, di nuovo (e in maniera più plateale) in "Venusia", uno dei brani meno adeguati ad essere utilizzati come singolo, ma forse lo diventerà, per la sua strofa altamente catchy e una struttura di per sé scarsamente originale. Un brano che attira subito l'attenzione è "Extra Astronomical", che con un titolo vagamente space rock (al di là della vicinanza semantica, sia chiaro) strizza l'occhio ad una scena post-rave che i Klaxons non rappresentano nonostante gli elementi di continuità siano evidenti. Electro-pop, rave, qualche parabolica prog che non si vada a definire troppo vicina a quel tipo di filone, altrimenti gli aficionados si incazzano. E' Jamie Reynolds il perno di tutto, con una voce piuttosto particolare e che esplora quel tipo di linea tanto cara ai fenomeni del mondo indie, in qualsivoglia modo poi lo si voglia declinare ed etichettare, uniformando canzoni in realtà non molto simili tra di loro in un unico ammasso di plastilina. Un blocco granitico di pop che funziona, eccome se funziona. Lo dimostra infatti la title-track, insieme a "Twin Flames", altro episodio pronto ad innalzare la bandiera per sventolarla a guida di stendardo pirata. Chi ha orecchie per intendere intenda, perchè è proprio questo il brano chiave, impulsivo e pulsante, aggressivo ma pacato nelle scelte dei suoni, danzabile ma senza esagerare. La scelta del sound, che conferisce intensità ad un disco che non ha avuto molta fortuna nella storia della sua produzione (e tant'è che si sono dovuti far produrre da Ross Robinson, il personaggio più inadeguato che potessero raccattare ma che ha saputo trovare la giusta dimensione, nonostante tutto), fornisce la chiave di lettura ultima per un disco sopra la media, al di là dei frequenti momenti di debolezza che derivano più che altro dalla prolissità di alcuni arrangiamenti, come in "Future Memories", un brano che funziona e rifunziona ma che non ha nulla di quel tocco caratteristico di cui Klaxons hanno voluto impreziosire tutta la loro breve discografia.

Per riassumere, il disco è ottimo, con pochi cedimenti, compatto, costruito in maniera logica, ben suonato e ben prodotto. Non mancano né le nuove idee né le interessanti ricostruzioni di alcune delle principali strutture "klaxoniane" per eccellenza, tutto questo per non lasciare a bocca asciutta né i vecchi fan né qualche eventuale nuovo arrivato. Per tutti.

Ps. La copertina spacca i culi

Voto: 7.5


martedì 7 settembre 2010

Fotoreport #10: Speciale FESTA DELLA MUSICA di Chianciano Terme 1/4

La Festa della Musica di Chianciano Terme nella sua splendida edizione del 2010 ha ospitato Amor Fou, Octopus, Le Peuple de L'Herbe, Kultur Shock, Vandemars, The Cyclops e molti altri.

Monelle Chiti (link a destra) ha fotografato per noi quattro band. Scopriamole una al giorno, oggi è la volta di BUD SPENCER BLUES EXPLOSION

lunedì 6 settembre 2010

Placebo Live @ Codroipo (Udine) 3 Settembre 2010

Setlist:
NANCY BOY

ASHTRAY HEART
BATTLE FOR THE SUN
SOULMATES NEVER DIE
KITTY LITTER
EVERY YOU EVERY ME
SPECIAL NEEDS
BREATHE UNDERWATER
THE NEVER-ENDING WHY
BRIGHT LIGHTS
MEDS
TEENAGE ANGST
ALL APOLOGIES (cover dei Nirvana)
SONG TO SAY GOODBYE
THE BITTER END
-encore-
TRIGGER HAPPY HANDS
POST-BLUE
INFRA-RED
TASTE IN MEN

Una band di Londra in un paesino che si chiama Codroipo (anzi, a Passariano di Codroipo). Ma cosa ci fa? A dire il vero Villa Manin è uno dei luoghi più famosi del Triveneto per quel che riguarda concerti ed eventi analoghi, e Azalea Promotions lo sa bene, tanto che quest'anno l'ha trasformata in teatro di numerosi dei principali concerti estivi. A confermare questo trend, e per concludere la fortunata estate live, ci pensano i Placebo.
Brian Molko e soci hanno portato un gran numero di persone (difficile contarli ad occhio, è una cosa che non ho mai saputo fare, ma direi cinquemila) nel cortile interno della villa, a godersi uno spettacolo durato circa 90 minuti ed iniziato con gli Aucan, formazione bresciana di stampo smaccatamente dance ma con forti accenti sperimentali. Dopo aver incantato la critica italiana ed internazionale, eccoli a stupire anche i fan dei Placebo, che si trovano di fronte ad un muro di suoni abbastanza easy-listening da non risultare indigesto a nessuno. Il loro breve set si conclude tra gli applausi degli astanti che ora aspettano solo il riff d'apertura di "Nancy Boy," ottimo ripescaggio dalle vecchie glorie della band britannica. La scaletta del concerto rivela solo un paio di sorprese, cioè il già citato singolo del loro primo disco e "Teenage Angst", altro gran pezzo. Manca "Bionic", in setlist in concerti di pochi giorni prima, ma la cover di "All Apologies" dei Nirvana la soppianta senza problemi, alzando i toni di un concerto già di per sé pressoché perfetto. Non mancano molti brani dell'ultimo fortunato album, eseguiti alla perfezione e dotati di una forte carica rock, soprattutto se consideriamo la potenza delle ritmiche e dei distorti di chitarra, rinforzati da due backliners. La migliore, tra le canzoni recenti, è "The Never-Ending Why". I vecchi singoli lasciano spazio poi ad un encore assolutamente coinvolgente, con "Post-Blue" e "Trigger Happy Hands" tra le meno prevedibili. 

Tecnicamente parlando siamo di fronte ad una band che sa il fatto suo. Tralasciando i membri-riempitivo, tra tastiere, violino e inserti di chitarra, abbiamo un frontman in grande spolvero, sempre intonato e abile anche alla sei corde, mentre batteria e basso non perdono un colpo. Un po' ballerino il mixaggio dei suoni che a volte affossa i colpi di rullante e la voce, ma senza mai sconfinare nell'insufficienza. In generale il sound complessivo della band è notevole, potentissimo, preciso, a suo modo grunge, in una parola "ruvido", esattamente come se lo ricorderanno quelli che li hanno conosciuto all'epoca del self-titled. Ad aumentare le buone sorti della serata ci sono sia l'atteggiamento di pubblico e band, in sinergia completa anche per quanto riguarda la conoscenza dei pezzi, e la presenza di uno schermo che proietta immagini evidentemente insensate ma che accompagnano perfettamente la musica. In sostanza, uno spettacolo a tutto tondo, che avrà sicuramente lasciato soddisfatti sia i fans di vecchia data che quelli appena ottenuti, se non anche curiosi e arrivisti di vario tipo. 


* Il video è di "skaonline"