mercoledì 25 marzo 2015

Toto - Toto XIV (Frontiers Music, 2015)

Da un punto di vista tecnico, un nuovo album in studio dei Toto è sempre un evento memorabile: la famosa band Americana si è sempre distinta per aver creato una serie di dischi che sono un po' il compendio di come si registra e si suona un perfetto album rock, aiutati anche dal fatto di avere sempre in formazione la crème de la crème dei musicisti. In questo caso, questa sensazione si mischia anche, inevitabilmente, ad un po' di tristezza, dovuta alla prematura scomparsa del loro storico bassista Mike Porcaro, malato da tempo di sclerosi laterale amiotrofica, pochi giorni prima della pubblicazione dell'album. Il precedente "Falling In Between", pubblicato nel 2006, sembrava un'uscita di scena perfetta, e, effettivamente, un messaggio del 2008 sul sito ufficiale di Steve Lukather aveva decretato la fine del gruppo. A quanto pare, ci sbagliavamo tutti. Curiosa la formazione; oltre all'immancabile chitarrista e cantante Steve Lukather, ormai il vero leader del progetto, il resto dei Toto è composto da ex membri che sono tornati all'ovile: David Paich e Steve Porcaro alle tastiere, Joseph Williams alla voce solista e David Hungate al basso. Il ruolo di batterista è affidato a Keith Carlock, eccellente turnista già al servizio di giganti come James Taylor, Steely Dan, John Mayer e Sting. Tra gli ospiti abbiamo alcune facce già note, tra cui Leland Sklar al basso, Lenny Castro alle percussioni e Michael McDonald ai cori. Praticamente, non è nemmeno quasi più lo stesso gruppo di "Falling in Between" e, a questo punto, viene spontaneo chiedersi se questo sia davvero un disco dei Toto o se forse sia più simile ad un progetto solista di Steve Lukather. Abbiamo già fatto un discorso simile parlando di "The Endless River" dei Pink Floyd e, principalmente, la stessa soluzione è applicabile anche qua: nessuno di noi ha il diritto di stabilire chi siano i Toto o no, se non i diretti interessati e, in fin dei conti, Lukather è stato l'unico a essere presente nel gruppo fin dall'inizio per cui nessuno ha più diritto di lui di essere il capitano. Ciò che differenzia la sua carriera solista da quella dei Toto è che, in questo secondo caso, il poliedrico chitarrista si è circondato da persone che hanno vissuto vari momenti importanti della storia della band che, sicuramente, meritano di avere voce in capitolo.

Fin dalla sua presentazione (la copertina con la famosa spada, ormai il loro marchio di fabbrica e il titolo che si rifà al celebre "Toto IV"), "Toto XIV" sembra percorrere la carriera del celebre gruppo Americano. Tuttavia, considerando anche una recente intervista a David Paich nella quale ammette che le lavorazioni del disco sono iniziate solo per adempiere ad obblighi contrattuali, più che un riepilogo pare essere una cosa inevitabile. Le atmosfere generali sono molto vicine a quelle di "Mindfields" e "Falling in Between", ma la voce di Joseph Williams è tipicamente caratteristica dei loro album anni '80, mentre i momenti dove Hungate e Porcaro sono in prima fila, ci riportano alle sonorità dei primi album. Tutto sommato, un mélange piuttosto interessante che, in alcuni casi, funziona piuttosto bene: la potente "Running Out of Time" è sicuramente un buon modo di iniziare un album, "Unknown Soldier (For Jeffrey)" è ben riuscita e ha un bel climax, "Fortune" è un brano rock dal giusto mordente e "Chinatown" è un pezzo raffinato, che ricorda un po' gli Steely Dan, altro gruppo leggendario Americano nel quale hanno militato alcuni membri dei Toto; tale influenza è evidente anche in "21st Century Blues", che ricorda vagamente la title-track di "Pretzel Logic". Altre volte, invece, il risultato è più carente, come nel caso di "The Little Things" (cantata da Steve Porcaro) e "All The Tears That Shine", due brani che si fanno notare per la loro mancanza di direzione, più che altro. Curiosamente, i tre singoli scelti per questo album, pur essendo dignitosi, non sono tra i pezzi migliori: "Orphan" è decisamente troppo stucchevole, "Holy War" si fa notare più che altro per il break strumentale centrale e la power ballad "Burn", anche se piuttosto orecchiabile, è un po' troppo ovvia e scontata.

Generalmente, si arriva a fine album senza aver molto da dire, forse perché è il disco in sé che ha poco da dire. Intendiamoci, si tratta sempre di un prodotto di classe e di una certa qualità, ma l'impressione globale è quella di un complesso che è diventato confinato nel suo stesso nome e, di conseguenza, lavora sempre con gli stessi limiti senza nessun desiderio di uscirne e di superarli. In questo ambito il gruppo, sicuramente, eccelle: d'altra parte, chi meglio dei Toto può fare i Toto? Eppure, tutto questo ragionamento viene rovesciato dalla traccia conclusiva, "Great Expectations", un brano complesso ma ben costruito, trionfale, decisamente energico e convinto, nel quale tutta la tensione e la compostezza che ha caratterizzato il resto dell'album viene rilasciata. Durante queste note finali, viene spontaneo chiedersi se forse abbiamo interpretato male il disco. Certo, potrebbe essere un "semplice" gran finale, ma anche una dimostrazione che i Toto, da un punto di vista compositivo, possono ancora dire qualcosa e che "Toto XIV", nonostante tutto, è solo un necessario album di transizione per farci abituare ad altre sorprese per il futuro. Magari è un pensiero troppo ottimista arrivati a questo punto, ma il titolo del brano sembrerebbe comunque puntare in quest'ultima direzione. Tornando al presente, questo disco potrebbe essere un buon investimento per chi si avvicina ai Toto per la prima volta, ma  a chi li conosce già superficialmente, consigliamo di ascoltarsi prima gli altri album in studio. A tutti gli altri, invece, qualsiasi tipo di consiglio è totalmente superfluo! 

David Paich, Joseph Williams, Steve Lukather, Steve Porcaro

venerdì 6 marzo 2015

Into Deep #12 - Might Just Take Your Career - (Non) Deep Purple


Deep Purple Mark I
Da sinistra: Rod Evans, Jon Lord, Ritchie Blackmore, Nick Simper e Ian Paice

Ci sono alcuni gruppi che non hanno bisogno di alcun tipo di presentazione. I Deep Purple sono sicuramente tra questi: considerati, a ragion venduta, tra le più grandi band di tutti i tempi, persino chi non ha la minima conoscenza musicale riconosce immediatamente il riff di "Smoke on The Water". Il rovescio della medaglia è che questo li ha resi parte di quella serie di artisti che si tende a dare per scontati, mettendoli sempre dogmaticamente al primo posto senza mai spiegare perché. In realtà, la loro storia è stata molto avventurosa, così come la loro crescita musicale. I loro primi tre album, "Shades of Deep Purple", "The Book of Taliesyn" e il terzo omonimo, infatti, mostrano un gruppo molto diverso da quello che siamo abituati a sentire, pur essendo comunque coerenti e sensati con il resto della discografia. Il merito di questo è dovuto anche alla voce del cantante Rod Evans, sicuramente molto diversa da quella di Ian Gillan o David Coverdale, ma certamente espressiva e adatta allo stile variegato, e forse anche un po' ingenuo, di quel loro periodo. Ma, durante il tour Americano del 1969, il chitarrista Ritchie Blackmore e il tastierista Jon Lord decisero che, per rimanere a galla, il gruppo avrebbe dovuto scegliere una strada più definita, concentrandosi su un sound più duro. Evans e il bassista Nick Simper vennero quindi dimessi e sostituiti dai ben più celebri Ian Gillan e Roger Glover, iniziando così la storia di quei Deep Purple che sono successivamente entrati nella leggenda.

Captain Beyond
Evans si trasferì negli Stati Uniti dove, due anni più tardi, registrò un singolo uscito per la Capital Records, "Hard to Be Without You"/"You Can't Love A Child Like A Woman", che, però, non ebbe molto successo di vendita. Il seguente anno, nel 1972, assieme ad ex membri della Johnny Winter band e degli Iron Butterfly, formò un gruppo hard rock compatibile anche con il progressive, i Captain Beyond, con i quali registrò due dischi: un primo omonimo e "Sufficiently Breathless". Benché i Captain Beyond venissero abbastanza apprezzati dalla critica e fossero diventati un gruppo "cult", con uno zoccolo duro di fan che li seguiva ovunque, gli album non vendettero mai abbastanza, quindi Evans, nel 1974, si ritirò dal mondo della musica, lavorando per qualche anno come direttore in un centro di terapie respiratorie. A questo punto, un suo ritorno alla musica sembrava abbastanza improbabile e, per quanto sia un peccato dirlo, sarebbe stato meglio così. Purtroppo il peggio doveva ancora venire.

Deep Purple Mark IV
Contemporaneamente, i Deep Purple erano diventati, finalmente, un grande successo di pubblico e di critica, risultando una delle band Britanniche più popolari al mondo. Certo, avevano avuto anche loro la loro serie di tafferugli: nel 1974, i due "ultimi arrivati", Glover e Gillan lasciarono all'apice del successo, sostituiti, rispettivamente, da Glenn Huges e David Coverdale, ancora una volta, due musicisti con un approccio completamente diverso ai loro predecessori. Le cose sembravano comunque andare per il verso giusto ma, inaspettatamente, alla fine del 1975, anche il chitarrista Ritchie Blackmore decise di abbandonare, per dare vita ai suoi Rainbow. Venne sostituito da Tommy Bolin, un bravo chitarrista jazz fusion già al servizio di leggende come Billy Cobham e Alphonse Mouzon. Purtroppo, sarà stato per il suo stile completamente diverso da quello di Blackmore, sarà stato perché è comunque difficile rimpiazzare un personaggio del genere e, assolutamente, sarà anche stato per i crescenti problemi del chitarrista con alcool e droga che gli impedivano di dare performance all'altezza, questo segnò il capolinea del gruppo negli anni '70: al termine del tour del loro decimo album in studio, "Come Taste the Band", i Deep Purple decisero che era arrivato il momento di chiudere i battenti. Tommy Bolin tornò al suo genere originale, ma, disgraziatamente, morì di overdose il 4 Dicembre 1976, a soli 25 anni. Nonostante la parabola discendente del gruppo, negli anni successivi. la richiesta di reunion fu molto alta e costante, specialmente per quanto riguarda la Mark II. Sebbene una cosa del genere non sembrasse poter accadere tanto presto, anche perché i vecchi membri storici erano tutti impegnati in altri progetti, questo non impedì speculazioni e voci di corridoio che dicevano che ci sarebbero stati dei tour a breve. Nel 1980, quando finalmente venne annunciata una reunion con delle date in Nord America, i fan andarono in visibilio e sembrava finalmente che il sogno di ogni appassionato di hard rock si fosse realizzato. Ma era veramente così?

A questo punto, prima di proseguire, è necessario fare una divagazione e un piccolo passo indietro. Due musicisti, il chitarrista Tony Flynn e il tastierista Geoff Emery, da tempo militavano in una versione non ufficiale degli Steppenwolf, in cui comparivano solo due membri originali, nessuno dei quali era fondatore. Il cantante, leader e depositario del nome "Steppenwolf", John Kay, presto si stufò di questa farsa e li costrinse a smettere, appena in tempo per impedire a questa versione "farlocca" di fare uscire un album in studio, che avrebbe dovuto intitolarsi "Night of the Wolf". Quando Flynn ed Emery si resero conto che il gioco stava per finire, cominciarono a cercare altrove, mettendo gli occhi, appunto, sui Deep Purple. Il gruppo era sufficientemente famoso, la richiesta era alta e, come il cacio sui maccheroni, avevano degli ex membri di relativo basso profilo e musicalmente inattivi da tempo che avrebbero potuto prestarsi bene al gioco. Ovviamente, stiamo parlando di Nick Simper e di Rod Evans, che vennero presto contattati con l'allettante proposta di far rivivere il nome Deep Purple. Simper mangiò subito la foglia e se ne tenne fuori, ma Evans, attratto dalla possibilità di poter tornare sul palco, questa volta facendo più successo, accettò. Con l'aggiunta del batterista Dick Jurgens III, presente anche lui in una delle formazioni finte degli Steppenwolf, e del bassista Tom De Rivera, un non professionista, si completò la più grande mistificazione che ci sia stata nel mondo del rock.

Bogus Deep Purple
Da sinistra: Dick Jurgens III, Tony Flynn, Tom De Rivera, Geoff Emery e Rod Evans
Nel Marzo del 1980, Emery registrò legalmente il marchio "Deep Purple" secondo le leggi Americane, specificando che nessun altro prima di questa registrazione ne detenesse i diritti. Ovviamente, suddetto nome era già stato registrato nel 1968 e tutti i membri di questa, chiamiamola così per comodità, formazione lo sapevano, Rod Evans in primis. Non solo, ma nel 1971, era anche stata fondata una compagnia, la Deep Purple (Oversas) Ltd., che serviva, tra le altre cose, a tutelarsi contro questo genere di cose, anche se nessuno si sarebbe immaginato che qualcuno sarebbe stato così sfacciato da tentare sul serio di fare una cosa del genere. Tuttavia, c'erano troppi buchi e incongruenze nel sistema legale Americano, soprattutto quando si trattava della tutela legale dei musicisti, e prima che i veri depositari del nome Deep Purple riuscissero a farci qualcosa, questo nuovo gruppo riuscì a muoversi piuttosto velocemente. Inoltre, fatto non trascurabile, all'epoca internet non esisteva, e chi organizzò questo finto tour, fu molto bravo a giocare sul "fattore confusione". Ora della fine, le radio e i giornalisti sapevano soltanto che i Deep Purple si erano riformati, ma non si sapeva chi stesse all'interno del gruppo e, d'altra parte, la fame di hard rock era così tanta che nessuno se ne preoccupò sul serio.

Dopo aver fatto una serie di date di prova in dei piccoli e anonimi teatrini, il 17 Maggio 1980 il gruppo fece la sua prima data ufficiale all'Armadillo Civic Center, in Texas. I biglietti, come prevedibile, vendettero come il pane e i fan erano giubilanti, convinti di stare per assistere ad un evento unico e memorabile. La cosa si rivelò effettivamente così, ma non nel modo in cui si aspettavano. Come immaginabile, il concerto, da qualsiasi punto di vista artistico, fu un totale disastro. Il gruppo suonava come una cover band di scarso livello, la qualità del suono era decisamente bassa, e la scaletta era piuttosto strana: passi per "Hush", "Mandrake Root", "Kentucky Woman" e forse, l'inevitabile "Smoke on The Water", che comunque non faceva parte del periodo di Rod Evans, ma l'inclusione di materiale come "Space Truckin'", "Burn" e "Might Just Take Your Life" era assolutamente incomprensibile. A peggiorare le cose, i cinque si erano presentati con un look glam e sfoggiavano un comportamento degno dei peggiori stereotipi del rock, con tanto di distruzione finale degli strumenti. Il pubblico, ovviamente, non reagì per niente bene, complice anche il fatto che quasi nessuno aveva riconosciuto Rod Evans o, comunque, sapeva che aveva fatto parte dei Deep Purple originali. Il quintetto abbandonò il palco solo dopo 40 minuti, dopo essere stato bersaglio di bottiglie e oggetti vari, e l'inizio di una rivolta. Avrebbe dovuto essere un monito abbastanza chiaro, ma se qualcuno è già abbastanza senza scrupoli da far partire un'operazione del genere sicuramente cerca di portarla a termine, e il tour proseguì con gli stessi risultati di sera in sera. Ad un concerto al Capitol Theater di Quebec, in Canada, il chitarrista Tony Flynn, stufo dei continui lanci, proclamò al microfono che "chiunque sia qua per sentire i veri Deep Purple è il benvenuto, ma gli altri possono andare a fare in culo". Ovviamente, la cosa non fece altro che peggiorare la situazione; Robert Boualy, l'organizzatore di quel concerto, fu lapidario: "non meritano di essere pagati, è stato ripugnante". A questo punto, la voce che una banda di impostori stava andando in giro a nome Deep Purple si era sparsa a macchia d'olio e le vendite dei biglietti stavano cominciando a calare drasticamente. I membri originali si accorsero finalmente di cosa stava succedendo e cominciarono a rilasciare dichiarazioni ufficiali e a muoversi su terreni legali. "Penso che sia disgustoso che un gruppo debba scendere così in basso e prendere il nome di qualcun altro" affermò Ritchie Blackmore a Rolling Stone Magazine. Da canto suo, Rod Evans negava di stare facendo qualcosa di sbagliato; dopo aver, falsamente, affermato nel Giugno 1980 a Sounds Magazine di aver contattato Blackmore e Jon Lord per avere il permesso di usare il nome, in Ottobre, in un'altra intervista alla stessa rivista, cambiò versione: "Che Ritchie mi dia il suo supporto o no non è di grande conseguenza per me, così come non lo sarebbe per lui se io glielo dessi per i Rainbow. Voglio dire, mi dispiace che non gli piaccia il gruppo, ma ci stiamo provando". Un certo Ronald K., uno dei promoter di questa nuova formazione, prese le loro difese con un annuncio ai giornali di musica, senza risultare molto convincente: secondo lui, tra le altre cose, i Deep Purple originali volevano indietro il nome perché avevano visto che "il nuovo gruppo ha successo e vogliono averne i diritti"! Comunque, per via di come si muoveva il sistema legale Americano, la Deep Purple (Oversas) Ltd. per un po' di tempo non poté avviare procedimenti legali, anche se riuscì, se non altro, a fare pubblicare un avviso sul Los Angeles Times che specificava che Ritchie BlackmoreDavid CoverdaleIan GillanRoger GloverGlenn HughesJon Lord Ian Paice, contrariamente a quanto si vociferava, non erano parte di questa formazione. E chi diavolo c'era nei Deep Purple, allora?!

Rod Evans (1980)
Quando, finalmente, i veri Deep Purple fecero causa a quelli falsi, questi ultimi, per un certo periodo, si esibirono a nome The New Deep Purple, ma servì a poco.  Il 3 Ottobre 1980, dopo quasi un anno, i giudici decisero che il nuovo gruppo non aveva nessun diritto di girare a nome Deep Purple e li condannò al pagamento di una sanzione di 672.000 dollari. Evans, che non poteva sostenere una spesa del genere, perse le royalties degli album che aveva registrato con loro e questo segnò la fine di quest'avventura. "È stata una cosa molto stupida da fare. Rod è stato un idiota" tuonò Jon Lord il 7 Maggio 1981 in un'intervista alla Radio 1 Svedese, "si è fatto fregare da persone che volevano solo guadagnare sul nome, senza preoccuparsi della qualità. Se non li avessimo fermati, avrebbero potuto registrare a nome Deep Purple, sarebbe stata una truffa gigantesca". In effetti, i falsi Deep Purple avevano firmato un contratto con una casa discografica affiliata alla Warner Brothers e avevano pure già registrato una serie di canzoni ai Village Recording Studios di Los Angeles, che, secondo i piani originali, sarebbero dovute uscire nel Novembre del 1980. Chiaramente non se ne fece nulla, anche se nei mesi successivi Tony Flynn parlò di un suo disco solista nel quale ci sarebbe stata la partecipazione di Emery e Evans, sicuramente materiale tratto dai suddetti nastri. Anche questo progetto sparì nel vuoto.  Anni dopo, in un'intervista del 1998, un più pacato Jon Lord cercò di rivedere la cosa sotto un punto di vista diverso, più consono al suo modo di fare British: "Rod ha solo voluto provare a vedere cosa sarebbe successo. L'unica cosa di cui gli faccio una colpa è di essere stato sconsiderato. Avrebbe dovuto sapere che non sarebbe stato facile cavarsela con dei finti Deep Purple: dopotutto lo stava pur sempre facendo in pubblico!". Com'è noto, i Deep Purple si riunirono ufficialmente nel 1984 con la popolare Mark II, tornando in piena forma con l'album "Perfect Strangers" cancellando così ogni effetto di questa infausta disavventura e soddisfacendo i fan che tanto avevano desiderato un loro ritorno in scena.

Dopo questa storia, la carriera musicale di Rod Evans era ormai inequivocabilmente giunta al termine e, poco dopo, sparì dalla circolazione senza farsi più vedere. Il suo esilio volontario dura fino ai giorni nostri: pochi sanno dove il cantante si trovi oggi e, chi lo sa, non apre bocca. Nei primi anni 2000, Larry "Rhino" Reinhardt, il chitarrista dei Captain Beyond, affermò che, in quel momento, era in contatto con lui e che gli aveva anche chiesto di fare una reunion con il gruppo, ma Evans aveva declinato l'offerta. Reinhardt è morto nel 2012, ma secondo alcune indiscrezioni, anche il batterista Ian Paice sarebbe a conoscenza di dove si trovi Rod in questo momento. Se da un lato quello che ha combinato il cantante è stato senza dubbio molto grave e, come si suol dire, "chi è causa del suo mal pianga sé stesso". dall'altro è indubbiamente triste che un musicista come lui abbia dovuto terminare la sua carriera in questo modo. Rod Evans non era un cantante che faceva virtuosismi, ma, oltre ad avere una bella timbrica, era molto espressivo e versatile, risultando tanto convincente nei brani più spinti ("The Bird Has Flown" dei Deep Purple e "Mesmerization Eclipse" dei Captain Beyond) quanto nelle ballate ("Lalena" e "Starglow Energy" sempre degli stessi due gruppi, rispettivamente). Inoltre, prima del 1980, ha senza dubbio avuto una carriera non solo rispettabile, ma anche di prestigio e, sebbene questa sia una macchia difficile da cancellare, lo si ricorda molto più volentieri per quelle tante belle cose che ha fatto in precedenza. Anche se sicuramente, dopo tutte queste batoste, Rod non si avvicinerà mai più ad un contratto discografico, sarebbe bello che decidesse almeno di uscire dall'anonimato, anche in maniera riservata, magari con una breve intervista via e-mail, tanto per farci sapere che è ancora tra noi, e, perché no, raccontandoci qualche aneddoto dei Captain Beyond e dei Deep Purple, quelli veri.  Mr. Rod Evans, se ci sei, e se, molto improbabilmente, sai leggere l'Italiano, batti un colpo. Tutto è perdonato!

Rod Evans (1971)

- Fonti e altre letture di interesse -