mercoledì 11 maggio 2016

Dub All Sense - Bro (4Weed Music, 2015)

Il collettivo italiano Dub All Sense, la cui scena di riferimento è intuibile già dal nome, è attivo già da diversi anni distinguendosi, tra le altre cose, anche per i numerosi featuring e collaborazioni ccon cui hanno inconfondibilmente delineato la cerchia di personalità e realtà che li rappresentano. Ovviamente il reggae, la dub (Paolo Baldini, gli Africa Unite e in particolar modo gli Zion Train, tramite il produttore Neil Perch), l'hip-hop (Clementino, i 99 Posse) e l'elettronica, con rimandi dubstep che in questo nuovo "Bro" sono presenti, anche se tangenzialmente.
Come i lavori precedenti, le ospitate sono innumerevoli, e senza entrare troppo nello specifico citiamo le più efficaci ("Dead or Alive" con Marina P. e la tribaleggiante "Fyah Pon Dem" con la partecipazione di Mc Baco). A livello tematico, rivoluzione, inviti alla fraternità e all'uguaglianza, diritti civili, riscatto contro la privazione di determinate libertà. Niente di nuovo sotto il sole, ma è impossibile considerare questo un difetto. Se proprio un neo bisogna disseppellirlo, per rendere più variegate alcune canzoni sarebbero stati necessari più strumenti acustici, ma è un dettaglio ignorabile. C'è vita anche oltre ai brani più tradizionalmente reggaeggianti, specialmente con il trip-hop bristoliano, quello liquido ma d'impatto, veramente da club, di un grande brano che è "Brothers Fight Together". E' il rimando urbano, indispensabile, ben allineato nel nucleo del progetto.

L'aspetto che rende i dischi dub piacevoli non è neppure l'originalità, che come in tanti generi viene a mancare nel momento in cui si è costretti ad aderire a certi standard dettati dal gusto dell'ascoltatore (si pensi anche al reggae più classico, o alla techno, per citare solo due esempi). In questo caso, "Bro" è gradevole senza dubbio per l'uso davvero acuto delle voci, che riescono a tratteggiare anche elementi di orecchiabilità non forzata, senza mai abbandonare le proprietà underground e i linguaggi che caratterizzano questo sound. In linea di massima, aggiungere altro rischierebbe di minare un lavoro che ha tutte le carte in regola per entrare nell'olimpo del dub italiano, ovviamente nella nicchia di riferimento. Un ottimo passo, coerente, non troppo precipitoso, verso un punto d'arrivo ora non più così distante. 

martedì 3 maggio 2016

Manuel Rinaldi - Faccio Quello Che Mi Pare (Autoproduzione, 2016)

Dalla sempre fertile Emilia, culla del rock italiano impegnato e soprattutto del rock nazionalpopolare, Manuel Rinaldi impara e mette in pratica una lezione fondamentale: essere diretti (che non significa essere sfacciati), ripaga. Forse, di questi tempi, non in termini economici, ma in quanto a coerenza, potenza del messaggio e riverberazione nei media, l'obiettivo sembra centrato. 
Elemento fondamentale - ovviamente - di questo "Faccio Quello Che Mi Pare", sono i testi. L'impegno più profondo nelle parole rimanda agli Offlaga Disco Pax e a Giorgio Canali, alcune scelte vocali al primo Ligabue, ma l'amore più volte dichiarato nelle interviste per il grunge fanno viaggiare verso i primi anni novanta nostrani per un tuffo nella vera scena post-Seattle italiana: gli Afterhours in lingua inglese, i Marlene Kuntz (pure in qualche passaggio di chitarra), i primi Timoria di "Colori che Esplodono" o addirittura Estra e Ritmo Tribale. Dicevamo però, Ligabue, ed è proprio qui che si va a sbattere contro la scelta di aderire ad un sound radiofonico che a Manuel sembra stare stretto. In aggiunta, fa specie come risulti in ogni brano evidente quanto oltre possa spingersi con un timbro vocale così riconoscibile (in particolar modo in "La Tua Faccia Come Quella di Courtney" e "Lo Stato dei Soldi"). E' così che i testi rivoluzionari, energici ed energetici, con un contenuto tra l'erudito e l'impetuoso, trovano una sorta di frangiflutti che li tiene separati dalla convezione del messaggio in quel fluido così difficile da navigare a vista che è il rock melodico italiano.
Nonostante tutto questo, la compattezza del prodotto, l'ottima esecuzione strumentale e una produzione nitida ma d'impatto, innalzano la sua qualità media e lo rendono un lavoro godibile per quanto la durevolezza nel tempo sia ampiamente messa in discussione dal suo essere già profondamente superato.