lunedì 23 febbraio 2015

Eddie Jobson - Four Decades (Ward Records, 2015)

Eddie Jobson, brillante violinista, tastierista e compositore, è uno degli eroi sconosciuti del rock classico. Nel 1973, a soli 18 anni, entra nei Curved Air registrando il loro quarto disco in studio: "Air Cut". L'anno successivo, lascia il gruppo per unirsi ai Roxy Music come membro complementare dopo la dipartita di Eno, e appare in alcuni dei loro album più popolari e conosciuti: "Stranded", "Country Life" "Siren", più il live album "Viva!". Contemporaneamente, partecipa a delle session di artisti come John Entwistle, Roger Glover, Phil Manzanera, Bryan Ferry e, addirittura, i King Crimson, sovraincidendo alcune parti di violino nel loro album dal vivo "USA". Nel 1976 i Roxy Music si prendono un periodo sabbatico e nientemeno che Frank Zappa, a cui il gruppo aveva fatto da opener per un breve tour in Canada nel 1975, gli chiede di unirsi alla sua formazione. Com'è noto, Zappa non lavorava mai in maniera lineare e, quindi, sebbene Jobson sia rimasto con lui solo per un anno, compare in diverse pubblicazioni, la più celebre delle quali è sicuramente il bellissimo doppio album dal vivo "Zappa in New York". Nel 1977 forma il supergruppo UK assieme alla sezione ritmica dell'ultima formazione dei King Crimson: il bassista e cantante John Wetton, con il quale Eddie aveva fatto anche un tour con i Roxy Music, e il batterista Bill Bruford, ai quali viene aggiunto il leggendario Allan Holdsworth alla chitarra. Dopo il primo omonimo album, Bruford e Holdsworth lasciano, e gli UK diventano un trio, e l'Americano ed ex compagno di viaggi Zappiani Terry Bozzio prende il posto alla batteria. Questa formazione incide un secondo album in studio, "Danger Money" e uno dal vivo "Night After Night". Nel 1980 gli UK si sgretolano e Eddie Jobson entra a tempo determinato (un anno) nei Jethro Tull per le registrazioni dell'album "A" e il relativo tour. Nel 1983 Jobson forma gli Zinc con i quali pubblica "The Green Album" un buon LP che sembra voler riprendere da dove gli UK si erano fermati, ma le scarse vendite del disco impediscono al progetto di continuare. Nel 1985 esce il suo album solista "Theme of Secrets", lavoro ambient strumentale dominato dall'uso del synclavier. Da qua in poi, Jobson si ritira dal mondo discografico e comincia la sua carriera di compositore, vincendo, peraltro, svariati premi per la colonna sonora del celebre telefilm poliziesco "Nash Bridges". Nel 2009, Jobson ritorna in attività con ben due nuovi progetti: uno dedicato prevalentemente alla rivisitazione di brani del suo passato discografico, gli U-Z (Ultimate Zero), e gli UKZ, con i quali, invece, compone nuova musica e pubblica un EP intitolato "Radiation". Nel 2011, Jobson si riunisce ufficialmente con Wetton, che era già apparso con gli U-Z come ospite, e si riformano ufficialmente gli UK. Questa reunion è incentrata principalmente su Jobson e Wetton e quindi si circondano di vari session men che cambiano praticamente in ogni tour, ma bisogna segnalare il tour del 2013 con il ritorno della formazione in trio con Terry Bozzio. Insomma, una carriera invidiabile, con molti artisti di alto prestigio e, da notare, compressa in pochissimo tempo.

Come fa intendere il titolo stesso, questo "Four Decades" è un concerto celebrativo registrato dal vivo a Kawasaki in Giappone il 9 Novembre 2013, nel quale Eddie Jobson, accompagnato da Alex Machacek (chitarra), Ric Fierabracci (basso) e Marco Minneman (batteria), rivisita le tappe principali della sua carriera, ospitando anche alcuni membri originali dei vari gruppi in cui ha suonato: Sonja Kristina dei Curved Air, John Wetton e il cantante Aaron Lippert. La scaletta in sé è molto interessante, specialmente i brani tratti da "The Green Album" e "Theme of Secrets", precedentemente praticamente tutti inediti dal vivo, ma forse avrebbe potuto essere ancora meglio. Colpisce immediatamente all'occhio l'assenza del suo periodo con i Jethro Tull, cosa abbastanza strana se consideriamo che il suo apporto compositivo e di arrangiamento su "A" è palpabile e pienamente riconosciuto: brani come "Uniform", "Black Sunday" o "Protect and Survive" sarebbero stati perfetti in un evento come questo. Allo stesso modo, l'attenzione che viene data ai Curved Air è decisamente eccessiva: se l'energico strumentale "Armin" è un ottimo modo di iniziare il concerto e la lunga "Metamorphosis", il primo pezzo complesso scritto dal giovane Eddie, è una scelta quasi obbligata, "U.H.F.", buon brano ma non molto adatto ad essere eseguito dal vivo, ed "Elfin Boy", nella quale l'evento sembra trasformarsi in un concerto solista di Sonja Kristina, danno l'impressione di essere di troppo. L'inclusione di "It Happened Today" e "Young Mother" poi è ancora più incomprensibile, visto che le versioni originali sono antecedenti all'entrata di Eddie Jobson nei Curved Air. Come se non bastasse, la Kristina non ha certamente più la voce di un tempo e, sebbene il gruppo faccia un lavoro professionale, non sembra trovarsi completamente a suo agio in questo tipo di pezzi. Dal suo periodo con i Roxy Music e Frank Zappa viene scelto solo un brano a testa; i primi sono rappresentati da "Out of the Blue", cantata da Aaron Lippert, celebre tra i fan per il suo incendiario assolo di violino finale, mentre dall'epoca Zappiana, è stata scelta "Läther" (in realtà questo è il titolo alternativo del pezzo: per scoprire quale sia quello vero, guardate la terza traccia del primo CD di "Zappa in New York"), uno degli strumentali meno scanzonati e più delicati di Zappa, con lo splendido assolo di moog originale rappresentato degnamente. Dopo questa breve, ma intensa, parentesi, entriamo in pieno periodo UK, con il graditissimo arrivo di John Wetton che per i prossimi brani suonerà anche il basso. Vengono proposte l'intera suite di "In The Dead of Night", la dolce "Rendezvous 6.02" e la splendida "Carrying No Cross", sicuramente tre dei momenti più alti della carriera compositiva di Jobson. Le versioni dei pezzi sono decisamente eccellenti e, sebbene abbia acquistato una timbrica più bassa e leggermente diversa da un tempo, Wetton fa un uso perfetto della sua voce, risultando uno dei punti di forza di queste nuove esecuzioni. Curioso notare che la formazione sul palco in questo momento (JobsonWettonMachacekMinneman) è la stessa che compare nel DVD uscito a nome UK "Reunion - Live in Tokyo".

La seconda parte del concerto consiste in una serie di brani che mostrano la transizione fino agli UKZ. Le danze vengono aperte della strumentale "Alaska", tratta dal primo omonimo album degli UK, a cui seguono brani del "Green Album" alcuni dei quali, originariamente cantati da Jobson stesso. Eddie non è stonato ma ha una voce assolutamente inadatta ad un ruolo solista: probabilmente lui stesso è conscio della cosa, visto che, dopo gli Zinc, non ha mai più tentato di cimentarsi come cantante solista. Comunque, "Resident" e "Who My Friends...", quest'ultima qui interpretata da Aaron Lippert, sono tra i pezzi migliori di tale disco e queste versioni sono di ottima qualità, grazie anche all'impeccabile drumming di Minneman. Le strumentali "Prelude" e "Nostalgia" vengono attaccate a "Spheres of Influence" e a "Inner Secrets" che, nonostante la loro natura elettronica, funzionano benissimo dal vivo. Con un salto temporale di 24 anni, arriviamo finalmente a "Radiation", la title-track dell'omonimo EP degli UKZ, che chiude questa sequenza con una giusta dose di energia e di aggressività. Seguono altri due dei quattro brani del medesimo EP, con la poetica "Houston" a mettere risalto le qualità canore di Aaron Lippert, e lo strumentale Crimsoniano "Tu-95" che permette ai vari musicisti di mostrare la loro bravura tecnica. A quest'ultima, viene collegata la sezione strumentale di "Through the Glass" di "The Green Album", che chiude degnamente il main set, lasciando un ottima sensazione e dando un senso di continuità all'evento. Il concerto però non finisce qua: per la sezione dei bis ritornano Sonja Kristina per "Young Mother" e John Wetton per "Caesar's Palace Blues", che ci riporta in un clima energico ed entusiasta. Lo spettacolo si chiude definitivamente con "Forever Until Sunday", un brano di Bill Bruford originariamente composto per gli UK, ma in seguito pubblicato sul suo disco solista "One of a Kind", sicuramente un finale perfetto: grandioso e malinconico allo stesso tempo.

In generale, si può parlare di un'ottima, ma non perfetta, retrospettiva che evidenzia e risalta la caratura artistica e strumentale di Eddie Jobson. Se dal punto di vista musicale, questa pubblicazione viene decisamente promossa, il resto del pacchetto un po' meno. La produzione del disco non è eccelsa: il mixaggio è piuttosto strano, eccessivamente incentrato sugli alti e con troppo finto riverbero, e, imperdonabilmente, soffre di un pessimo mastering che fa "gracchiare" l'insieme sonoro in alcune sezioni. Inoltre, l'unico modo per procurarsi questo piccolo gioiellino è acquistarlo dal sito della Ward Records  in una confezione deluxe che, oltre al doppio CD, comprende il Blu-Ray, una maglietta e una serie di altri bonus. Sebbene sia ordinabile da tutto il mondo, questo pacchetto viene stampato solo in Giappone e, questo significa che, oltre ai 16000 yen di costo originale (circa 120 euro), dobbiamo aggiungere anche le tasse di dogana e spedizione. Insomma, la presentazione eccessivamente mastodontica, i costi abbastanza alti e la difficoltà nel procurarsi questo cofanetto sicuramente scoraggeranno più di una persona. Volendo essere polemici, sembrerebbe quasi che Jobson voglia escludersi volontariamente in modo da tramandare la sua musica a pochi eletti e, se questo fosse il caso, sarebbe un vero peccato: un musicista con una carriera come la sua meriterebbe senz'altro di entrare negli annali. Ma forse, ragionando più con i piedi per terra, questo tipo di prodotto dedicato ad una determinata cerchia di appassionati potrebbe anche essere l'unico modo che ha oggi il polistrumentista Inglese di rimanere sul mercato. Comunque si veda la questione, non si può fare a meno di rammaricarsi, per motivi diversi. Per fortuna, anche in questi casi, la musica rimane comunque la protagonista e, con Eddie Jobson, la qualità è sempre alta.

Eddie Jobson

venerdì 6 febbraio 2015

King Crimson - Live at The Orpheum (DGM, 2015)

Cosa possiamo dire riguardo ad un personaggio come Robert Fripp? Prima di tutto, che è un grandissimo chitarrista e un altrettanto grande band leader/"talent scout" (molto tra virgolette), in grado di scegliere sempre dei compagni di avventura adatti: sia creativamente che dal punto di vista strumentale. Si tratta senza dubbio di un personaggio davvero molto enigmatico e interessante, quanto la musica che ha prodotto nel corso della sua carriera. Qualche anno fa, Fripp aveva annunciato una sorta di pensionamento, dichiarando di volersi dedicare quasi esclusivamente ai suoi particolarissimi progetti ambient, abbandonando in toto la musica rock. A fine 2013, invece, i King Crimson sono tornati all'attivo con una nuova formazione, peraltro, una delle più aggressive della storia della band. Colpisce l'assenza di Adrian Belew, co-chitarrista e cantante, che era stato con il gruppo a partire dal 1980 fino all'ultimo tour, nel 2008. In compenso, Tony Levin (basso e stick), altra faccia storica del gruppo, è ben solido al suo posto, così come i due batteristi Pat Mastelotto (dal 1994) e Gavin Harrison (presente anche nel tour precedente), mentre segnaliamo il graditissimo ritorno del fiatista Mel Collins, membro del gruppo dal 1970 al 1972 e collaboratore nel 1974. Le nuove conoscenze, invece, sono Jakko Jakszyk (chitarra e voce), uno dei più apprezzati session-man e tecnici del suono degli ultimi anni e un terzo (!) batterista: Bill Rieflin. Il fatto che questa formazione abbia tre batteristi non fa altro che continuare la tradizione del re Cremisi di accettare nuove sfide e di trovare modi sempre nuovi e inconsueti di vivere la musica: basti pensare al "double trio" che è stato attivo dal 1994 al 1997.

A fine 2014 questa line-up è finalmente andata in tour negli USA. Mentre il gruppo era in procinto di annunciare le prime date europee del 2015, che si svolgeranno tra Agosto e Settembre (per ora in Regno Unito, Francia e Paesi Bassi), per mantenere vivo l'interesse e offrire una specie di antipasto, è uscito questo live-album, registrato il 30 Settembre e l'1 Ottobre 2014 all'Orpheum Theatre di Boston. Solitamente, ogni line-up dei King Crimson ignora quasi completamente il passato, concentrandosi solo sul repertorio attuale. Qui, forse per il ritorno di Mel Collins, forse perché una versione ridotta di questa formazione ha all'attivo solo l'album "A Scarcity of Miracles", tra l'altro nemmeno accreditato ai King Crimson, vengono recuperati anche brani da "In The Wake of Poseidon", "Islands" e "Red". Questo, quindi, è il primo live-album ufficiale del gruppo che suonerebbe quasi "tipico", se non fosse che si parla pur sempre dei King Crimson e di un disco dove suonano contemporaneamente tre batteristi! Oltre alla scelta della scaletta, la cosa che salta di più all'occhio è l'eccessiva brevità dell'album: solo 40 minuti. Come dovremmo interpretare la cosa? Vedremo altro materiale dal vivo di questa formazione o è una scelta stilistica volontaria, per decidere quali sono le parti essenziali del set e più meritevoli di finire in un riassunto?

Per quanto riguarda la musica, solo due titoli ci sono estranei. "Walk On: Monk Morph Chamber Music" è esattamente ciò che dice di essere: il gruppo che sale sul palco e si accorda, con in sottofondo un collage pre-registrato che utilizza anche dei sample tratti dalla traccia finale senza nome di "Islands", mentre "Banshee Legs Bell Hassle" è un pregevole intermezzo atmosferico con le percussioni di Gavin Harrison. Le difficoltà maggiori stanno nella parte cantata del disco; Jakko Jakszyk è un musicista eccellente, adattissimo chitarristicamente a questa formazione, e, generalmente, non ha una voce disprezzabile; però non è in grado di rendere propriamente giustizia a "One More Red Nightmare", un brano nel quale l'assenza vocale di John Wetton si percepisce particolarmente e, sebbene faccia comunque un lavoro onesto, anche la sua interpretazione di "Starless" risulta decisamente sottotono rispetto all'originale. Il brano dove Jakszyk convince di più vocalmente è "The Letters" che, però, a parere di chi scrive, è l'unico che avrebbe anche potuto essere sacrificato per fare posto ad altri pezzi più interessanti in scaletta nel tour, come "Pictures of a City", "Larks' Toungues in Aspic, part 1" o "The Talking Drum". Comunque, al fan medio del re Cremisi potrebbe far piacere la presenza di un brano oscuro e dimenticato e, probabilmente, questa versione è superiore all'originale in studio. Strumentalmente, invece, il gruppo dà assolutamente il meglio di sé: questa versione di "The ConstruKction of Light" è di una bellezza indescrivibile, e la potenza di "The Sailor's Tale", brano ingiustamente dimenticato da troppo tempo, è qualcosa che bisogna sentire per credere. Anche le già citate "One More Red Nightmare" e "Starless" nelle loro sezioni strumentali sono molto convincenti, sebbene la seconda abbia qualche problema verso il finale, nel quale il tempo viene molto rallentato rispetto all'originale, probabilmente per accomodare l'uso di tre batterie; tuttavia, quello che perde nel finale, lo guadagna nella sezione centrale, dove l'uso delle percussioni aumenta notevolmente la drammaticità.

Nonostante questa recensione possa sembrare un po' dura e critica, dobbiamo sottolineare che i King Crimson hanno conservato tutta la magia che contraddistingueva i loro tour precedenti. Fripp rimane uno dei migliori chitarristi in circolazione, e non ha perso minimamente lustro, riuscendo a mantenere il suo stile inconfondibile ampliandolo sempre di più: probabilmente, è una persona assolutamente conscia dei problemi che possono dare l'età, e, invece di tentare l'impossibile, cerca di reinvantarsi in base alle sue capacità attuali, risultando sempre fresco e, soprattutto, un gigante. I suoi comprimari non sono da meno e Tony Levin e Mel Collins, in particolare, danno una performance incredibile. Il difetto maggiore di questo album, in effetti, è che contiene solo 40 minuti di musica: sarebbe stato molto meglio far sentire anche altro materiale da questa formazione e avremmo, sicuramente, potuto dire di più. Per come stanno le cose adesso, non possiamo che augurarci che questa line-up arrivi anche qui in Italia, in modo da poterci godere un loro concerto dal vivo, a primo impatto. E, se questo dovesse malauguratamente non verificarsi, speriamo perlomeno che sia prevista un'altra pubblicazione più esaustiva di questi concerti.

Dietro: Tony Levin, Mel Collins, Robert Fripp, Jakko Jakszyk
Davanti: Gavin Harrison, Bill Rieflin, Pat Mastelotto