martedì 25 gennaio 2011

William Wilson - Just For You Not For All (Autoproduzione, 2010)



TRACKLIST
1. The Wreck of the Nordling
2. Song
3. Je Veux Une Vie En Forme D’Arete
4. Y A Du Soleil Dans La Rue
5. Incurable
6. Pourquoi Que Je Vis
7. Wonderful Nightmare
8. Red Iron Man
9. Song To The Siren
10. J’Aimerais/Tout A Etè Dit Cent Fois

Scicli è un comune in provincia di Ragusa, famoso per l’architettura di vari stili che vi si può trovare, ma non certo per la musica. William Wilson, cantautore già attivo in vari altri progetti nell’isola meridionale, prova a cambiare le cose autoproducendosi un disco che tenta di dimostrare come anche qui si componga della bella musica. Ci sarà riuscito?
La verità è che risulta molto difficile dare un giudizio organico di questo lavoro: Just For You Not For All sembra quasi una dichiarazione d’intenti, più che un titolo di disco, riferendosi praticamente al pubblico a cui è diretto l’album, che infatti non è “per tutti”, ma richiede una certa conoscenza per poterlo capire ed approfondire. Di per sé, niente di complesso: in realtà la virtù principale del disco è l’essere particolarmente minimale, privo di fronzoli, relativamente semplice. E farlo in maniera troppo palese come qui avviene è forse un modo per nascondere carenze a livello tecnico e compositivo che in diversi frangenti del disco si possono riscontrare (alcuni passaggi in “Red Iron Man” in particolare, nonostante sia uno degli episodi oggettivamente più riusciti). Ma non si giudica un’opera musicale solo in virtù di queste caratteristiche. Wilson (che tra l’altro è il nome di un personaggio di Edgar Allan Poe), mette in fila una serie di malinconicissime ballad le cui sfumature sempre molto delicate e soffici ricordano la buona stella di Jeff Buckley, da cui rubano anche alcune nuances decadenti, supportate anche dall’utilizzo della lingua francese, per esempio nel musicare Boris Vian. Altri riferimenti ai quali Wilson si è appoggiato sono quelli di Gregory Corso, e dei Piano Magic, di cui realizza una cover di “Incurable”, quest’ultima in realtà presuntuosa presa di posizione che risulta molto carina e funzionale al resto del disco nella sua veste acustica.

La cantautorale italiana negli ultimi anni ha subito un’impennata incredibile, con il protagonismo delle liriche e degli arrangiamenti sperimentali (o classicheggianti) di alcuni nomi, che non andremo a ripetere. William Wilson tenta di coniare letteratura già scritta a concezioni di questo tipo, non riuscendo nell’intento di risultare efficace oppure importante. Si possono apprezzare le poesie di Vian rimaneggiate, così come l’eccesso di autoreferenzialità che sfugge da ogni canzone, nonostante siano solo due quelle che l’artista firma con la sua penna, e forse anche le intenzioni di dare una patina di fioca torbidità al disco lo riesce a sollevare dal baratro.
In sintesi, questo è un album che comunque potrà piacere a chi ascolta musica di questo tipo, ma che non aggiunge niente ad un panorama che ha già giocato le sue (ultime) carte in questi due o tre anni. La provvidenziale banalità degli arrangiamenti fa il resto, e lungi da noi criticare oltre il lavoro di un musicista di tutto rispetto lasciamo l’onore di concludere la recensione ad un augurio di vedere, in futuro, più elaborazione personale da parte di un cantautore che ha senz’altro capacità immensamente più grandi di quelle rivelate da Just For You, Not For All.


Voto: 5

lunedì 24 gennaio 2011

Officine Lumière - Cali di Serotonina (Play!, 2010)


1. Casa Lumière


2. Geometria Analitica
3. Caterpillar
4. Audrey H.
5. Panta Kala
6. Autunno
7. Pioggia
8. Facoltà di Irrilevanza Comparata
9. Nervi
10. Pace Armata
11. Baudelaire

RECENSIONE:
Le Officine Lumière sono una formazione torinese (da Villar Perosa, a dir la verità) che da qualche anno calca le scene del rock italiano con la loro miscela originale di testi sperimentali e diversioni elettroniche (in realtà, quest’ultima, novità di Cali di Serotonina, secondo disco della loro collezione). Se dovessimo raffrontarli a qualcuno, ma proprio se ci dovessero obbligare a farlo, per la musica ricorderebbero i Bluvertigo, per le liriche Subsonica, per la metrica delle linee vocali leggeri accenni a Pau dei Negrita (anche a livello timbrico in realtà). A concentrarsi sul contenuto musicale dell’album, si scopre che c’è molto nel disco: si incontrano i diversi orizzonti del vintage e del moderno, come nella ballad “Autunno” che rimanda ampiamente ad atmosfere puramente seventies, alternando levare di ispirazione jazz ad un ritornello orecchiabile che strizza l’occhio più al pop moderno che a quello ormai storico delle ballatone di qualche decennio fa. Non è l’unico esempio di evidente collisione tra generi, e lo dimostrerà anche il brano più “radiofonico” del lotto, cioè “Caterpillar”, una canzone che sembra arrangiata da Morgan ma che in realtà nasconde un’anima molto meno complessa, che punta tutto sull’impatto della semplicità. E’ poi ascoltando “Nervi” e “Panta Kala” che si sentono le calde mescolanze di ingredienti che la band riesce a mettere in campo: lo fa con un certo
savoir faire, quasi a volerlo palesare senza sottolinearlo troppo, quasi a voler raggiungere un’omogeneità che fa senz’altro bene al prodotto.
Il disco di per sé non aggiunge niente di nuovo in una scena italiana che alterna momenti di ristagno a momenti di copiosa rinascita, però come in una situazione di quiete dopo la tempesta è un prodotto rilassato che testimonia un ottimo songwriting, aiutato da un’autoproduzione che fa il suo lavoro senza gli eccessi tipici delle major né i grotteschi immobilismi del sound garage. E “il vuoto pneumatico della politica”, mentre “il mondo straborda di finto piacere”, è quanto ci resterà in testa di un insieme di liriche che è contemporaneamente ben scritto ma anche esageratamente random, nel senso che suscita piccoli dubbi circa la natura del significato dei testi per l’assurdo accostamento di concetti diversi ma che possono, sforzandosi, trovare un unico contenitore di significato dopo un’opportuna ricerca di comunanza semantica. Ma, ciò che importa in un genere come questo, è che il messaggio arrivi all’ascoltatore. E gli Officine Lumière sanno suonare, eccome se sanno suonare (e comporre, che non è poco), e nel 2009 hanno sfornato un disco di sicuro impatto, valevole anche per gli anni successivi. Come un buono per uscire di prigione a Monopoli.

Voto: 7

domenica 23 gennaio 2011

Fish and Clips #9

E Fish and Clips è sopravvissuto a capodanno. Un capodanno dove sono successe tante di quelle cose che non abbiamo neppure voglia di raccontarvele. Oppure perché non è successo niente e siamo stati a guardare videoclip per riempire la rubrica? No non è così, però abbiamo comunque tre segnalazioni gustose da passarvi, anche se bisogna ammettere che non siamo certo qui con video così "rari" da stupirvi. Suvvia li conoscete sicuramente.

#1 COLDPLAY: LIFE IN TECHNICOLOR II (2009)
Diretto da Dougal Wilson, che ha ripreso anche il celebre "Satisfaction" di Benny Benassi, celebre anche per la sua versione pornografica che non è stata trasmetta praticamente da nessuna parte, ma potete cercarla su internet. In ogni caso qui ha pensato di dirigere le versioni burattino della band mentre suonano, con tanto di effetti pirotecnici e un elicottero che sfonda un vetro nel finale. Cosa volete di più?



#2 DEPECHE MODE - WRONG (2009)
Questo video andava in TV contemporaneamente a quello di cui vi ho appena parlato, ma questa volta è stato diretto da Patrick Daughters, che ha lavorato con Muse, Interpol, Yeah Yeah Yeahs, Snow Patrol e vagoni di altri artisti. Il video era tra i venti migliori video dell'anno secondo Spin Magazine, e forse perché faceva particolarmente paura? Avanti, c'è troppa tensione!





#3 THE WHITE STRIPES - THE DENIAL TWIST (2005)
Oh che bella la prospettiva forzata! Michel Gondry la usa particolarmente bene in questo video del duo più famoso del mondo, che per altro è un bel pezzo.
Per altri bei video di Gondry vi invitiamo a guardare "Let Forever Be" dei Chemical Brothers e "Come Into My World" di Kylie Minogue, di cui abbiamo già parlato in uno dei primi numeri di Fish and Clips.

sabato 22 gennaio 2011

Dimartino - Cara Maestra Abbiamo Perso (Pippola Music, 2010)


TRACKLIST:
1. Cercasi Anima
2. Ho Sparato a Vinicio Capossela
3. Cara Maestra
4. Parto
5. La Lavagna E’ Sporca
6. 999
7. Cambio Idea
8. La Ballata Della Moda
9. Marzo ‘48

Qual è il genere che più incessantemente sta riempiendo le nostre collezioni di dischi o di mp3 negli ultimi dieci anni di musica italiana? Il cantautorato, e cos’altro sennò. Angelo DiMartino, che su disco si fa chiamare solo per cognome (al contrario di tutti i beniamini di Amici e X Factor), un po’ ambiziosamente, esce con un disco prodotto dall’imprescindibile Cesare Basile, pubblicando per Pippola Music, un’etichetta che negli ultimi anni ha lanciato anche Brunori SAS, che è forse l’artista che più assomiglia a DiMartino per ispirazione. Si, perché dentro a Cara Maestra Abbiamo Perso si trovano tutti i tratti distintivi della cantautorale che negli ultimi ha decretato il successo dei due nomi più rappresentativi del nostro panorama, tutti e due dall’Emilia-Romagna (Dente e Le Luci della Centrale Elettrica): si parla di noi, quando noi significa anche parlare dell’artista stesso, sia come figura che come vita vissuta; si parla di passato, di quotidianità, di tutto e tutti, con un certo qualunquismo che, si sa, piace. Quello che cambia qui è l’aspetto musicale, più sostenuto ed elaborato, retto anche da una notevole ospitata che senz’altro farà scintillare più visibilmente il disco agli occhi degli “alternativi dell’ultim’ora” tanto criticati nell’ultimo album dei Marlene Kuntz. E sembra proprio che con brani come “Ho Sparato a Vinicio Capossela”, spiegando il perché del titolo nel testo con “ho sparato a Vinicio Capossela perché mi andava e perché piaceva a te e alle tue amiche”, una dichiarazione d’intenti che lascia poco spazio a spiegazioni, essendo fin troppo chiara la critica all’infighettamento di molti artisti e, soprattutto, del pubblico che segue un po’ tutto e niente. Toni disperati, toni sommessi, con un timbro molto particolare che non ci ricorda nessuno (fortunatamente), che senz’altro ci rammentano dei grandi nomi della nostra scena passata: Luigi Tenco, riportato in vita dalla bellissima cover di “La Ballata della Moda”, dove canta e suona anche Basile stesso; Ivan Graziani e Francesco De Gregori, la cui blanda ispirazione è evidente nelle liriche di “Marzo ‘48”, ultimo brano per cui vale il proverbiale “last but not least” inglese, e anche altri nomi come Ciampi, Gaetano, e il più recente Ettore Giuradei che è per altro parte proprio dell’attuale scena cantautorale italica a cui si faceva riferimento.
La forza comunicativa del disco, dicevamo, sta nelle parole, parole che si sporcano qualche volta di una volgarità più immaginabile che effettiva, di una presunzione che nel suo momento più evidente viene affidata alle parole di Vasco Brondi (ospite in “Parto”), e di una disillusione che è tipica della nostra generazione di ragazzi degli anni zero. C’è chi parla di “solite menate”, chi nega, e chi dà ragione ai primi dicendo però che questo DiMartino si distingue dalla massa: è vero, lo fa, e lo fa con una varietà di toni che rende questo disco una piccola perla in questi bui anni, con la presenza di artisti come Enrico Gabrielli che, in “Lavagna Sporca”, insieme ad Alessandro Fiori, trasforma un brano originariamente semifolk in una ballata che ricorda fin troppo i Mariposa. Insomma, tutto è buono pur di variare un sound che rischierebbe di essere banale. E la cosa importante è proprio che, alla fine, non lo è per niente.
Un disco variegato, diversificato in ogni singolo pezzo, attuale ma con uno sguardo al passato, con un valore letterario e musicale medio-alto che piacerà a molti, soprattutto agli “alternativi dell’ultim’ora”. Li citiamo di nuovo, perché questo limite non se lo leverà mai di dosso, avendo incluso nella lista degli ospiti Brondi. Ma per questo, urleremo ancora “
m’importa na sega”.

Voto: 7.5

venerdì 21 gennaio 2011

GTBT incontra la scena italiana #15: Conqueror

E stavolta tocca ai Conqueror, interessante band che GTBT ha scoperto nel 2010, quando il loro Madame Zelle è arrivato in redazione producendo le ottime impressioni che sono state immortalate dalla recensione che voi, gentili ed interessati lettori, sicuramente andrete a cercare. Leggasi.
1. Salve, amici Conqueror. E' stato davvero un piacere sentire e recensire la vostra musica, speriamo che vi sia piaciuta la recensione. Prima di tutto grazie per la disponibilità a questa intervista. Partiamo con la prima domanda: l'album è dedicato ad una figura femminile storica. Ve la sentite di abbozzare ai lettori di GTBT un suo ritratto? Insomma, chi è Madame Zelle?
Mata Hari è una donna Olandese che, dopo essere stata sull’isola di Giava, si innamora dei balli tipici di quei paesi. Il fallimento del matrimonio e l’uccisione del figlio non bloccano la sua carriera di ballerina (si spacciava per ballerina Giavanese, senza conoscere nei particolari questo tipo di danza), esibendosi così nei più importanti teatri europei e diventando una delle più celebri donne al mondo del primo ‘900. Il fascino che esercitava sugli uomini da un lato e la voglia di mantenere un alto tenore di vita dall’altro la portano ad accettare di diventare una spia, in un primo momento a favore dei tedeschi e, successivamente, per i francesi. Dopo la scelta poco abile di gestire questo doppio gioco, Mata Hari viene facilmente smascherata e condannata alla pena capitale.
 
2. La storia di questa donna è sicuramente molto interessante. Perché avete ritenuto interessante scrivere un album riguardo questo argomento?
In un primo momento non era nostra intenzione realizzare un’altro concept album dopo 74 Giorni (cd del 2007). Durante, però, la composizione dei primi brani abbiamo cominciato a documentarci su questa storia che diventava sempre più interessante e unica: il coraggio e la determinazione con cui Mata Hari affronta ogni istante della sua vita rendono questa donna particolarmente affascinante e sicura di sé.

3. Pensate che al di là del valore storico ci sia anche un valore morale nelle gesta di questa donna che sia giusto tramandare tramite un disco come il vostro?
Beh, parlare di valori morali forse è un po’ esagerato: sicuramente Mata Hari è stata eccessivamente bersagliata nel periodo del processo contro di lei come spia, probabilmente perché, essendo stata un personaggio molto celebre, può aver rappresentato un esempio di condanna visibile ad un vasto pubblico. Da qui ne consegue la decisione irremovibile (dei francesi) di giustiziarla.

4. Andiamo alla musica. Il vostro è definibile come un concept album, un'etichetta sempre più utilizzata a volte con risultati tristi. Il vostro però lo è per davvero. Perché avete deciso di fare un'opera su un unico argomento e non una serie di canzoni distinte?
Come dicevo prima, in origine non c’era l’intenzione di progettare un concept, soprattutto dopo aver realizzato nel 2007 “74 Giorni”, altro concept dedicato anch’esso ad una storia realmente accaduta: è stato sicuramente l’argomento, ritenuto particolarmente interessante, che ha cominciato a prendere il sopravvento sulla composizione dell’intero album.

5. Quali sono le vostre influenze più importanti?  ho sentito un po' di prog italiano dei bei tempi ma potrei essermi sbagliato...
E’ facile che nella musica che si compone vengano fuori delle influenze provenienti dall’ascolto: sicuramente gruppi come BMS, PFM ecc… rappresentano per noi pietre miliari del prog, ma non solo. Un gruppo che sicuramente mette d’accordo tutti sono i Genesis, unione di cinque geni che hanno realizzato dei dischi/capolavori che tutt’oggi vengono considerati come tali.  

6. Nel futuro dei Conqueror cosa c'è? Concerti, altri dischi, collaborazioni?
Il nostro obiettivo è quello di andare avanti con la composizione di nuovi lavori. Come tutti i gruppi del panorama attuale ci auguriamo di prendere parte a più concerti possibili, in particolar modo sarebbe cosa eccezionale suonare fuori dall’Italia: non per “Esterofilia”, ma purtroppo, musicalmente parlando, l’Italia è diventato un Paese in cui viene davvero difficile proporre e promuovere progetti nuovi.
 
7. Cosa si deve aspettare una persona che viene a un vostro concerto?
Durante un nostro spettacolo vengono proposti brani del nostro repertorio tratti dai vari album che abbiamo realizzato. In più ci piace affiancare la musica con l’aspetto visivo, per cui i nostri brani sono supportati da video, realizzati da noi, pertinenti con l’argomento di ogni singolo pezzo.

8. Vi lasciamo con uno spazio "a scopo promozionale". Sfoggiate tutta la vostra fantasia dando ai lettori di GTBT due buoni motivi per ascoltare Madame Zelle
“Madame Zelle” è sicuramente un album più omogeneo rispetto ai nostri precendenti: l’argomento probabilmente ha influenzato testi e musica tanto da assumere aspetti delicati, a tratti anche tragici. Anche ad un primo ascolto non risulta difficile e permette di focalizzare il percorso storico-cronologico della vicenda raccontata in musica in maniera molto chiara ed evidente: consigliato a tutti gli amanti della cosiddetta musica ragionata.

Ha risposto per i CONQUEROR
Simona Rigano (tastierista e vocalist)
www.conqueror.it

giovedì 20 gennaio 2011

Mr. Milk - Mr. Milk (Casa Molloy/EMI Publishing, 2010)


TRACKLIST:
1. Calls and Letters

2. Deepfar
3. Drawing A Kiss
4. Forced
5. Surprises
6. Little March For A Whore
7. Goodbye Prisoner!
8. Won

9. Cripple
10. Monster
11. Cardinal Legs
12. Stupid Guy

Due cose sono certe di questo disco: la prima è che il brano migliore è, per forza, “Cardinal Legs”, colorato da un pianoforte che non ha paragoni. La seconda che ascoltandolo la prima volta ti da l’idea di essere un disco da sentire altre dieci volte prima di capirlo, ma che ti lascia con l’amaro in bocca quando ti rendi conto che non c’è proprio niente di più da scoprire di quello di cui ti accorgi al primo incontro con lui.

Sia chiaro: l’album non è per niente brutto, e questo cantautore di Eboli ha comunque concepito un disco che lancia impulsi chiari e forti, con una grande verve comunicativa che ti dimostra dove voleva arrivare quasi subito e cioè a raccontare con dodici (e sono troppi) brani un romanticismo che è solo suo, che nonostante porti sulla schiena il peso notevole di non portare niente di nuovo ad una scena cantautorale ormai persa nel vuoto dell’eccesso di nomi e di parole, riesce ad acquistare personalità man mano che scorrono le tracce. Niente di nuovo dunque, per chi ha ascoltato Nick Drake, Bon Iver o, in italia, Bob Corn. Ed è comunque la cantautorale dai toni più folk (quelli che ormai si confondono troppo con l’indie brillantinoso dell’America musicale fighetta) a farla da padrona nel gioco delle influenze e delle ispirazioni, anche se è evidente una ricerca di una caratterizzazione nuova che esuli da paragoni immediati e confronti che non portano da nessuna parte (come quelli che stiamo facendo).
C’è della poesia, degli accordi che annientano ogni sentore di luce e di spensieratezza per portare ombre in un mondo di sentimentalismo al contrario, dove sono comunque candore e tenerezza le due parole chiave: le sfumature tenui e uniformi di brani come “Surprises”, “Cripple” e “Monster” servano da lezione per capire quello di cui stiamo parlando. La musica tende ad essere sempre più soffusa, limitata a spazi privi di ampiezza, quasi piatti, quasi si dissolve nel niente, con queste schitarrate soffocate che ci danno un senso di leggerezza che non si può descrivere altrimenti che con la parola “fragilità”. E questo ci piace, così come ci piacciono brani intimi come “Deepfar” e “Goodbye Prisoner”, manifestazioni ultime di un’interiorità che riesce a raccogliersi dentro pochi concetti chiave per non disperdersi nella vaghezza di una musica semplice e che può risultare banale, ma solo per rendersi più chiara ad un eventuale interessamento dell’ascoltatore. Sapete, c’è ancora chi vuole approfondire il comparto letterario di un lavoro musicale.
A nulla vale la critica di chi gli muove contro dicendo che il cantautorato ha rotto le palle e questo assomiglia troppo a tutti quelli venuti prima, perché negli anni zero da cui siamo appena usciti nessuno ha saputo coniare sensibilità folk e quotidianità più spietata (contro o a favore di un amore che sembra averlo fatto soffrire abbastanza) come questo salernitano, che utilizzando le poche sperimentazioni che una chitarra acustica ancora permette ha saputo creare una piccola perla di musica italiana come ce n’era proprio bisogno.
Giù le mani dalla nostra musica.

Voto: 7.5

mercoledì 19 gennaio 2011

GTBT incontra la scena italiana #14: Aedi

L'ennesima sfida di GTBT, cioè quella di intervistare una delle tante band che ha fatto brillare la scena musicale italiota nel 2010, regalandoci anche un bel disco di cui abbiamo molto volentieri parlato recentemente.
Queste sono le risposte ad una nostra piccola intervista che abbiamo il piacere immenso di condividere con voi
1. Salve ragazzi. A GTBT abbiamo avuto l'immenso piacere di ascoltare ed apprezzare il vostro ultimo lavoro, che secondo noi racchiude dentro se una specie di intimistica vena cantautorale che lo rende appetibile sia ai fan di generi molto eleganti e sensuali come il dream-pop e il trip-hop, che a chi vuole ascoltare un po' di sano rock italiano dalle venature più melodiche, come quello degli ...A Toys Orchestra. Che ne pensate di queste considerazioni? Chi sono in realtà gli artisti che più ritenete influenti sul vostro lavoro e sul panorama italiano?

Perbacco.
Il modo di prendersi poco sul serio ma seriamente parlando di Tricarico, Battiato, Camillas.
I mondi creati da De Gregori.
I giocattoli dei Mum, l' immenso dei Sigur Ros, i silenzi di Cage ed i passaggi di Schubert.
Le claps dei Talking Heads ed Arcade Fire, la cornamusa dei Neutral Milk Hotel.
Le scarpe sporche dei Ramones.
L' esempio degli A Toys Orchestra.
D' altro canto siamo cresciuti in auto italiane con stereo italiani ove pop e rock melodico dominavano fin da piccini.

2.Parlate della vostra zona e di come può una band in quella regione farsi un nome partendo   dal basso.
Le Marche. Ci sono colline ovunque e pure montagne. A noi non piace il mare.
Ci sono locali sulle colline. Piccoli ma accoglienti e genuini.
Le Marche ha cinque province ed ad ognuna di essa è collegata una scena, un piccolo collettivo musicale (Mukkake, Marinaio Gaio, Valvolare Records, Bloody Sound etc..) con una miriade di gruppi bravi bravi (Chewingum, Camillas, Dadamatto, Lebowsky, Tetuan, Altro, Montezuma, Lettera22, etc..).
Suonare ovunque. Ascoltare ovunque.
Nelle Marche come nel Friuli Venezia Giulia.

3. Quando vi siete formati avevate un progetto o è stato per caso, o per divertimento? Se avevate un progetto, siete già riusciti a realizzarlo o è tutto ancora work in progress? Si sa, le persone cambiano, e gli artisti sono persone....
Siamo cresciuti insieme.
Arrivati ad A si vuole arrivare a B eppoi a F etc....
tutto è sempre un’ancora work in progress. :D

4. C 'è da dire la verità, band del vostro tipo non hanno la strada facile in un paese come l'Italia. Come vedete questa cosa? Perché avete scelto di fare questo genere, e come mai pensate che non sia facile emergere con questo tipo di sound?
Potremmo fare metal o ska o Alessandra Amoroso. Ma la verità è che ci viene da fare questo.
Abbiamo una visione ottimistica. Ci piace creare paesaggi. La vera sfida è rendere accessibile ciò che proponiamo in una realtà come l' Italia poco, molto poco aperta.
Ma d' altro canto siamo ancora agli esordi e cambiare veste continuamente è una cosa che ci stimola.
Eppoi l'Italia è solo uno stivale.
Magari regaleremo cd anche dai calzini in su!

5. Ho beccato per caso un vostro video su MTV: Brand New. Raccontateci come è nato, se ha un significato e di cosa parla, magari, anche la canzone in questione
La nostra musica la viviamo nella maggior parte dei casi come una musica di immagini e non di contenuti. Insomma non vogliamo fruire  nessun contenuto, ma far si che i suoni diventino immagine.
I video sono immagini e noi li amiamo.
Il videoclip in questione “She is happy” nasce da un' immagine di Davide Marchi realizzato in collaborazione con i signori Marco Modafferi e Francesco Tortorella, tutti giovani registi e grafici nostri amici. Un lavoro “low budget” in cui gli uni si è puntato sugli altri. E ne siamo felici.
“She is happy”
“Stasera vedrai la neve
lungo ponti ed abeti che girano.
Togli le ali, indossa le scarpe più belle.
Non cercare alcuna compagnia,
alza le mani al Cielo.
Lei è felice e ti solleva con le sue gocce d' oro.”

6. Io nel disco ho trovato una serie di termini che semanticamente si possono ricondurre al mondo delle favole, delle fiabe o comunque dei bambini. C' è Heidi, "nanny goat", "Peter and Clara", "Easy Easy Tale". Mi rendo conto solo ora che il vostro nome può avere qualcosa a che fare con Heidi, a livello di pronuncia, ma lascio a voi l'onore di spiegare tutto ciò
Il mondo di un bambino è genuino. Come il latte. E fa bene.
Un doppio significato lega questi due termini.
AEDI (antichi cantori greci che animavano la corte con canti e balli) ha un significato accademico e rispecchia il nostro lato più sinfonico.
HEIDI riflette una parte di noi più giocosa, bizzarra, fanciulla.
Ci permette di prenderci in giro.
Il secondo significato è un gioco di parole. Un'assonanza.

7. Vi ringraziamo per aver partecipato a questa intervista. Se vi va, vi lasciamo questo ultimo   spazio per dedicare un invito ai lettori, un qualcosa che li convinca ad ascoltarvi e a prendere in considerazione, ad esempio, l'idea di comprare un vostro disco o venire a vedere un vostro concerto (potete anche prendere l'occasione per linkare dove comprare il disco, o dove   suonate prossimamente, tutto è lecito). Sbizzarritevi, e grazie ancora.
Amiamo le caprette.
Grazie GTBT.
Ve vulimo vè.
Buon anno.

Le prossime date degli AEDI: 03.01 SAN BENEDETTO DEL TRONTO (AP)
06.01 RECANATI (MC)
08.01 BOLOGNA
13.01 CASERTA
14.01 PONTECORVO (FR)
16.01 FERRARA
11.02 ROMA
12.02 NAPOLI
16.02 UDINE
19.02 CORREGGIO (RE)
25.02 VALDAGNO (VI)
26.02 VICENZA
18.03 ROMA
19.03 CASSINO (FR)
20.03 PESCARA
22.04 PISA
23.04 FIRENZE

martedì 18 gennaio 2011

The Crayonettes - Playing Out: Songs For Children And Robots (Caw Records/One Little Indian Records, 2010)



TRACKLIST:
1. Robots In The Rain

2. Disco Teeth
3. Rainy Day
4. Hopscotch
5. Emergency
6. Sweet On The Floor
7. Let’s Dance On Moon
8. Spooky Way Home
9. How Hot Is A Toad?
10. Pirates On The Bus

11. Illegal

RECENSIONE:
E ti trovavi così di fronte ad un disco per bambini. Effettivamente nel 2011, dopo che ogni genere è stato sviscerato in lungo e in largo e le “novità” vere e proprie si riducono ai vari revival dei decenni passati, si cerca sempre più di virare verso strade particolari come questa. E Kathryn Williams, artista folk britannica che ricorderete per il discreto disco di debutto “Little Black Numbers”, deve aver trovato l’ispirazione in qualche fatto personale, ad esempio la maternità (l’indie gossip su web parla di un disco scritto per intrattenere il bambino), più che in fatti meramente commerciali/economici. Lo si può asserire dal momento che questo prodotto non risulta particolarmente vendibile, vuoi per l’assenza di tormentoni o di ritornelli veramente orecchiabili, e anche per la struttura molto vaga di molti pezzi, che si sporca di tinte di ogni tipo, dal crooner, all’hip hop (soprattutto l’hip hop) e, in alcuni momenti, il punk rock, tessendo una rete non così facile da districare e digerire per l’ascoltatore medio-basso. Il progetto The Crayonettes nasce infatti dall’unione della Williams con Anna Spencer, già nei Delicate Vomit, band che si trova agli antipodi rispetto a quanto propone stavolta. Nonostante i suoi influssi punk, i momenti in cui questo genere la fa da padrone si riducono ad un solo pezzo, che è anche uno dei più riusciti: trattasi di “Pirates On The Bus”, breve e scompigliata tirata che lascia spazio per l’unica volta a tonalità garage che sollevano per un momento il segmento ritmico del disco. A dire il vero, ascoltando questo pezzo dopo essersi sparati in vena i primi due dischi degli Yeah Yeah Yeahs, la differenza si noterà poco, se non per il sound più elaborato di Karen O e soci.
Per quel che riguarda il resto dei pezzi, la cosa più importante da notare è la scelta di testi ironici ma sempre concepiti per il mondo dell’infanzia: si parla di lavarsi i denti, di pirati sul bus, di robot nella pioggia, di ballare sulla luna, con un tipo di lessico e di cadenza melodica che ricorda proprio quello delle filastrocche e dei motti per bambini più celebri. Se esaminiamo invece l’aspetto più prettamente musicale, ad influenzare questi brani ci pensa soprattutto il folk americano, e i due episodi che più ce lo sbattono in faccia senza pietà sono “Disco Teeth” e “Sweet On The Floor”, quest’ultima soffusa e malinconica ballad che in certi momenti assomiglia molto a una delle più celebri ninne nanne.

Allora, se abbiamo un disco per bambini che sembra non avere niente di originale, perché ascoltare Playing Out: Songs For Children and Robots? Molto semplice. La Williams e la Spencer sono riuscite nel nobile intento di riportare al fruibile la musica per bambini, nel senso che hanno trovato, con questo lavoro, una miscela esplosiva di hop minimale, folk e riff di chitarra semplicistici ma d’effetto, che si adatta facilmente ai gusti di chiunque, utilizzando per altro un tipo di testi che pur senza un valore letterario vero e proprio si possono contestualizzare dentro ad un mondo completamente diverso, dove li puoi valutare per il pubblico a cui sono rivolti, e questo aspetto gioca a loro favore.
Non sarà la rivelazione dell’anno, ma è senz’altro un album godibile e, quantomeno, inaspettato.

Voto: 7+

lunedì 17 gennaio 2011

GTBT incontra la scena italiana #13: Marlowe

GTBT intervista una delle band di punta del panorama alternativo siciliano degli ultimi anni. Scusate se è poco, in una regione che è visibilmente in crescita dal punto di vista musicale. Per voi i Marlowe.

1. Ciao a tutti, prima di tutto grazie per la disponibilità a questa intervista. Partiamo con una domanda biografica, giusto per rompere il ghiaccio. Come e perché nasce il progetto Marlowe?
I Marlowe nascono nel 1998 per dare voce a un’incubata voglia di comunicare le proprie sensazioni e i propri gusti al fine di raggiungere la pace interiore e vivere in maniera sana la musica.
2. Il vostro genere è abbastanza gettonato ultimamente e noi pensiamo che questo sia merito di tutte le band ormai storiche del panorama italiano che hanno contribuito a definire la definizione, un po' abusata in realtà, di "alternative". Per voi cosa significa questa etichetta? Vi ci riconoscete? Inoltre chi pensate siano stati gli artisti che più vi hanno influenzati musicalmente e/o spronati a fare quello che state facendo?
Questo appellativo di “realtà alternative” non crediamo ci appartenga. Noi siamo cresciuti e maturati nutrendoci di tanta musica, fra i nostri ascolti ci sono Neil Young, Leonard Cohen, Debussy, Skip James, Sonic Youth, Nick Drake,  e pensiamo che a livello di melodia e scrittura di appartenere ad una scena cantautorale italiana che vede i suoi numi in Luigi Tenco, Fabrizio De Andrè, Piero Ciampi, Modugno… Per quanto concerne le persone che ci sono state accanto nella nostra carriera musicale non finiremo mai di esprimere gratitudine per Cesare Basile, Marcello Caudullo e ogni persona che si è trovata nei momenti della nostra crescita artistica regalandoci la propria professionalità ed esperienza.
3. In Fiumedinisi ben due canzoni hanno nel titolo nomi di donna, Veronica e Christina. Che ruolo hanno nella stesura dei brani queste figure?
In questo nuovo disco la figura della donna ha un certo peso emotivo, la viviamo nella figura di madre, di amica ,di amante, di compagna di viaggio. Veronica viene direttamente da un racconto di Paulo Coelho “Veronika decide di morire”, analizza la prima parte del tentato suicidio della protagonista… Christina invece parla di un fatto di cronaca, una prostituta che ha incontrato la morte in una delle tante notti di rischioso “lavoro”, quest’ultimo pezzo è un inno alla gioia, un certo seppellire il dolore della disgrazia facendolo rinascere in forma di riscatto.
4. In una canzone dei Marlowe quanto peso hanno rispettivamente musica e testo? Non tutte le band concordano sulla giusta percentuale di importanza da attribuire a queste due componenti fondamentali. Inoltre pensate che la musica italiana, negli ultimi tempi, sia ben messa a livello "letterario" o che ci sia una falla incolmabile che si è interrotta da qualche parte nel passato e che si stia virando verso una certa banalità in questo senso, come se le parole fossero solo un ulteriore componente melodica delle canzoni?
La nostra composizione è sempre stata molto scrupolosa, ci teniamo ad adagiare le parole su un velluto. Si mira a trovare una situazione di equilibrio tra musica e testo e senti quando la  canzone  può funzionare, otteniamo l’opera  finale avendo assoluto rispetto sia per i suoni che per le parole. Per il livello letterario preferiamo non scagliare nessun giudizio nei confronti di nessuno, notiamo solo una sorta di confusione e un certo “metricamente” sforzarsi nella scrittura puntando sull’intellettualismo e mangiando sugli accomunanti e così tanto blaterati “anni zero”.
5. Com'è la scena nella vostra zona? Ho sentito parlare ben poco di band di Caltanissetta, però so che la Sicilia sta crescendo musicalmente, essendo una delle regioni più prolifiche insieme alla Toscana per quanto riguarda il rock italiano degli ultimi anni
Effettivamente, dopo la “ leggenda” della Catania-Seattle d’Italia, al periodo buio di un po’ di anni fa, si sta assaporando un certo riscatto con la nascita di realtà, fra tutti l’Ypsigrock (un festival che ha luogo in un incantevole paesino della  provincia di Palermo, Castelbuono), che continuano a dare all’isola vigore e un’instancabile voglia di reazione all’indolenza e alle indegne scelte “anticulturali”  di chi ci governa. Qualcosa si sta muovendo, grazie a chi ci ha sempre creduto e continua imperterrito affinché la musica in Sicilia rimanga viva e mostri il proprio fuoco.
6. Se doveste fare un'analisi, invece, della scena italiana, cosa direste? Come vi ci trovate? Se avete avuto esperienze rilevanti di concerti o tour nel passato, raccontateci pure qualche aneddoto! C'è molta critica ultimamente nei confronti del trattamento dei gruppi, dei locali, delle booking agencies ecc...
La scena italiana si nutre maggiormente dei pochi posti che fino adesso hanno avuto un buon seguito e una pregevole continuità e serietà, specie nelle zone del centro-nord. La maggior parte dei locali del resto dello stivale è nelle mani di agenzie che mandano avanti un discorso “pubblicitario” di certe etichette. Per quel che ci riguarda possiamo dire che a colpi di spalla siamo riusciti a trovare il rispetto e un’entusiasmante ospitalità da parte dei live club che hanno voluto un nostro concerto, noi abbiamo ricambiato con spirito e forza….speriamo che certe “politiche” vengano soppiantate  per dare spazio al merito, alla professionalità e la credibilità di qualsivoglia progetto artistico. Un aneddoto? Ci viene in mente un Tributo che abbiamo fatto ai Nirvana un po’ di anni fa, al sound check avevamo una determinazione e un “impatto sonoro” invidiabile, messi in scaletta come gruppo di punta suonammo alle due e mezza di notte con un po’ di birre al seguito consumate durante la serata, il vago ricordo di quel live è di gente che saliva sul palco in delirio e noi che abbiamo letteralmente stravolto tutti i pezzi suonando ognuno la propria canzone preferita della band di Seattle…anche questo è Rock’n’Roll !
7. E' stato un piacere chiacchierare con voi. Un'ultima cosa: qual è la vostra idea di band emergente? Cosa deve fare un artista per diventare famoso? Seguire la vostra strada?
Se sei stato sincero con te stesso, se hai mantenuto una certa linea, sei stato sempre curioso e hai fatto diverse ricerche su te stesso e sulla musica allora puoi da quel momento morire in pace.
Grazie ancora e un saluto ai Marlowe dallo staff di GTBT
Un saluto a voi

domenica 16 gennaio 2011

Salim Ghazi Saeedi - Iconophobic (Salim Ghazi Saeedi, 2010)



RECENSIONE A CURA DI A.B.

Opera d’esordio per il compositore iraniano Salim Ghazi Saeedi.

Prima di ascoltarlo ero pregiudizievole, pensavo alla solita incasinatissima musica mediorientale.
Però, dopo pochi istanti dall’inizio, una risata demoniaca mi fa quasi fare capolino dalla seggiola;
incalzare d’archi, accompagnati da un pianoforte semplice quanto efficace; entro subito nella sua
dimensione.
I primi tre brani scorrono via velocemente con maestosi arrangiamenti orchestrali sempre guidati da
un ensemble d’archi morbido e dinamico che resterà sempre costante fino alla fine.
E proprio quando credevo già di aver capito l’impronta stilistica, una chitarra orientalfunky cancella
di nuovo le mie conclusioni troppo affrettate. Dalla quarta traccia infatti, tutto si sconvolge.
Arrangiamenti ritmici d’n’b, chitarre psichedeliche e chi più ne ha più ne metta.

Gli ultimi quattro brani ritornano dolcemente all’origine con dolci e melanconici inserti di
pianoforte sulla solita coinvolgente orchestrazione.

Un buon disco, arrangiato magistralmente, forse anche troppo; spesso infatti i contenuti globali
effettivi si perdono. Minimalista e psichedelico con influenze classiche. Pecca solamente di un
insufficiente originalità; infatti se l’avessi ascoltato senza sapere l’autore, probabilmente avrei detto:
carino il nuovo disco di Clint Mansell!

Voto: 6/7

sabato 15 gennaio 2011

GTBT presenta: i live di Gennaio - parte 2

16.01 THE MODERN AGE SLAVERY @ Punky Reggae Club, San Zenone degli Ezzelini (TV)
16.01 COMANECI @ L'ora Di Italiano on Radio Ciroma, Cosenza
18.01 VERDENA @ FNAC, Milano
18.01 FRANCESCO CERCHIARO AVEC LA BELLE EPOQUE  @ Fahrenheit 451, Padova
19.01 VERDENA @ FNAC, Genova
20.01 DAMO SUZUKI'S NETWORK (ft. MANUEL AGNELLI, ENRICO GABRIELLI, XABIER IRIONDO e CRISTIANO CALCAGNILE) @ Circolo degli Artisti, Roma
21.01 MINISTRI @ Land Of Live, Legnano (MI)
21.01 LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA @ New Age, Roncade (TV)
21.01 VERDENA @ FNAC, Torino
21.01 DAMO SUZUKI'S NETWORK (ft. MANUEL AGNELLI, ENRICO GABRIELLI, XABIER IRIONDO e CRISTIANO CALCAGNILE) @ Covo, Bologna
21.01 NON VOGLIO CHE CLARA @ Unwound, Padova
21.01 ALAN MCGEE @ Plastic London Loves, Milano
21.01 PERTURBAZIONE @ Spazio 211, Torino
22.01 FARMER SEA @ Caffè Basaglia, Torino
22.01 UFOMAMMUT @ United Club, Torino
22.01 BOB CORN e COMANECI @ Centro Stabile di Cultura, San Vito di Leguzzano (VI)
22.01 PERTURBAZIONE @ Twiggy, Varese
22.01 ALAN MCGEE @ Covo, Bologna
22.01 KAMAFEI @ Estragon, Bologna
22.01 RUMATERA @ New Age, Roncade (TV)
22.01 MINISTRI @ Officina della Musica, Lecco
22.01 MY AWESOME MIXTAPE @ Edera, Codroipo (UD)
22.01 LINEA 77 @ Tempo Rock, Gualtieri (RE)
22.01 LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA @ Bronson, Madonna Dell'Albero (RA)
26.01 VERDENA @ Circolo degli Artisti, Roma
26.01 GODSPEED YOU BLACK EMPEROR! @ Estragon, Bologna
27.01 VERDENA @ Circolo degli Artisti, Roma
27.01 LINEA 77 @ Magnolia, Segrate (MI)
27.01 LOMBROSO @ Fuzz Club, Pesaro
28.01 MINISTRI @ Koko Club, Castelletto Cervo (BI)
28.01 NILE, MELECHES, DEW-SCENTED e ZONARIA @ New Age, Roncade (TV)
28.01 VERDENA @ Palaelettra 2, Pescara
28.01 INDOVENA @ Fahrenheit 451, Padova
28.01 LINEA 77 @ Vidia Club, Cesena (FC)
28.01 ONE DIMENSIONAL MAN @ Poseidon, Poggiomarino (NA)
28.01 ILIKETRAINS @ Bronson, Madonna Dell'Albero (RA)
28.01 IL PAN DEL DIAVOLO @ Covo, Bologna
29.01 IORI'S EYES @ Spazio 211, Torino
29.01 THE FIRE @ Blue Sugar, Polesella (RO)
29.01 RADIO ZASTAVA @ Estragon, Bologna
29.01 LINEA 77 @ Extra, Macerata
29.01 MINISTRI @ Vinile 45, Brescia
29.01 PERTURBAZIONE @ Ju Bamboo, Savona
29.01 VERDENA @ Rivolta, Venezia (Marghera)
29.01 IL PAN DEL DIAVOLO @ Edera, Codroipo (UD)

venerdì 14 gennaio 2011

ILiKETRAiNS - He Who Saw The Deep (ILR Records, 2010)





TRACKLIST:
1. When We Were Kings
2. A Father's Son
3. We Saw The Deep
4. Hope Is Not Enough
5. Progress Is A Snake
6. These Feet of Clay
7. Sirens
8. Sea Of Regrets
9. Broken Bones
10. A Divorce Before Marriage
11. Doves


ILiKETRAiNS. Una formazione britannica. L'ennesima formazione britannica. Noi degli inglesi ci ricordiamo sempre il sound tipicamente brit che dai Beatles in poi è rimasto in quasi tutte le band "commerciali", con poche eccezioni (Muse, Coldplay, Placebo, e i grandi nomi come Queen, Pink Floyd ecc.). Negli ultimi anni il proliferare di band indie rock non ha fatto altro che confermare questo trend, seguendo una tendenza di imitazione e revival della new wave anni '80 che ha favorito una polarizzazione del sound nei seguaci dei Joy Division e in chi invece se ne sbatte. Gli ILiKETRAiNS, bene o male, se ne sbattono, e propongono il loro post-rock in salsa alternativa, più melodico, più easy-listening, cantato, con degli accenni di indie nel sound (molto somigliante a quello dei Mewithoutyou dei primi dischi), segno distintivo della loro provenienza geografica (Leeds). 
Il disco è sicuramente un lavoro di pregevole fattura, che scatena immediatamente un flusso di ricordi in chi, lasciandosi trasportare da generi come questo, ama utilizzare la musica come metodo e strategia di riflessione. Almeno la musica strumentale, spesso, ha questa connotazione. Il problema è che finite le brevi parti di arpeggi di chitarra o languide distorsioni iniziali, la voce riporta tutto su un universo più commerciale, con il timbro vocale quasi a ricordarci le band post-grunge dell'olimpo statunitense di Billboard (o comunque un Tom Smith annacquato). Questo, infatti, rappresenta il principale motivo di rinsecchimento del disco, che nonostante una vena (quasi)emotiva molto coinvolgente, si perde nella banalità di alcune linee di voce e di chitarra.
Analizzando invece gli aspetti positivi, c'è molto di cui parlare: il sound scelto permette, come già accennavamo, di utilizzare questa musica in senso abbastanza riflessivo. A suscitare momenti di distensione e relax ci pensano le canzoni più calme, dove flebili arpeggi di chitarra e ritmiche sempre precise supportate da un ottimo combo di basso e batteria, mentre l'aggressività di alcuni impasti più indie rock ricordano subito da vicino i Coldplay di X&Y, e il primo disco degli Editors. E questo è un bene, perché riescono a fare proprio un linguaggio che molte band hanno utilizzato fino all'abuso, senza scadere TROPPO nel banale, cosa che comunque fanno. Un'altra sfaccettatura positiva di questo He Who Saw The Deep è l'assenza di brani filler. Non ci sono pertanto pezzi riempitivo e ogni canzone svolge una funzione catalizzante e corroborante rispetto al resto del disco, che può essere digerito (e pertanto disassemblato e poi ricostituito) ed apprezzato solo dopo qualche ascolto completo, che non sia, però, un ascolto distratto. Perché solo così si può percepire l'ottimo songwriting che il quartetto inglese è riuscito a tirare fuori dal calderone, con brani come "When We Were Kings" e ""A Father's Son" a fare da capofila. Funziona molto meno "Progress Is A Snake", un brano in cui ricorrono troppo spesso i cliché tematici del post-rock più classico, quello che dopo gli Slint è stato rappresentato principalmente dai Mogwai, ai quali non sono minimamente paragonabili (e proprio per questo abbiamo citato solo band che non fanno propriamente questo genere). 



Tecnicamente la band non è per niente male e riesce ad infilare una buona dose di interessanti passaggi ritmici e melodici con farciture vagamente sperimentali, che comunque concludono la loro esperienza positiva sbattendo contro un solido muro di banalità radio-friendly, che poco giova a brani come "Hope Is Not Enough". La verità è che questo disco può piacere a chiunque abbia ascoltato il rock inglese e scozzese degli ultimi anni, in tutte le reincarnazioni che ha avuto, e se questo è un pregio, dall'altro arriva la mazzata della spersonalizzazione totale della band, che svolge un ruolo quasi nullo in un panorama che forse ha ancora tempo per reinventarsi ed uscire dall'anonimato in cui sta piombando grazie al trittico 2008, 2009 e 2010 che l'hanno troppo snobbato.
Buono sforzo, ma si poteva fare di meglio.


Voto: 6.5