domenica 30 agosto 2009

Dinosaur Jr. - Farm (Jagjaguwar, 2009)

Ci sono gruppi che trovano nel loro stile una formula vincente e la ripetono all’infinito, risultando noiosi e pacchiani (qualcuno ha detto AC/DC?). Ci sono altri gruppi che trovano nel loro stile una formula vincente e la ripetono all’infinito, risultando sempre freschi. E così arriviamo a loro.

I Dinosaur Jr. sono gli alfieri di un alternative rock dalle influenze punk ed hard rock che ha spiazzato tutti fin dagli inizi, quando ancora nessuno li conosceva, con riff pesanti ed ultradistorti, voce brilla uscita da un festino di studenti sbronzi e qualche ballad dal gusto provinciale. Sempre con la fantasia di chi ha voglia di non lasciar niente al caso.

Questo Farm è semplicemente il ritratto dei Dinosaur Jr. Ancora una volta. La prima traccia, Pieces, è un vero regalo ai fan. Sono i Dinosaur più classici che picchiano sempre con gli stessi suoni e la stessa struttura, con un riff che non penso si dimenticherà tanto facilmente. E se si può dire uguale per I Want To Know e Friends, su Ocean In The Way sentiamo quanto hanno influenzato i primi Weezer (la stessa cosa vale per Over It) e decine di altri gruppi degli anni ‘90. E se c’è chi sente qualcosa di Cobain in Your Weather, la senta un altro paio di volte per capire che questi non compongono come i Nirvana, ma pensano bene di riempire tutti e 3 i minuti di giri non troppo catchy ma comunque coinvolgenti. I feedback delle canzoni più lente, See You e la conclusiva Imagination Blind, condiscono di melodia uno dei loro album più carichi, nonostante l’età e il tempo che passa. I tre pezzi più lunghi, Plans, Said The People e I Don’t Wanna Go There soffrono invece di una durata eccessiva, laddove i Dinosaur risultano essere la tipica band che con riff graffianti e ritornelli easy-listening (al punto giusto, niente di troppo radio-friendly) non possono eccedere sopra i cinque minuti.

Un album quindi veramente consigliato a tutti quelli che conoscono questa band e che l’hanno apprezzata, forse troppo uguale agli altri. Ma a volte è meglio ripetersi con stile che trovare una nuova via in cui sputtanarsi un’intera carriera. Metallica docet.

Voto: 7

sabato 29 agosto 2009

Love in Elevator e Thank You For The Drum Machine Live @ Savoir Fest, Borsea 28 Agosto 2009

Violenza, rumore e distorsioni. Le tre parole per definire i Love in Elevator, il trio che apre agli headliner aretini Thank You For The Drum Machine. A metà tra il post-punk (che essi stessi utilizzano come definizione) e un pastone di grunge e stoner che sa di anni '90, offrono un set breve ma lungo abbastanza da frastornare i pochi spettatori del festival di Rovigo. Un po' fuori luogo gli urli della cantante Anna, in ogni caso abile nell'essersi ritagliata uno stile personale che ben si fonde con il genere della band. Pollice alzato per la potenza di batteria e basso, insieme davvero devastanti in alcuni passaggi. Consigliati.

Giunta l'ora dei Thank You For The Drum Machine, che qui quasi nessuno conosce, c'è giusto il tempo di stupirsi per il numero di synth e diavolerie varie sul palco. La band di Arezzo spara a zero con un saggio miscuglio di dance, brit-pop, alternative ed elettronica; qualche nome Daft Punk, Depeche Mode e Franz Ferdinand, per dare qualche coordinata. Un set notevole anche per la tecnica dei vari componenti del gruppo che si alternano agli strumenti dimostrandosi particolarmente esperti appunto nella manipolazione di sintetizzatori ed effettistica varia. Migliori sul palco voce principale/chitarrista e batterista, che comunque hanno ricoperto vari ruoli durante lo show. Pure loro, consigliati.

Bella serata quindi al Savoir Fest con due band dell'underground italiano a cui spero in futuro vengano concessi più spazi per far sentire come si picchia (i primi) e come si fa ballare (i secondi).

giovedì 27 agosto 2009

Arctic Monkeys - Humbug (Domino, 2009)


Ecco uno dei gruppi rock inglesi più giovani e più popolari degli ultimi tempi giungere al terzo disco. Cosa poteva succedere. Un tracollo (come succede a quasi tutti questi falsi “gruppi che faranno la storia” che il panorama UK, complici anche i media come NME, sforna a decine all'anno) oppure la conferma del successo. La verità è che questo disco spiazza un po' per i toni. Più cupo dei primi due lavori, più calmo ma meno commerciale, volendo. Josh Homme alla produzione ci ha messo il suo tocco ed è inevitabile sentirlo.

Lo sentiamo già nella traccia di apertura, My Propeller, probabile futuro singolo, genuino brano di 3 minuti (durata di otto pezzi su 10) che si fa ascoltare senza risultare comunque niente di innovativo. Particolarmente interessante il primo estratto Crying Lightning, tra le altre cose il pezzo più bello del disco, con un ottimo ritornello ed un bridge che ricorda certe tonalità oscure degli anni '80 (forse dire Joy Division è dire troppo? Ma anche no.). Le più melodiche Secret Door e Fire and the Thud suonano quasi sdolcinate, grazie alla voce “melodrammatica” di Turner che conferisce un certo sapore amaro al tutto (fatevi un'idea anche tramite la pop ballad Cornerstone, davvero riuscita). Le influenze punk dei primordi ritornano evidenti in Pretty Visitors, un gran pezzo, forse anche il più originale dell'album.

Tante canzoni ricordano gli episodi meno ballabili dei dischi precedenti, soprattutto Potion Approaching e Dangerous Animals (con un riff in stile “If You Were There, Beware” o “Teddy Picker”), ma non sono per questo da sottovalutare (anche se contengono i tipici “catchy tunes” che prendono subito ma sanno stancare altrettanto presto).

Ottima la produzione, come già accennato, con suoni azzeccati, non troppo ricamati come i britannici li vogliono, ma con una patinatura retrò che gli conferisce un tono quasi dark. Tecnicamente niente da dire, i giovani se la cavano.

L'unico difetto è probabilmente l'assenza di novità, che anche se si può trovare tenendo conto dei cambiamenti fatti inquadra comunque la band in un panorama più standard di quello con cui erano partiti, inizialmente differenti dalla bolgia alla quale ora sembrano amalgamarsi. E' comunque un gran lavoro, che non sconvolgerà ne contribuirà positivamente alla scena inglese/europea, lasciando comunque il segno per l'orecchiabilità e la sempre buona vena compositiva di queste scimmie.

Continuate così, e non spegnete i delay.

Voto: 7.5