lunedì 25 dicembre 2017

Edoardo Pasteur - Dangerous Man (autoproduzione, 2017)

"Dangerous Man", uomo pericoloso. Autore genovese, testi in inglese, ispirazioni americane. Un esordio ambiziosissimo, una sorta di Icaro del songwriting, a partire dall'interpretazione scolastica della lingua anglosassone tipica di noi italofoni che fin da subito distoglie l'attenzione dal prodotto. Dado, questo uno degli alias di Edoardo Pasteur, prova a togliersi dal cilindro il suo capolavoro personale, centrifugando tutta la sua cultura musicale in un concentrato di rock, folk, musica d'autore inglese e americana. Ci sentiamo Bob Dylan, i Dire Straits, Leonard Cohen, i lavori solisti di Robert Plant, ma anche effervescenze latinoamericane, cenni lontani di blues à la John Lee Hooker. Alcuni riferimenti sono al limite del plagio, come "Hey Hey You (The Warriors") con il cantautore di Duluth, in ogni caso un pezzo che suona spontaneo e tra i momenti più alti, complice forse anche la contaminazione cinematografica che spunta celebrando Walter Hill e il suo "Guerrieri della Notte", nella versione inglese intitolato appunto "The Warriors""Brothers (Paris 13th November 2015) è quasi un elegia funebre, seppur con un arrangiamento che la nobilita elevandola a ballad di classe, dedicata ai morti del Bataclan in quello che sembra essere l'attentato terroristico che più ha sconvolto il mondo musicale, che ne sta dando fin troppe interpretazioni, riletture, commemorazioni. Il brano è in realtà molto riuscito, e la critica non è assolutamente rivolta al buon Dado, qui sicuramente commosso, genuinamente s'intende, e in grado di dare profondità al significato del testo anche senza svolazzi vocali e iperboli tecniche. Molti sono i pezzi che suonano standard, già sentiti o comunque fuori fuoco, ma quando si predispone sulla scacchiera il proprio set di mosse più studiate si riescono a scorgere gli effetti delle tante influenze: le cornamuse scozzesi di "Princess Gaze" e il riff di "Big Fish" (altro riferimento al grande schermo, stavolta in omaggio a Tim Burton) che suona come i Santana di "Abraxas" o di "Caravanserai", anche se lo scheletro del brano richiedeva forse un maggior sostegno ritmico.

Di fatto, il difetto principale di questo lavoro è la sua eterogeneità. Superato l'impatto, quasi brutale, con un inglese tanto imperfetto quanto antimusicale, i singoli pezzi risultano tutti gradevoli, ben congeniati, con un gran lavoro alle spalle. Manca però la coesione, e per lavori di questo tipo a volte è necessario anche ragionare su come dare corpo ad un'opera unica piuttosto che a un best of slegato. O forse no? Del resto siamo nell'epoca dello streaming online, le cose sono cambiate, boh...chi lo sa, in ogni caso un'opera che merita l'attenzione che sta ricevendo. 

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