venerdì 10 settembre 2010

Fotoreport #10: Speciale FESTA DELLA MUSICA di Chianciano Terme 3/4

La Festa della Musica di Chianciano Terme nella sua splendida edizione del 2010 ha ospitato Amor Fou, Octopus, Le Peuple de L'Herbe, Kultur Shock, Vandemars, The Cyclops e molti altri.

Monelle Chiti (link a destra) ha fotografato per noi quattro band. Scopriamole una al giorno, oggi è la volta di IL PAN DEL DIAVOLO


giovedì 9 settembre 2010

Fotoreport #10: Speciale FESTA DELLA MUSICA di Chianciano Terme 2/4

La Festa della Musica di Chianciano Terme nella sua splendida edizione del 2010 ha ospitato Amor Fou, Octopus, Le Peuple de L'Herbe, Kultur Shock, Vandemars, The Cyclops e molti altri.

Monelle Chiti (link a destra) ha fotografato per noi quattro band. Scopriamole una al giorno, oggi è la volta di WAINES

mercoledì 8 settembre 2010

Klaxons - Surfing The Void (Polydor, 2010)


Tracklist:
1. Echoes
2. The Same Space
3. Surfing The Void
4. Valley of The Calm Trees
5. Venusia
6. Extra Astronomical
7. Twin Flames
8. Flashover
9. Future Memories
10. Cypherspeed

Uno che sente nominare i Klaxons nel 2010 cosa dovrebbe dire? Sopravvissuti all'ondata indie che non si è ancora arrestata e che genera tanto hype da essere spesso sinonimo di pateticità ad alto rischio? No, semplicemente, in quel marasma globulare di band, one-man acts e quant'altro che la Gran Bretagna (e la cultura britannica) buttano fuori giorno dopo giorno, sono tra quelli che hanno prodotto un disco di debutto sopra la linea del mediocre, e quindi sono destinati a rimanere. Se lo vogliono, e se lo vogliono i loro (non tantissimi, credo) fans. "Myths of the Near Future" era la sintesi perfetta dell'indie più hipster e dell'electro-pop commerciale ma studiato che va tanto di moda sia in Europa che negli USA, surclassando, per originalità, altri alfieri ora innominabili come i Bloc Party. "Surfing The Void" continua un percorso già tracciato con solchi piuttosto profondi ed evidenti, e lo fa in maniera sfacciata, in certi momenti ricalcandolo con foga, in altri esplorando le uniche nuove vie che lasciava aperte con interessanti sperimentazioni che meritano la descrizione più dettagliata che trovate di qui a poco.
L'apertura dell'album è affidata ad "Echoes". No, niente Pink Floyd, però alcuni accenni ai Pixies meno ruvidi, di nuovo (e in maniera più plateale) in "Venusia", uno dei brani meno adeguati ad essere utilizzati come singolo, ma forse lo diventerà, per la sua strofa altamente catchy e una struttura di per sé scarsamente originale. Un brano che attira subito l'attenzione è "Extra Astronomical", che con un titolo vagamente space rock (al di là della vicinanza semantica, sia chiaro) strizza l'occhio ad una scena post-rave che i Klaxons non rappresentano nonostante gli elementi di continuità siano evidenti. Electro-pop, rave, qualche parabolica prog che non si vada a definire troppo vicina a quel tipo di filone, altrimenti gli aficionados si incazzano. E' Jamie Reynolds il perno di tutto, con una voce piuttosto particolare e che esplora quel tipo di linea tanto cara ai fenomeni del mondo indie, in qualsivoglia modo poi lo si voglia declinare ed etichettare, uniformando canzoni in realtà non molto simili tra di loro in un unico ammasso di plastilina. Un blocco granitico di pop che funziona, eccome se funziona. Lo dimostra infatti la title-track, insieme a "Twin Flames", altro episodio pronto ad innalzare la bandiera per sventolarla a guida di stendardo pirata. Chi ha orecchie per intendere intenda, perchè è proprio questo il brano chiave, impulsivo e pulsante, aggressivo ma pacato nelle scelte dei suoni, danzabile ma senza esagerare. La scelta del sound, che conferisce intensità ad un disco che non ha avuto molta fortuna nella storia della sua produzione (e tant'è che si sono dovuti far produrre da Ross Robinson, il personaggio più inadeguato che potessero raccattare ma che ha saputo trovare la giusta dimensione, nonostante tutto), fornisce la chiave di lettura ultima per un disco sopra la media, al di là dei frequenti momenti di debolezza che derivano più che altro dalla prolissità di alcuni arrangiamenti, come in "Future Memories", un brano che funziona e rifunziona ma che non ha nulla di quel tocco caratteristico di cui Klaxons hanno voluto impreziosire tutta la loro breve discografia.

Per riassumere, il disco è ottimo, con pochi cedimenti, compatto, costruito in maniera logica, ben suonato e ben prodotto. Non mancano né le nuove idee né le interessanti ricostruzioni di alcune delle principali strutture "klaxoniane" per eccellenza, tutto questo per non lasciare a bocca asciutta né i vecchi fan né qualche eventuale nuovo arrivato. Per tutti.

Ps. La copertina spacca i culi

Voto: 7.5


martedì 7 settembre 2010

Fotoreport #10: Speciale FESTA DELLA MUSICA di Chianciano Terme 1/4

La Festa della Musica di Chianciano Terme nella sua splendida edizione del 2010 ha ospitato Amor Fou, Octopus, Le Peuple de L'Herbe, Kultur Shock, Vandemars, The Cyclops e molti altri.

Monelle Chiti (link a destra) ha fotografato per noi quattro band. Scopriamole una al giorno, oggi è la volta di BUD SPENCER BLUES EXPLOSION

lunedì 6 settembre 2010

Placebo Live @ Codroipo (Udine) 3 Settembre 2010

Setlist:
NANCY BOY

ASHTRAY HEART
BATTLE FOR THE SUN
SOULMATES NEVER DIE
KITTY LITTER
EVERY YOU EVERY ME
SPECIAL NEEDS
BREATHE UNDERWATER
THE NEVER-ENDING WHY
BRIGHT LIGHTS
MEDS
TEENAGE ANGST
ALL APOLOGIES (cover dei Nirvana)
SONG TO SAY GOODBYE
THE BITTER END
-encore-
TRIGGER HAPPY HANDS
POST-BLUE
INFRA-RED
TASTE IN MEN

Una band di Londra in un paesino che si chiama Codroipo (anzi, a Passariano di Codroipo). Ma cosa ci fa? A dire il vero Villa Manin è uno dei luoghi più famosi del Triveneto per quel che riguarda concerti ed eventi analoghi, e Azalea Promotions lo sa bene, tanto che quest'anno l'ha trasformata in teatro di numerosi dei principali concerti estivi. A confermare questo trend, e per concludere la fortunata estate live, ci pensano i Placebo.
Brian Molko e soci hanno portato un gran numero di persone (difficile contarli ad occhio, è una cosa che non ho mai saputo fare, ma direi cinquemila) nel cortile interno della villa, a godersi uno spettacolo durato circa 90 minuti ed iniziato con gli Aucan, formazione bresciana di stampo smaccatamente dance ma con forti accenti sperimentali. Dopo aver incantato la critica italiana ed internazionale, eccoli a stupire anche i fan dei Placebo, che si trovano di fronte ad un muro di suoni abbastanza easy-listening da non risultare indigesto a nessuno. Il loro breve set si conclude tra gli applausi degli astanti che ora aspettano solo il riff d'apertura di "Nancy Boy," ottimo ripescaggio dalle vecchie glorie della band britannica. La scaletta del concerto rivela solo un paio di sorprese, cioè il già citato singolo del loro primo disco e "Teenage Angst", altro gran pezzo. Manca "Bionic", in setlist in concerti di pochi giorni prima, ma la cover di "All Apologies" dei Nirvana la soppianta senza problemi, alzando i toni di un concerto già di per sé pressoché perfetto. Non mancano molti brani dell'ultimo fortunato album, eseguiti alla perfezione e dotati di una forte carica rock, soprattutto se consideriamo la potenza delle ritmiche e dei distorti di chitarra, rinforzati da due backliners. La migliore, tra le canzoni recenti, è "The Never-Ending Why". I vecchi singoli lasciano spazio poi ad un encore assolutamente coinvolgente, con "Post-Blue" e "Trigger Happy Hands" tra le meno prevedibili. 

Tecnicamente parlando siamo di fronte ad una band che sa il fatto suo. Tralasciando i membri-riempitivo, tra tastiere, violino e inserti di chitarra, abbiamo un frontman in grande spolvero, sempre intonato e abile anche alla sei corde, mentre batteria e basso non perdono un colpo. Un po' ballerino il mixaggio dei suoni che a volte affossa i colpi di rullante e la voce, ma senza mai sconfinare nell'insufficienza. In generale il sound complessivo della band è notevole, potentissimo, preciso, a suo modo grunge, in una parola "ruvido", esattamente come se lo ricorderanno quelli che li hanno conosciuto all'epoca del self-titled. Ad aumentare le buone sorti della serata ci sono sia l'atteggiamento di pubblico e band, in sinergia completa anche per quanto riguarda la conoscenza dei pezzi, e la presenza di uno schermo che proietta immagini evidentemente insensate ma che accompagnano perfettamente la musica. In sostanza, uno spettacolo a tutto tondo, che avrà sicuramente lasciato soddisfatti sia i fans di vecchia data che quelli appena ottenuti, se non anche curiosi e arrivisti di vario tipo. 


* Il video è di "skaonline"





domenica 5 settembre 2010

Soyuz - Everybody Loves You (Black Nutria Records, 2010)


Recensione scritta per Indie for Bunnies
Tracklist:
1. Around Me, Maybe
2. Strong
3. Drop Me
4. First To Last
5. In The North
6. Tofu
7. Relief
8. Smart Kid
9. I Said No
10. Avoid Contact

Recensione:
Una serie di spedizioni nello spazio organizzate dall'URSS. Questo era il programma Soyuz (o Sojuz). Che il nome derivi da questo? Nome russo, e titolo del disco in inglese, per una band italiana. Le premesse per qualcosa di inatteso ci sono tutte, ma addentriamoci giustappunto all'interno del lavoro.
Il packaging del disco è piuttosto standard (e per fortuna non è un digipak), ma la copertina che ti scruta dritto negli occhi svolge già quell'effetto magnetico che poi la musica confermerà. Perché quello che Lo Giudice, Sprocati e Poli propongono è un rock alternativo, semplice, diretto, genuino, abbastanza fresco da superare le barriere dell'originalità che, in un genere come questo, ti sconfigge sempre. Ed infilando riff semplici ma non per questo banali, linee vocali leggere e radiofoniche, supportando il tutto con un comparto ritmico presente solo quando serve, dando le spalle all'impronta rock'n'roll, il prodotto finale sarà, definitivamente, buono. 
Scartabellando tra la copertina e il booklet si nota la prevalenza della componente "visiva". Gli occhi in copertina, la telecamera all'interno del libretto, questa mano che sposta le tendine per scrutarti da dietro, di nascosto. Forse i Soyuz si sentono controllati, e chi meglio di un programma spaziale potrebbe avere gli occhi puntati addosso e puntarli, contemporaneamente, su tutti gli altri. Ascoltando "First To Last" si rimane immediatamente calamitati dal riff iniziale, inverosimile plagio di un singolo recente di Bon Jovi, che si trasforma poi in una canzone coinvolgente, pressante, potente, di sicuro impatto nei live. Ed è proprio la chitarra ad essere spesso scaturigine dei momenti più memorabili del disco, come nel graffiante contributo che dà in "Strong" e "Tofu" (lasciando perdere l'incredibile citazione, per chiamarla con dignità, che si fa di "Everlong" dei Foo Fighters). E "In The North", con quell'inizio che ricorda molto i nostrani The Fire (e in effetti, tra le band somiglianti, sono quella più papabile), o qualche formazione spesso erroneamente definita emo come gli Sparta o gli At The Drive In del periodo poco-prima-di-sciogliersi. La voce si fregia di un timbro abbastanza riconoscibile, anche questo elemento che svolge da diversivo e contemporaneamente da decorazione, distraendo dalla forte presenza di elementi troppo scopiazzati che comunque non minano la qualità dell'album. 
Superata anche la barriera tecnica, che lascia in ogni caso soddisfatti, ci si scontra con una produzione piuttosto indifferente, potremo dire sterile. Il sound non è caratteristico, e proprio per questo, nel marasma interminabile di gruppi che fanno lo stesso genere, i Soyuz non riescono a trovare con questo full-length una dimensione personale che li renda immediatamente riconoscibili. Lasciando stare il discorso, e sforzandosi di non vederlo come un difetto, di per sé la produzione rende giustizia ad un lavoro sicuramente apprezzabile, musicale, orecchiabile, easy-listening al punto giusto da non mandare al macero tutta la fatica che sicuramente è costato. 
Nulla di nuovo, ma buon lavoro. 

Voto: 6.5

sabato 4 settembre 2010

September for Your Ears Parte 1

Mi sembra evidente. Anche in settembre la nostra "tatuata bella" Italia si potrà vantare di numerosi concerti fighi. In due post, per la prima quindicina e poi, forse, per la seconda, un po' di segnalazioni. Ci dispiace per gli altri, ma come di consueto sono concentrate nel nordest.

03.09 PLACEBO - Codroipo (UD)
03.09 AMARI e FARE SOLDI - Conegliano Veneto (TV)
03.09 TALCO - Bologna
03.09 TRABANT - Trieste
03.09 ELIO E LE STORIE TESE - Verona
03.09 LUCERTULAS, MORKOBOT, ZU e NO SEDUCTION - Cavarzere (VE)
04.09 SYBIANN, BUZZ ALDRIN, DRINK TO ME, TEN STORY APARTMENT e GIARDINI DI MIRO' - Cavarzere (VE)
04.09 INDEPENDENT DAYS FESTIVAL #2 (BLINK 182, ALL TIME LOW, ecc.) - Bologna

04.09 HEIKE HAS THE GIGGLES e THE CHARLESTONES - Trieste
04.09 ZEN CIRCUS - Colli San Giovanni (VI)
04.09 LINEA 77 - Morsano Al Tagliamento (PN)
04.09 ORANGE - Isola Rizza (VR)
04.09 LIGABUE - Bologna
04.09 SICK TAMBURO - Fontanafredda (PN)
05.09 IL TEATRO DEGLI ORRORI e LINEA 77 - Treviso
06.09 CALIBRO 35 - Rimini
07.09 SUPERTRAMP - Verona
07.09 GLI ATROCI - Bologna
08.09 IL TEATRO DEGLI ORRORI - Bologna
09.09 THE POP GROUP - Bologna
09.09 BANDA BASSOTTI - Bologna
09.09 CARMEN CONSOLI - Asolo (TV)
09.09 dEUS - Modena
09.09 MARKY RAMONE: Ramones Tribute - Trieste
10.09 MUSE, LILY ALLEN, THE BIG PINK e WHITE RABBITS - Londra
10.09 THE FIELD - Bologna
10.09 ELISA - Verona
11.09 ENNIO MORRICONE - Verona
11.09 TIN PAN GANG e MOSES AND THE BLACK CATS - Londra
11.09 MUSE, BIFFY CLYRO, WHITE LIES e I AM ARROWS - Londra
11.09 BAUSTELLE - Bologna
12.09 THE POP GROUP - Londra
13.09 BLONDE REDHEAD - Bologna
14.09 TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI - Bologna

venerdì 3 settembre 2010

Serj Tankian Live @ Estragon, Bologna 01.09.2010


Dopo concerti così, dopo che per anni hai consumato i dischi dei System of A Down, puoi avere soltanto le lacrime agli occhi. Serj Tankian è, e sempre sarà, uno dei più grandi frontmen della storia del mainstream rock e da quando si è unito ai Flying Cunts of Chaos per questa sua avventura solista ha abbattuto le barriere dei SOAD per fare qualcosa di nuovo, di egualmente apprezzabile ed apprezzato, e, soprattutto, che live spacca di brutto.
Il concerto all'Estragon, con un biglietto costosissimo peraltro, inizia con la band di supporto, i Viza, con un po' di ritardo sulla tabella di marcia. La band, che si presenta sul palco con una decina di componenti, è prodotta da Serj Tankian, e un qualcosa nel sound ce lo ricorda. Sonorità orientali, molto folk, che in certi frangenti si accostano ai Gogol Bordello, ma con influenze metal che si fanno sentire soprattutto sulla voce, molto propensa a growl e screaming, e sulla batteria, potentissima nonché precisissima. Pezzi coinvolgenti e cazzoni a non finire, vincono il premio "gruppo spalla dell'anno", tra quelli che ho potuto vedere. "Viktor", gran pezzo. 


Alle 10.50 inizia una serie di minuti magici che ne durerà novanta. Serj infila tutti i successi del primo disco (in sostanza lo esegue tutto), prima di partire con cinque, forse sei, pezzi del nuovo Imperfect Harmonies che, a sentire dai singoli su YouTube e da questi brani eseguiti, tra le altre cose, in maniera magistrale, sarà un album favoloso. Su tutte la vecchia conoscenza "The Charade", che i fan più "hardcore" ricorderanno dall'esecuzione del 2005 nello show di Axis of Justice, ora riarrangiata in maniera più consona allo stile degli album solisti del "cantautore" di origini armene. "The FCC Band", cioè la band che accompagna Serj, si guadagna tutti gli applausi del caso eseguendo i pezzi con una precisione veramente spaventosa e, in certi momenti, con un'aggressività sopra la norma (vedasi la cattivissima "The Unthinking Majority"). Da ricordare i timidi cori "terùn" che simpaticamente si elevano dal pubblico quando viene presentato il bassista Pagliarulo, di origini napoletane. Un segno della civiltà italiana, ma tra le vibrazioni del concerto e l'emozione di trovarsi davanti a uno come Serj, può strappare due risate, così come i cori "Sergio, Sergio" oppure "olèolèolèolè Sergio, Sergio", che fanno quasi commuovere anche il libanese. I pezzi più coinvolgenti si sono dimostrati tutto sommato quelli più celebri, su tutte "Empty Walls" (vedasi il video sottostane), "Sky Is Over" e "Lie Lie Lie". Non bisogna dimenticare che sul palco erano presenti alcuni componenti dell'Orchestra Filarmonica Italiana agli archi, che hanno dato un contributo più che altro atmosferico ad un concerto che di per sé non ne aveva bisogno, rafforzando comunque in maniera positiva il tutto. 
Serj, animale da palco con i suoi balletti e le sue frasi pronte a strappare applausi nei momenti giusti, sembra quasi stupirsi di fronte all'enorme affetto dei fans accorsi da tutta Italia, e come tutti elogia i fan italiani, che storicamente sono riconosciuti come tra i migliori al mondo. Basta cercare i video delle sue performance per capire che un pubblico così difficilmente l'ha potuto trovare altrove.


L'Estragon si conferma locale di punta della scena emiliana, con concerti di questo tipo. Peccato per i disguidi tecnici causati dalla concessione del live a Live in Italy che, a volte, dovrebbe anche imparare a fare il proprio lavoro, e dall'acustica non proprio perfetta (forse colpa dei fonici?). Ma non è questo il posto giusto dove lamentarsi, è stata una serata indimenticabile e l'apprezzamento dei fan è stato talmente alto che lo stupore sul volto di Serj mi resterà indelebilmente nella memoria. Concerto dell'anno, tre mesi prima che finisca. 

Setlist (credits go to Paolo)
THE HAND (intro)
BEETHOVEN'S C***
LIE LIE LIE
SKY IS OVER
SAVING US
BABY
LEFT OF CENTER
THE UNTHINKING MAJORITY
PRAISE THE LORD AND PASS THE AMMUNITION
BLUE (orchestral)
ELECT THE DEAD
YES, IT'S GENOCIDE
DESERVING
HONKING ANTELOPE
ELECTRON
BORDERS ARE
FEED US
EMPTY WALLS
-encore-
(unknown new song)
MONEY
THE CHARADE


* Le foto sono mie. Ne potete trovare altre qui.
* Video di "denu81" e "haematinon"


giovedì 2 settembre 2010

Fotoreport #9: Hole Live @ Padova 31.08.2010

A cura di Emanuele Brizzante.
Recensioni sempre mie, dell'ultimo disco qui e del live qui

Ecco una selezione di foto dalla mia galleria su FlickR. Questo il link per raggiungerla.


mercoledì 1 settembre 2010

Hole live @ Gran Teatro Geox, Padova, 31 Agosto 2010

Tempo sprecato + soldi sprecati = concerto abbastanza insipido. Per approfondire meglio la questione leggere ciò che segue.
Courtney Love è semplicemente uno dei personaggi più celebri del gossip del mondo del rock degli ultimi 20 anni. Questo aspetto è stato portato da lei avanti con enorme ostentazione e tutt'ora i fan delle Hole ne pagano le conseguenze. Le Hole, effettivamente, sono diventate una donna (lei) e quattro uomini, di cui forse uno sostituisce Courtney alla chitarra mentre lei finge; ci tengo a precisare che questa è solo una mia, fondata, supposizione.
Orario previsto per l'inizio del concerto: 20 e trenta. Orario reale: 22 e 10. Orario fine: 23 e 10, dopo 5 minuti di pausa per attendere l'acclamato (con offese e "simpatici" riferimenti) bis. Prezzo del biglietto: quasi 41 euro (di più, ovviamente, in prevendita, e quasi 47 per la platea numerata). Detta con parole molto semplici, un'inculata paurosa. I paganti, per trovare un attimo di divertimento, hanno dovuto affidarsi alla scaletta, abbastanza debole. I tre singoli più celebri, "Violet", "Celebrity Skin" e "Malibu", a scatenare movimento tra il pubblico che solleva qualche coro senza evitare di sgomitare e saltare, poi alcuni pezzi dell'ultimo disco, apprezzati ma solo da alcuni presenti, in ogni caso migliori live che in studio. Molti momenti relax, addirittura acustici. Ne eravamo abituati, ma le Hole degli anni '90 non avrebbero mai fatto un'imprecisa cover di "Jeremy" dei Pearl Jam, quasi improvvisata tanto che mancavano alcune parole (su ammissione di Courtney). Nonostante questo, si trattava di una chicca che ha significato tanto, vista la breve durata del concerto e l'assenza di un gruppo spalla a carburare+riempire.


In realtà l'ex moglie del compianto Cobain si è presentata piuttosto in forma, sia fisica che musicale, portando il suo celeberrimo esibizionismo anche sul palco del Gran Teatro Geox di Padova, con qualche battutina, piccole pose da pin-up e una minigonna che non vede l'ora di far saltar fuori qualcosina per le fotografie degli astanti. Qualcuno grida "mi sono innamorato", ma forse, anzi sicuramente, sta esagerando. Tecnicamente i musicisti di cui la frontwoman si è attorniata svolgono egregiamente il loro lavoro, senza mai sbagliare un colpo. Per quanto riguarda lei alla voce è alquanto evidente che gli anni stiano avanzando e che il suo stile, molto urlato e sgraziato, sia stato superato dal tempo che passa. Per lei, chiaramente, perché il pubblico lo apprezza e sembra non notare alcune "stecche" dannatamente lampanti. Ma poteva andare peggio (se non ci credete fate un giro su YouTube), poiché Courtney, in una condizione che quasi ricorda il nostro Pierpaolo Capovilla, definibile, in termini non proprio medici, di "falsa ubriachezza" (o forse lo era davvero?), ha preferito soluzioni più melodiche in alcuni tratti, in altri accelerando i brani, il tutto per la giusta causa della buona riuscita dei brani. Aspetto, questo, positivo. Non lo era particolarmente invece quello del sound complessivo, abbastanza "popstar" se comparato all'epoca d'oro della formazione (quella di Melissa Auf Der Maur, per noi), alterato, negativamente, dall'acustica "triste" della location.
Ripetendo il resto, la durata, l'organizzazione e il prezzo dell'evento, hanno lasciato MOLTO o forse troppo a desiderare, e senza indagare su eventuali colpe dei promotori e leggi locali del padovano, si può benissimo, di nuovo, dare la colpa all'eccessiva vanagloria di questo personaggio, discutibile ma alquanto seguito. E le targhe delle automobili, nonostante la data del giorno precedente all'ex Palacisalfa di Roma, lo dimostrano.
A chi piace, piace. A noi piaceva. Beccatevi anche la recensione dell'ultimo disco. 
 
ps. Per fortuna che c'erano "Doll Parts" e "Asking for It", ce n'era bisogno.  
ps2. Un vaffanculo oltremodo sincero ai 5 euro di parcheggio auto e i prezzi da usuraio del banco.

lunedì 30 agosto 2010

Melissa Auf der Maur e Tape the Radio Live @ Estragon 27 Agosto 2010

Foto del concerto

Setlist:
01. This Would Be Paradise (Intro)
02. The Hunt
03. Lightning Is My Girl
04. Real A Lie
05. Isis Speaks
06. Lead Horse
07. Taste You
08. Out of Our Minds
09. I Need, I Want, I Will
10. Overpower Thee
11. 1,000 Years
12. Followed the Waves
13. Bang Bang (My Baby Shot Me Down) - Cher/Sonny Bono cover
14. Black Sabbath Medley (Steele tribute)


Melissa Auf Der Maur, una delle bassiste più celebri al mondo, si è soffermata in questo piovoso agosto anche per qualche data italiana. Ama il nostro paese, forse davvero viste le innumerevoli volte in cui lo ripete, tentando anche qualche biascicata ruffianata in italiano che il pubblico, visto il personaggio, apprezza moltissimo. 
La serata all'Estragon, inizialmente semivuoto ma poi abbastanza gremito (alcuni diranno di no, ma vista la concomitanza con numerosi eventi grossi come la vicinissima Festa Democratica ci si aspettava ancora meno gente), è andata per il meglio, ad iniziare dall'apertura, affidata ad una band a noi sconosciuta, gli inglesi TapeTheRadio. Il trio britannico ha sparato in alto con trenta minuti di puro rock anglosassone miscelato con indie e new wave, assomigliando ora ai Cure ora ai Joy Division, senza tralasciare mai una certa personalità rock. Si ascolti il singolo "Stay Inside" per capire. Ottima band. 
Prima di vedere sul palco l'ex Hole e Smashing Pumpkins viene però proiettato un filmino di 30 minuti, ideato dalla bassista canadese, presente in esso anche come "attrice". Regia discreta, coinvolgentissima colonna sonora, trama parzialmente incomprensibile, stupisce la quantità di vernice utilizzata per mostrare che gli alberi abbattuti dai tagliaboschi canadesi perdevano sangue. Interessante in ogni caso come preambolo di un live che si dimostrerà breve ma intensissimo. I suoi 75 minuti lasciano tutti senza parole, con molti dei pezzi più noti (i singoli "Followed the Waves" e "Out of Our Minds") eseguiti alla perfezione nella seconda parte del set, e alcuni accenni ad entrambi i dischi, tutti conditi con una certa presenza scenica che da anni le si attribuisce come uno dei maggiori meriti. Il coinvolgimento è anche lasciato ai suoi discorsetti tra un pezzo e l'altro, pronti a strappare sempre qualche effimero sorriso e applausi facili. Musicalmente gli errori si contano sulla punta delle dita, sul palco ci sono dei professionisti e la backing band infatti si dimostra al pari delle aspettative, con un sound molto alternative ma contemporaneamente grezzo e pesante al punto giusto, che ricorda in alcuni punti le band post-metal o sperimentali, per scendere in altri momenti al rock commerciale che comunque non costituirà mai il punto di riferimento principale della musica di Melissa.
Interessante la perfetta interpretazione di "Bang Bang", di Sonny Bono, poi cantata da Cher negli anni '60, cantata in maniera magistrale e seguita da un tributo ai Black Sabbath che ha contribuito a concludere la serata al meglio.
La Auf der Maur verrà ancora in Italia e vi consigliamo di andarla a vedere se vi interessa un concerto potente, carico, coinvolgente, con molta energia positiva, a suo modo simpatico, e anche, diciamolo, se volete vedere una delle donne più affascinanti degli ultimi 20 anni di storia del rock. Gran serata. 


Questo video è tratto dal concerto tenutosi il giorno prima al Magnolia di Milano.

giovedì 26 agosto 2010

Iron Maiden - The Final Frontier (EMI/UME, 2010)


Tracklist:
1. Satellite 15...The Final Frontier
2. El Dorado
3. Mother of Mercy
4. Coming Home
5. The Alchemist
6. Isle of Avalon
7. Starblind
8. The Talisman
9. The Man Who Would Be King
10. When The Wild Wind Blows

Quindicesima uscita in studio. Un numero notevole, e i risultati lasciano, in questo senso, più che soddisfatti. Sarà che, almeno il sottoscritto, aveva bassissime aspettative (colpa dei primi leak su YouTube), ma lo stupore nell'ascoltare The Final Frontier, in particolare alla terza riproduzione, è notevole. Forse per l'innegabile capacità di reinventarsi sempre, pur restando circoscritti in certi canoni e ben ancorati a certi elementi, non diventando mai né statici né insipidi.
Neppure la carica è venuta a mancare, nonostante l'età media della band. Gli alfieri dell'heavy metal britannico non smettono di proporre i loro soliti cliché in maniera funzionale e, a loro modo, geniale, non dimenticandosi colpi di scena, cambi di tempo e quelle armonizzazioni che da quando hanno tre chitarre non vengono mai lasciate da parte. E, soprattutto in questo lavoro, è un bene.
Nicko McBrain è sempre in forma, e dopo un inarrestabile miglioramento che l'ha visto crescere a dismisura (a livello tecnico più che di composizione), negli anni '90 e soprattutto negli anni zero, si è assestato su di una linea clamorosamente buona, in particolar modo se andiamo a raffrontare la sua data di nascita con le sue reali capacità. Il tocco è sempre lo stesso e continua (e continuerà per sempre) ad essere il vero marchio di fabbrica dietro le pelli degli Iron Maiden, con buona pace del povero Clive Burr, che rimane validissimo. 
Parlando delle tracce sicuramente funzionano quelle più standard, che sono tornate a somigliare ai dischi di anni '90 e 2000, come "The Talisman", "The Man Who Would Be King" e "The Alchemist", simili in tutto e per tutto alla stragrande maggioranza dei brani di "Brave New World", di gran lunga il miglior album degli Iron Maiden degli ultimi vent'anni (ed infatti tutti i suoi brani offrono un ottimo modello, come dimostrano quelli dell'ultimo loro sforzo per EMI e UME). Per i tentativi di innovazione si rimane, in realtà, abbastanza delusi, poiché i brani risultano spesse volte fuoriluogo, come il pezzo d'apertura (e primo singolo), la title-track, che non trova mai un vero motivo di esistere in nessuna delle sue parti. Troppo sterile, per niente fresca, per niente Maiden.
Infine, leggendo i credits delle canzoni, si nota che Harris inizia a dare più spazio nella creazione dei brani anche agli altri e, soprattutto per quanto riguarda i brani composti da Smith, questo è un aspetto positivo.

Cosa non va, invece?

Sicuramente le linee vocali di Bruce Dickinson. Un continuo sforzo assolutamente esagerato di raggiungere le note che ha sempre saputo prendere con spiazzante precisione ma che ormai sono fuori dal suo campo d'azione. Forse rendersi conto che gli anni passano per tutti avrebbe aiutato le sorti di questo disco. Inoltre alcune melodie lasciano alquanto a desiderare, salvando sporadici momenti come la bellissima "When The Wild Wind Blows", imprescindibile anche per l'emotività che lascia trasparire.
Un altro aspetto abbastanza negativo di "The Final Frontier" è la piattezza degli assoli, onnipresenti ma troppo scialbi e contorti per risultare plausibili e piacevoli. Sono passati gli anni '80 (e anche Fear of The Dark) e la mano di questi ragazzoni hanno perso quel tocco che anche a livello compositivo e solistico li ha resi storici. E' evidente in brani come il primo estratto "El Dorado", piuttosto spento, anche se si può comprendere come agli hardcore fans sicuramente piacerà, nonostante l'eccessiva durata (pecca anche di altri brani).
Un'altra debolezza dell'album potrebbe essere individuata nei testi, fatti di liriche epico-mielose, cronache di guerra, infarcite del solito lessico che vede la parola death inserita alla bell'e meglio ogni due per tre. L'importante è che, da un punto di vista melodico, funzionino. E in questo senso si può dire che la coppia di writers Harris-Dickinson riesce ancora a lasciare il segno.
Fiacca anche la produzione, per la prima volta dopo tanto tempo un po' pompata, con un sound iperlavorato, smussato all'inverosimile. Lo si sente in alcuni tratti per quanto riguarda chitarre e batteria, con dei suoni quasi irreali, seguendo una strategia completamente diversa da quella della presa diretta, utilizzata nei dischi precedenti.


Facendo un overall, complessivamente l'album funziona. Va ascoltato qualche volta in più per rendersi conto che il sound del disco precedente, sebbene per certi aspetti avesse portato una ventata di fresco in casa Maiden, non era quello che li porterà avanti, e a confermalo ci pensa proprio The Final Frontier, soprattutto con la forma sempre perfetta della sezione ritmica che vede McBrain e Steve Harris sostenere ogni singolo episodio del disco con una precisione e un tocco da panico. Sinceramente, senza di loro, gli Iron Maiden si sarebbero già dovuti fermare da tempo.
Ottimi soprattutto i brani della seconda metà del disco, con un pressante afflusso di nuove idee che, fuse con i cliché della storia maideniana, formano pezzi memorabili, pronti a ridefinire gli assetti che conosciamo e a distorcere la storia dell'heavy metal come solo loro potevano ancora fare nel 2010. E l'introduzione, controversa, compromettente, a suo modo divergente da tutta la carriera del sestetto britannico, lo dimostra. Può non essere gradita, per i suoi pattern piuttosto banali e ripetuti ad oltranza, ma è evidente come nello "schema generale" del progetto Maiden ci sia la volontà di seguire una pista sempre più epica, ed in questo senso un intro simile non può che funzionare nel minor modo possibile.

Sforzo notevole, considerato tutto, apprezzabile non solo per i fan, ma non vi consiglierei mai di ascoltare questo come "album simbolo" della storica band. Per questo, ci sono gli anni '80 (o Brave New World).

Voto: 7.5

martedì 24 agosto 2010

GTBT Incontra la Scena Italiana #5 - Stanislao Moulinsky

Emanuele Brizzante intervista per GTBT la formazione toscana. Costantino Lazzeri, frontman, risponde a qualche piccante domanda sulla loro attività. E non solo, scoprite tutto leggendo...
Qui la recensione del loro ultimo lavoro.
-INTERVISTA- 

Stanislao Moulinsky, un nome celebre, per alcuni. Spiegate chi è anche agli "ignoranti" (senza offesa, ndr) e il perché della scelta
Stanislao Moulinsky era il "cattivo" di un fumetto degli anni 70', Nick Carter. La sua più grande dote era quella di sapersi travestire dalle cose più impensabili, come un treno od un dirigibile etc.. Da questo abbiamo deciso di chiamare così il nostro gruppo, perchè sviluppiamo idee di continuo e non vogliamo fossilizzarci su uno stile musicale ma esplorare le varie sfaccettature della musica.

Come nasce un pezzo della vostra formazione? Quanto è importante per voi il testo all'interno di un brano?
Di solito i pezzi nascono a casa mia, dove inizio a suonare con la chitarra e a cercare delle melodie con la voce. Una volta trovato qualcosa che mi aggradi inizio a scrivere il testo, che per me è importantissimo, infatti cerco di non andare nel banale e buttare sul foglio tutto ciò che ho dentro. Poi propongo il pezzo in sala prove e sviluppiamo la parte musicale.

Il titolo è abbastanza enigmatico o, diciamo meglio, interrogativo. E' questo che intendevate o c'è dell'altro? Perché l'avete scelto?
Y in realtà è un titolo che è stato frainteso da molti, non ha niente a che fare con why o con chissà cosa, è solo un tributo a Lorenzo, figlio del nostro chitarrista, che essendo un maschio ha come geni sessuali XY ed è la Y a differenziarlo da una femmina che invece ha XX . Molto semplice direi....

La scena fiorentina ultimamente sforna gruppi uno dietro l'altro ma solo pochi poi riescono ad imporsi in una vera e propria scena italiana dove la concorrenza è sempre più spietata. Voi come la vedete e come vi muovete in un ambiente come questo?
Noi ci muoviamo in tutte le direzioni, live, internet, stampa, tutto quello che possiamo fare per arrivare a qualcuno di nuovo. Purtroppo l'ambiente della musica è in crisi ed è molto difficile trovare qualcuno che scommetta sulle novità. Ma la fortuna aiuta gli audaci...

Il vostro sound ricorda molto quello di rock band italiane già molto affermate, come Negrita, Timoria, Litfiba. Vi riconoscete in questi accostamenti? Quali sono le vostre reali influenze?
Posso dirti che quando avevo 12/13 anni consumavo i dischi dei Timoria ma non ne ho mai cercato spunti. Per quanto riguarda i Negrita, forse quelli di un tempo adesso hanno preso una strada molo diversa dai loro esordi. I Litfiba invece sono un gruppo che è storico per la scena fiorentna, come i Diaframma, ma sinceramente non credo ci abbiano influenzato. I nostri gusti all'interno del gruppo sono molto differenti, si va dal jazz al metal, per passare dal funky al rock anni 70. Però tutti siamo unanimi nell'ascoltare Afterhours e Marta sui Tubi (e fate bene, ndr), gruppi che spessissimo andiamo a vedere dal vivo. Ultimamente sono stato colpito positivamente da Brunori SAS, artista prodotto da un mio amico, e dagli Amor Fou.

Mi incuriosisce molto la scelta di titoli come "Frustrato e Distratto" e "Inutile Acrobata". C'è molta disillusione, o forse illusione, un conflitto interiore, o qualcosa del genere. Di cosa volete parlare in brani come questi?
Come ti dicevo prima i testi sono molto introspettivi e pieni di sensazioni, i titoli non seguono una vera logica sono più una specie di associazioni libere, lascio che sia il flusso della mente a decidere.

Cosa c'è nel futuro della vostra band? Dopo un disco come questo, ricevuto molto bene anche dalla critica, ci sarà sicuramente una grossa attività promozionale no?
Al momento abbiamo finito da poco il tour promozionale, adesso abbiamo alcune cose in ballo, come l'apertura di un concerto al Metarock 2010 di Pisa a settembre e la pre-produzione di nuovi pezzi, in pratica abbiamo già materiale per un altro album, vedremo.....

Un saluto e grazie mille per esservi prestati a Good Times Bad Times per questa megaintervista. Ciao! 
Grazie a voi e un abbraccio dagli Stanislao Moulinsky! 

lunedì 23 agosto 2010

John See A Day - John See A Day (Autoproduzione, 2010)


Tracklist:
1. We Go Slow To The Fucking Hell
2. Boogie Man
3. El Vuelo The Fuego
4. Colpo De Man
5. El Giovanelo Capo Del Batelo
6. Henverland
7. John See A Day
8. SS 309 Romea
9. Deghe In Tre

John See A Day, formazione chioggiotta, direttamente dalla provincia di Venezia. Dopo questa veloce ed asettica enumerazione anagrafica, passiamo velocemente a parlare della musica, evitando inutili preamboli.
Cosa troviamo nel self-titled di questi ragazzi usciti da Clodia Maior? Nove pezzi, qualche ospite (Ettore Boscolo, al contrabbasso), tanta grinta, per un rock di stampo americano (o australiano?), vigorosamente incastonato dentro le facili mura dell'hard rock più classico, impreziosito però da qualche simpatico arrangiamento di sassofono, affidato al membro della band soprannominato Mr. Moonroad. Stringendo, il sax è l'unico elemento che contribuisce a rafforzare il fronte "originale" di questo disco, di per sé ancorato a linguaggi e stilemi di matrice eighties (e seventies) che già le maggiori band, con intere stirpi di seguaci, hanno già percorso in ogni direzione. Aggiornarlo non è cosa facile, è risaputo, e anche se i John See A Day probabilmente non avevano pretese di questo genere vale la pena ribadire che non si tratta di un disco innovativo, o chissà che.

Quali sono allora i meriti di questa autoproduzione, affidata a Tiziano Boscolo, interno del quintetto clodiense? Superato l'iniziale impatto con una produzione di notevole pulizia, si può passare ad analizzare il contenuto di ogni singolo brano. Tendenzialmente in ogni pezzo si assiste alla creazione di un microambiente hard rock di quello orecchiabile, radiofonico nei riff di chitarra e anche in quella forgia ritmica che spesso si concretizza ed espande in ritmi più rock'n'roll. E se sfugge qualche tentennante e rannuvolata citazione nel finale di "El Vuelo The Fuego", con il suo testo ispanico, si possono apprezzare maggiormente i testi in dialetto veneto, che da sempre solleticano l'immaginario degli indigeni da quando i Pitura Freska sono diventati la band storica che sono. Senza ricalcarne né le tematiche né le scelte stilistiche, producono qualche lirica simpatica, con quell'accento che tanto ci si diverte a canzonare fuori dal Veneto, che piacerà sia ai lagunari che ai più distanti provinciali delle altre comunità regionali. E' il caso di "Colpo de Man" e l'inno pop prettamente chioggiotto "El Giovanelo Capo Del Batelo" (qui la scelta dell'accento è meno comprensibile all'esterno della zona della band), già abbastanza diffusa grazie ad internet negli ultimi mesi, un funkettone leggerissimo che trova il suo massimo interesse proprio nelle parole. Lo stesso succederà nel tributo ai "309 morti" della celebre statale Romea, nell'ottava traccia. Dal punto di vista di tecnico i ragazzi se la cavano, e propongono, soprattutto alla batteria, canzoni da apprezzare anche sotto quel punto di vista.
Sondando con attenzione l'intero lavoro si scopre facilmente che gli ingredienti principali sono pochi, ma miscelati e rielaborati con una certa consapevolezza compositiva che gli si può certamente attribuire come una nota di merito. Il problema è che a volte sembra di assistere a vere e proprie cover "venetizzate", senza l'ombra di tentativi di innovazione che lascino davvero il segno. Se non c'era nessuna pretesa del genere negli intenti dei ragazzi allora questo disco funziona davvero, veloce, simpatico, connesso alla realtà. Altrimenti, cercate altrove.

Voto: 6.5

martedì 17 agosto 2010

King Crimson - Red (E.P. Records, 1974)


Red è l'album della maturazione Crimsoniana. E' il primo album dai tempi di Island (1971) che riutilizza musicisti esterni come session man che variano in ogni traccia. E' il lavoro in cui si notano tutte (o la maggior parte ) delle caratteristiche principali che influenzano i Re Cremisi. E alla fine dell'ascolto di questo album viene veramente da dire che sono dei "Re".


Il tutto inizia con la title track che diventerà successivamente un simbolo live del gruppo, proposta e riproposta molte volte e sempre con un effetto devastante. Il riff carica e il suono è reso più potente dalle diverse tonalità e dalla sovraincisione che il gruppo ha eseguito in studio (sembra ci siano più chitarre ma è lo stesso Fripp a suonare) . Da qui emerge la prima caratteristica del gruppo, il brano completamente strumentale che si era imposto decisamente nel precedente album Larks' Tongues In Aspic (1973) e le sue rispettive title track. Non manca nel pezzo centrale la collaborazione di musicisti esterni con il violino di David Cross, elemento musicale in alcuni gruppi come i Kansas quasi dominante. Primo brano completato e l'effetto è quello di un inizio alquanto spumeggiante. Il secondo pezzo è il primo cantato, Fallen Angel; lì emerge la voce di John Wetton che sembra calzante a pennello, lui che di lì a poco diventerà il frontman per alcuni anni degli Uriah Heep (da notare la sua voce come sia simile a quella del passato Greg Lake e del futuro Adrian Belew). L'oboe di Robin Miller e la cornetta Mark Charig rendo le strofe così sinuose e quasi celestiali per poi arrivare ai tratti più duri e marcati dove da protagonista la fanno Robert Fripp con la sua chitarra e Ian McDonald (non suonava con i King Crimson da In The Court Of The Crimson King (1969)) con il suo sassofono "pazzo" che verrà preso come esempio da altri gruppi come gli Zu in Italia. Dopo il pezzo "dolce" si passa a una canzone dai tratti più hard fino ad arrivare alla classica sperimentazione-psichedelia che fa di loro dei maestri. One More Rednightmare ha un riff iniziale coinvolgente dove si esprime in tutta la sua bravura e fantasia anche Bill Bruford, e stiamo parlando di un batterista che ha fatto la storia anche con gli Yes. E' il brano dove ancor di più si percepisce la padronanza del Sax di McDonald. Peccato che si interrompa cosi bruscamente per la fine del nastro. Probabilmente chi ha ascoltato ques'album per la prima volta prima di arrivare alla canzone successiva, ha pensato che mancava un elemento tipico dei King Crimson, quello della completa improvvisazione. Questo è Providence, una canzone completamente improvvisata in live e rielaborata in studio come loro stile dove ognuno dà sfogo alla propria fantasia. Manca un ultimo tocco per rendere l'album eccezionale. Una pietra miliare del Progressive. Starless è l'ultima canzone dell'album, un brano epico per una fine epica. In questo pezzo Fripp si diletta nell'utilizzo del Mellotron, strumento classico del Prog, che carratterizza la prima parte della traccia. Se si ascolta la canzone attentamente si nota come il pezzo quasi vada in progressione, dal dolce al più marcato ma comunque lineare nella sua struttura. Nella parte centrale il tutto è caratterizzato da accordi ripetuti che accompagnano le percussioni di Bruford che aumentano di ritmo mano a mano per poi avere un brusco cambio di velocità all'ultimo. Ed è proprio quando si finisce di ascoltare questa canzone che si può definire l'album una pietra miliare. Un estremo capolavoro Progressive. Uno di quelli che andava ad arricchire la collezione visti quanti all'epoca se ne producevano.


Dopo Red i King Crimson si sciolsero per qualche anno, tornando con una formazione del tutto diversa solo nel 1981 in cui cambiò lo stile ma il tipo di approccio alla musica rimase sempre quello che li ha contraddistinti come uno dei gruppi più innovativi mai esistiti e lasciarono i loro fan con la bava alla bocca ma soprattutto con stile come fanno le vere leggende. L'album viene classificato dalla rivista Q Magazine come 19esimo album più duro della storia ma di citazioni nelle classifiche di Rolling Stone manco a parlarne. Si dice che questo lavoro sia uno di quelli che ha influenzato in maniera netta Kurt Cobain e i Nirvana. Come per le grandi opere d'arte spesso viene citato nel panorama musicale e si ha l'impressione che verrà citato sempre.


Voto: 9+