lunedì 2 novembre 2009

Institute - Distort yourself (Interscope, 2005)


La prima domanda che mi sono posto quando ho preso in mano questo CD dallo scaffale è stata “ma chi sono questi Institute?”. Da temerario ascoltatore ho acquistato il disco senza conoscere la band e pensando di scoprire chissà quale nuova formazione, (se i dischi costassero meno acquisterei più spesso a scatola chiusa) capendo poi in seguito di trovarci dentro personaggi conosciutissimi.
La band nasce e muore nel giro di un paio d'anni ed è il progetto post-Bush di Gavin Rossdale, forse conosciuto dai più come il marito di Gwen Stefani.
La formazione ufficiale (Wikipedia docet) ha come componenti, insieme a Rossdale, Chris Traynor (Helmet), Cache Tolman (Rival School) e Charlie Walker (Split Lip); quest'ultimo arrivato a dividere lo sgabello nientemeno che con Josh Freese. Nel libretto sono inoltre accreditati altri musicisti che hanno partecipato alle sessioni in studio.
È strano scrivere di una band dalla vita così breve: mi attendevo un secondo album dato che questi signori hanno pure accompagnato gli U2 nel tour di Vertigo e visto che questo Distort yourself è davvero un bel lavoro. Probabilmente il frontman ha preferito sciogliere il gruppo per lavorare al suo album solista uscito poi nel 2008.

Ma ora parliamo dei brani di questo album!
L'apertura è affidata al singolone Bullet-Proof Skin, che comincia con la chitarra in primo piano caratterizzata da un reverb pesante e che poi sfocia in un riff sincopato semplice ma d'effetto: distortone a manetta (non grossissimo, ma più “personale” e meno scontato). Il ritornello è accattivante e non cade nel banale e gli inserti di chitarra del bridge preparano al botto mentre il basso del refrain è semplice ma spinge come si deve.
Il secondo pezzo (When animals attack) è anch'esso costituito da un riff sincopato di basso (che ogni tanto mi torna in mente e mi metto a suonarlo), chitarra ritmica gonfia e drumming poco invasivo. Diciamo che da come il lavoro comincia pare che la scelta del produttore sia stata di puntare molto sulle chitarre lasciando alla ritmica un ruolo “da mediano”, ovvero di fare una solida base senza concedersi troppo alle luci o fare i fenomeni. Anche su Come on Over il basso è presente e lineare ed aiuta ad ingrossare la ritmica del riff della strofa (manco a dirlo sincopato) per poi farsi quasi da parte nel ritornello da rock ballad. La voce di Mr. Rossdale è ben presente e le linee sono di immediata assimilazione (se vi trovate a cantare i questi brani sotto la doccia non è un caso insomma), anche se è scomparso un certo pathos che ricordavo nelle cose dei Bush ("Glycerine" ad esempio).
Information Age si apre di colpo con il suo riff composto da due chitarre contrapposte che nel ritornello aprono con un distorto più soft lasciando spazio a scenari quasi pop. Echi di wah si sentono qua e là e pure l'uso di giochi stereo sulle chitarre rende il brano interessante. Il testo è di estrema attualità: tv, successo facile e veloce ascesa.
La traccia 5 è Wasteland: credo che il signor Tolman in questo disco si sia divertito molto col suo basso! Questo è un brano a mio parere molto riuscito, grazie alla creazione di pieni e vuoti tra strofa e ritornello ma anche grazie ad un refrain davvero riuscito, grosso al punto giusto e dove c'è un Rossdale in gran forma. Il pezzo successivo comincia con la sola batteria, ma nel giro di un paio di secondi si aggiungono basso e chitarra per un'apertura ad effetto; il tutto si placa quando comincia il cantato, accompagnato quasi esclusivamente dal basso. Il ritornello di questa Boom Bx è caratterizzato da chitarre grosse e feedback a creare una melodia tanto semplice quanto riuscita!
È ora il momento di Seventh Wave, con il riff principale sincopato e appannaggio della chitarra ritmica. Il bridge porta anche stavolta ad una bella apertura, sempre rock ma dove la voce piazza una linea che più pop non si può. Questo è uno dei brani di questo lavoro dove chi siede dietro i tamburi dà l'impressione di divertirsi per davvero: il pattern dei bridge non è per nulla scontato ed è di quelli che ad un primo ascolto ti danno l'impressione che il batterista non stia facendo nulla di speciale: come si diceva prima il lavoro “da mediano”.
Un titolo, un programma. The Heat of your Love fa pensare ad una canzone mielosa e piena di rime cuore-amore ma: primo i distorsori fumano, secondo il beat è veloce ed in più non trovo il testo nel booklet! Più che amore questo è sesso secondo me.
L'apertura di Ambulances è molto malinconica. L'arpeggio di chitarra da spazio al duetto voce-basso e l'amalgama è di quelle che ti danno i brividi. Il tutto mi fa pensare alla dedica scritta nell'ultima pagina del libretto: to Winston Rossdale 1988-2004...
Pare una drum machine quella all'inizio di Secrets and Lies, brano dalla strofa caratterizzata da un riff di chitarra doppiato dal basso e con un ritornello dove torna il distorto cui ci ha abituato Traynor in questo cd e che accompagna l'ascoltatore per gran parte del lavoro. Molto bello l'inserto quasi industrial a tre quarti del pezzo che richiama la (presunta) drum machine iniziale.
Il lavoro procede con Mountains. Anche qui la strofa è territorio per la coppia voce-basso con chitarre che abbelliscono il tutto per poi (vien da dire “al solito”) ingrossarsi nel ritornello. Diciamo che chi è abituato ad ascoltare cose con strutture complicate fatte di specials, assoli ad ogni piè sospinto o cose del genere qui casca male.
Titolo quantomeno bizzarro quello del penultimo brano (Save the Robots) dove la strofa è tenuta su da un basso leggermente distorto e dove le chitarre, a dire il vero più acide che nel resto del disco, alzano la voce solo nel refrain. Anche qui l'aria è un po malinconica e a me (forse per questo suono di chitarra) ha ricordato i Radiohead. Qui si sente forse l'unico solo di chitarra del'intero lavoro, anche se più che solo è un bridge musicale.
Anche per The Buzz of my System non trovo il testo all'interno del booklet, ma forse è soltanto perchè è una bonus track. Qui la chitarra che ci si trova di fronte all'inizio è filtrata attraverso tali effetti che pare registrata su un vinile lasciato a marcire da qualche parte per decenni. Non temete, quando il pezzo comincia per davvero c'è sempre il buono e sano distorto ad attendervi...

Che dire di questo Distort youself se non che è un disco di pregevole fattura e composto di brani immediati ma non banali? Si potrebbe aggiungere che le scelte operate sui suoni (soprattutto di chitarra) non sono poi così scontate: se è vero che le chitarre portanti utilizzano praticamente un solo distorto, c'è da dire che intorno ad esse c'è un intero panorama di abbellimenti, feedbacks e piccoli riff veramente ben studiati. Oltretutto nell'intero lavoro non c'è sentore di eccessive sovrincisioni ed il risultato è che suona molto naturale. Non ho altro da aggiungere se non “salviamo I robots”!!!

Voto: 6.5

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