Gli Armstrong? sono una realtà nuova per molti, soprattutto per chi non bazzica nell'underground di Torino e provincia. Per questo sicuramente in molti si sono persi in questi anni l'emergere di questa band che brilla per la sua completezza e che ha le carte in regola per andare oltre, seppur divincolarsi nell'estremamente strano e campanilista panorama italico resti un'impresa per pochi fortunati.
“Collateral” è di per sé un piccolo gioiellino, una collezione di 11 pezzi che suonano come un saggio e studiato collage di influenze tra le più variegate, dallo shoegaze al post-rock, dal pop rock di stampo italico a quello più inglese, dal noise alla psichedelia. Nominare generi su generi non aiuta di certo a capire cosa aspettarsi da questo lavoro quindi analizziamolo più direttamente.
Il lavoro si apre con Winning You, un pezzo che ricorda molto da vicino i pochi pezzi cantati di band come Giardini di Mirò (quelli di Dividing Opinions soprattutto). E' il pop che si fonde con il post-rock (qualcosa dei Mogwai e degli Explosions in the Sky meno elettrici pulsa in Shivers, oltretutto un gran pezzo, in Wireless Crimes e in What Control), come si contagia di noise à-la-Sonic Youth in A Certain Inclination, tirata power-ballad con basso e chitarra che si rincorrono senza troppe pretese. Qualcuno l'ha definito dream pop, non mi piace come definizione, ma la condivido. Più ruvidi i suoni di Aftermath, contenuta e lineare finché assomiglia ai Marlene Kuntz dei tempi di Ho Ucciso Paranoia, per la musica. Una parola adatta, anche per questa, ancestrale. La title-track sfoggia oltre 2 minuti di relax in note, con melodie distese e distensive, prima di esplodere nel finale da trappola indie degli Strokes mista agli arpeggi di certi, vecchi, Sigur Ros. Nominare tutti questi gruppi non è il mestiere del recensore, ma la varietà del disco è evidentemente illuminante in questo senso. Spunta l'elettronica, in sottofondo, a concludere il disco nel brano finale High Precision Work, pop d'autore alla ...A Toys Orchestra con melodie di facile presa e quell'atmosfera “rumoristica” che per il genere fa sempre la sua porca figura.
La band si appoggia su sonorità di stampo internazionale, e anche quando la voce sembra fare il verso a quella di Marco Fasolo dei Jennifer Gentle, il delay che affonda le chitarre in un mix prevalentemente “noise” ci ricorda che quello che stiamo ascoltando è un disco italiano solo per l'origine geografica. Di non dichiarata esterofilia, i ragazzi potrebbero sicuramente trovare pubblico più interessato all'estero, ma non è il luogo giusto per i consigli. Quello che suonano è essenzialmente un ensemble di musica già sentita, riaggregata in modo originale come a ricomporre un puzzle senza seguire gli incastri giusti, ma inventandosene di migliori. Difficile, ma non impossibile. E gli Armstrong?, si, ce l'hanno fatta. Anche per quanto riguarda i suoni centrano il bersaglio, non si parla di produzioni “da major” ma per essere a questi livelli non ci si può certo lamentare. Ottime soprattutto le chitarre.
Non mi resta che consigliarli a tutti gli amanti dei generi sopracitati per sostenere una band che può dare ad un panorama chiuso come il nostro. Veramente validi.
Voto: 8,5
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