giovedì 22 ottobre 2009

Il Teatro degli Orrori - A Sangue Freddo (La Tempesta/Universal, 2009)

A Sangue Freddo Capovilla e soci sia quello con cui la band vuole fregare i fan firmando un contratto per la distribuzione con la Universal e facendo soldi a palate (grazie mondo stereotipato). Su internet vivono tanti parassiti convinti che la musica underground debba restare tale e che se una band vuole emergere sia da disprezzare. Quando si tratta del Teatro degli Orrori però la questione va presa con le pinze.
I vinti non siamo noi, sono loro. Nel tentativo di fare un lavoro più melodico rivelano i loro punti deboli, pochi. I riff di chitarra sempre troppo simili ai Jesus Lizard e un genere che è già stato raccontato in lungo e in largo col loro primo disco. Le canzoni più aggressive di questo nuovo lavoro infatti, come Mai Dire Mai, E' Colpa Mia e Il Terzo Mondo (“ho fame d'amore e ti desidero”, però, Pierpaolo, se lo poteva risparmiare), quest'ultima una neanche tanto velata critica al nostro paese paragonato appunto alle finte democrazie dei paesi più poveri del mondo, non risultano all'altezza del loro primo “Dell'Impero Delle Tenebre”, e per cui ci concentreremo sugli aspetti di discontinuità. Certo, un pezzo potente come Due merita davvero, ma Io Ti Aspetto in apertura, calma proprio dove non te lo aspetteresti (quasi sdolcinata in alcuni frangenti), vale davvero la pena. Interessante anche Direzioni Diverse, ridicola per la sua base elettronica al primo ascolto ma subito apprezzabile se ci si prende la briga di darle altre chance. I tentativi di cambiare non si registrano sempre come fregature o passi falsi, e questa cosa molti recensori ancora la devono capire. Ottimo anche il testo. C'è anche Majakowskij, il pezzo dalla struttura meno standard, inconsueto stop and go di momenti potenti ed altri più tranquilli (con accenni di piano nel finale, prima dell'esplosione in puro stile Teatro), sul quale spiccano comunque le parole che, di nuovo, vanno ascoltate con attenzione. Stavolta manca la ballata da radio stile “La Canzone Di Tom” e l'unico arpeggio davvero catchy che troviamo è quello di Padre Nostro, in verità uno degli episodi più riusciti del disco, con un ritornello tirato e facilmente memorizzabile nonostante la produzione troppo piena sicuramente non aiuti a rendere “radiofonico” né questo né nessun altro pezzo del disco (non è un difetto, chiaramente). Ritornando invece alla potenza dell'esordio il premio lo vince Alt!, che tenta un approccio easy-listening (ehi! Chi va là? Aaalt!) grazie ad un testo quasi anarchico, che cova una critica all'Italia, non tanto diversamente dalle altre liriche (quando non parlano d'amore, questa, si, una verosimile e condivisibile caduta di stile). In conclusione Die Zeit!, coda noise di un disco neanche troppo vario, che probabilmente apprezzeremo in concerto (se la proporranno).
Non si parli di tecnica perché questi non sono musicisti esperti, anche se hanno uno stile unico nel panorama italiano. Chi li accomuna ai già citati Jesus Lizard di certo non si sbaglia, ma lo stile di Pierpaolo Capovilla è senz'altro unico e chi nello Stivale tentasse di imitarlo saprebbe solo raggiungere risultati ridicoli. Stessa cosa per i suoni, molto curati, e i riff e le linee di batteria ormai marchio di fabbrica di Gionata e Franz (e che dire dei giri di basso di Giulio Favero?).
I quattro ragazzi hanno centrato il bersaglio di nuovo, magari con meno lucidità (a favore di un'orecchiabilità superiore sicuramente più congeniale all'estensione del loro pubblico, semmai ce ne fosse bisogno), ma pur sempre producendo un lavoro onesto, di qualità e con qualche spunto originale quando tentano di assomigliare il meno possibile ai sé stessi del passato. E visto che La Vita E' Breve (nome del penultimo brano) un'ascoltatina è meglio darcela, che ne dite?

Voto: 7

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