giovedì 15 ottobre 2009

Alice In Chains - Black gives way to blue ( Virgin/EMI, 2009)

Prima di scrivere questo pezzo ci ho pensato su un po: primo perchè volevo avere in mano il cd originale, secondo perchè è stata una dura lotta cominciare a scrivere.
Non ricordo quanti anni siano trascorsi dall'ultima uscita discografica di questa (grande) band, ma a occhio e croce penso siano almeno una quindicina: insomma dalla dipartita del buon Layne Staley in poi era arrivato qualche disco solista di Jerry Cantrell (chitarrista della formazione) ma nulla più.
Ancor prima di dirvi cosa penso di questo Black gives way to blue devo dire che sono uno che crede poco nelle reunion dei gruppi rock dopo la scomparsa di uno dei membri, figuriamoci poi se, come in questo caso, si tratta del frontman!
Gli Alice in Chains hanno fatto parte dell'olimpo del grunge quando questo esplose negli anni novanta a Seattle, e tra le varie compagini era quella (sempre a mio parere) sonoramente più vicina al metal, i cui suoni erano caratterizzati da cupezza, lentezza (leggasi marzialità) e straziante sofferenza, soprattutto per I temi trattati e per il modo di cantare del già compianto Layne, che faceva venire la pelle d'oca dando ad intendere che ciò che cantava era vita vera, la sua.

Ma torniamo al duemilanove: appena messa questa ultima fatica dei reduci degli Alice in Chains (coadiuvati da una nuova voce, al secolo Mr. William DuVall) nel lettore la prima cosa che salta all'orecchio sono I suoni. Non c'è che dire, rispetto ai vecchi dischi il suono d'insieme è bello tosto, preciso, gonfio e ricco di basse, solo che è meno caratteristico, meno A.I.C. e più neometallaro per certi aspetti. Intendiamoci, si riconosce la mano, ma forse chi ha ben in mente I dischi vecchi non può evitare di fare un confronto col passato.

L'apertura è affidata a All secrets known, traccia lenta e con poche aperture melodiche; la doppia voce è forse fin troppo utilizzata ed il tutto risulta un tantino pesante. Il secondo brano del disco è forse il meglio riuscito (Check my brain), probabilmente per il suo refrain “facile” o forse per la durata da brano “normale”. Oltretutto è il pezzo dove meno si sentono echi di vecchie hits.
Il brano Last of my kind si apre con una lunga intro musicale dapprima a base di echi e voci e poi con un riff elettrico, ma anche qui, in cinque minuti e passa non sono riuscito a sentire la nuova voce ed in certi punti ci si sente catapultati nel metallo più pesante grazie ai riff in tonalità gravi.
Traccia quattro (Your decision) acustica che ricorda un po “Nutshell” nell'intro, brano più che famoso tra I fans della prima ora, per cui la pelle d'oca a me viene, ma solo per il ricordo dell'MTV Unplugged fatto anni or sono! Qui però c'è da dire che finalmente viene svelata la voce del nuovo frontman che non è affatto male, fatto salvo il “piccolo” problema di doversi confrontare con un fantasma davvero scomodo.
Riffone vecchio stile A.I.C. in A look in view che in ben sette minuti sette pare incollare insieme due vecchi brani della band, riuscendo addirittura ad annoiare.
Ancora una traccia che si apre con l'acustica in mano a Jerry Cantrell (When the sun rose again) accompagnata dalla tabla: qui a parer mio si sentono meno gli antichi echi e il tutto risulta piacevole, compreso un breve ma evocativo solo di elettrica dopo poco più di metà brano.
Brano numero sette è Acid bubble, che riprende il filo dell'album con chitarre gravi e lente dove viene (ancora una volta) adagiata una linea vocale a due, anche se in questo caso il ritornello apre bene, soprattutto vocalmente, senza ricordare troppo il passato.
Si procede con un tempo più “allegro” su Lesson learned e la voce solista riesce ad emergere per l'intera strofa (!) senza alcun intervento di Cantrell, che però non resiste ed entra nel refrain. Dopo il solo di chitarra il brano ha una nuova apertura molto gradevole che lo porta al finale.
Si ritorna lenti (ma meno pesanti) su Take her out, che ha un ritornello davvero niente male...
Anche Private hell, come altri pezzi precedenti evoca I vecchi fantasmi, con la sua lenta dolcezza: pure qui manca l'ingrediente che fa si che questo disco non sia un gran disco: l'interpretazione semplicemente disarmante del buon Layne! Jerry Cantrell ce la mette tutta anche qui con un solo straziante, ma non basta; comunque questo è un brano secondo me abbastanza riuscito, malgrado l'uso della doppia voce dal principio alla fine.
La title track (una ballad) chiude l'intero lavoro; il signor DuVall fa sentire che c'è e in certi momenti riesce ad emozionare davvero, complici forse le note di pianoforte che lo accompagnano. Solo tre minuti questa Black gives way to blue, ma tre minuti di quelli da ricordare.

Alla fine l'impressione generale su questo lavoro non è entusiastica: avevo altre aspettative nei loro confronti, mi aspettavo un cambiamento avendo loro una nuova voce solista ed essendo passati un bel po di anni dall'ultima fatica.
Non mi sento nemmeno in grado di dire se il nuovo singer sia bravo oppure no dati i suoi brevi interventi sui brani, durante i quali si cerca di ricostruire la doppia voce che caratterizzava i vecchi pezzi esagerando nell'utilizzarla anche laddove non servirebbe.
Insomma attendevo un disco nuovo in cui anche il nuovo elemento esprimesse la sua personalità, creando una nuova amalgama: speravo in un risultato à là Alterbridge, in cui innestando un (peraltro bravissimo) cantante nella originaria formazione Creed ne è uscito qualcosa di diverso. Rispetto ai lavori precedenti ho anche sentito un Mike Inez ed un Sean Kinney normali, e non grandiosi come li ricordavo: un vero peccato.
Fossi stato in Jerry Cantrell e avessi proprio dovuto rimettere insieme i ragazzi avrei avuto almeno il buon gusto di cambiare ragione sociale alla ditta: Layne, ci manchi!

Voto: 5.5

2 commenti:

Anonimo ha detto...

E' vero, Layne ci manca, ma non trovo così disprezzabile il nuovo lavoro; al contrario ci regala 4/5 canzoni che possono entrare di diritto nel "Best of Alice In Chains". Credo che i due titoli di testa siano apprezzabili esemplificazioni di ciò che il rock può emotivamente trasmettere, e la title track non può non mandarci alla mente proprio il compianto original singer.
E poi, perchè cambiare nome alla band, non siamo proprio noi ammiratori degli AIC che non tolleriamo la scomparsa di Layne? Perchè dovremmo far morire tutto il gruppo !?

Anonimo ha detto...

Un grandissimo disco,invece,suonato con una classe superba e soprattutto
con un lotto di canzoni da paura,come non se ne sentivano da anni...Fanculo Layne,drogato del cazzo,questo nuovo singer ha tutto x fare anche meglio....Poi basta con questi paragoni con il passato,il sound non poteva essere proprio quello del passato,x fortuna...Io preferisco + questi nuovi alice ke quelli di una volta,hanno un sound + duro e diretto,oltre ovviamente ad essere in grado di creare atmosfere e melodie decadenti e allo stesso tempo piene di energia come nessun altro....Quanti gruppetti odierni,insignificanti,avrebbero da imparare da questo disco di questo gloroso gruppo.Tutto il resto è aria fritta!!!