sabato 17 ottobre 2009

Billy Cobham - Magic (Columbia, 1977)


Il nome di William E. Cobham, detto Billy, non suonerà certo nuovo alle orecchie di un vero esperto di musica. Nato a Panama nel 1944, Cobham è famoso per essere un vero caposcuola della batteria, destinato a rimanere nell'Olimpo dei musicisti. Ma Cobham non è solo un batterista formidabile, è anche un eccellente compositore, come dimostra la sua vasta discografia.
Questo "Magic", edito nel 1977, è infatti il suo ottavo disco in soli quattro anni (nel momento in cui scrivo gli album in tutto sono 42), ed è sicuramente una delle cose più riuscite.
Le splendide melodie, sono supportate anche da una lista di musicisti da capogiro. Impossibile, ad esempio non citare l'eccellente lavoro bassistico di Randy Jackson (lo stesso Randy Jackson che oggi fa il giudice su "American Idol"), oppure le percussioni di Sheila Escovedo o le brillanti acrobazie chitarristiche di Pete Mannu.

Il brano più rappresentativo del disco è senza ombra di dubbio "Puffnstuff", pezzo molto vario dagli aromi vagamente Zappiani, soprattutto il tackle piano di Mark Soskin, che ci ricorda i lavori del migliore George Duke, oppure l'ispirato clarinetto di Alvin Batiste, che invece sembra essere uscito da "Uncle Meat" dei Mothers of Invention.
Mentre la partenza è affidata ad una deliziosa melodia di clarinetto, supportata egregiamente da chitarra e tackle piano, a metà brano le cose cambiano completamente, e il brano si trasforma in una sorta di prototipo rap, su una scatenata base di batteria, prima di riprendere il tema originario.
Un altro brano immortale è l'opener "On a Magic Carpet Ride", dominato dalla chitarra, e con un riff magistrale.
"Anteres The Star", con un groove basso/batteria da tramandare ai posteri, e l'irresistibile "AC/DC" contribuiscono a valorizzare ulteriormente l'album.

Se però l'album non raggiunge la perfezione è per colpa di due episodi isolati. Il primo, più controverso, è la lunga title-track, che in realtà è un infuso di due pezzi: "Magic" e "Reflections in the Clouds". Mentre la prima parte, è effettivamente una delle cose migliori del disco (trattasi di un intensissima jam basata su splendidi e mai scontati riff di chitarra e con un grandissimo assolo di basso di Jackson), la seconda è la cosa peggiore, una lunga e prolissa ballata con armonie vocali parecchio noiose e a volte irritanti. L'idea di riunire i due pezzi in un unica traccia non è stata molto felice, ma per fortuna la migliore delle due è quella che apre la traccia, così il risultato è senza dubbio più gradevole.
Anche "Leaward Winds", nella sua gradevolezza, non è paragonabile agli altri brani del disco, risultando forse l'episodio più banale.

Resta comunque un eccellente disco, magari non il migliore di Cobham, ma senza dubbio uno dei più riusciti. Fortemente, fortemente consigliato.

Voto: 8.5

1 commento:

Brizz ha detto...

La tua musica è troppo seria per me però questa recensione un po' di voglia di ascoltarlo me l'ha messa :D e sai una cosa? Forse lo ascolterò

Brizz