Recensione scritta per Indie for Bunnies - link
Pochi dischi hanno condizionato la musica venuta dopo come questo “Hai Paura del Buio?” degli Afterhours. Secondo disco in lingua italiana per la band di Milano, ha rivoluzionato il linguaggio e la composizione delle musiche per quanto riguarda l'alternative rock italico, creando, loro malgrado, sciami interminabili di imitatori ed ispirando, più o meno dichiaratamente, praticamente qualunque band uscita successivamente. E' un album completo, a trecentosessanta gradi, dove un tris di power chords o quattro accordi da spiaggia messi di fila appaiono talmente emotivamente coinvolgenti da risultare complici di un capolavoro, per scarabocchiare sulla tela pensieri ed immagini che grazie alla poesia di Manuel Agnelli e ai graffi isterici di Xabier Iriondo diventano “storia”.
C'è tutto in questo disco. La potenza pura del post-Nirvana in Dea e Lasciami Leccare l'Adrenalina, gli inni grunge come Sui Giovani d'Oggi ci Scatarro Su e l'intramontabile Male di Miele (ti do le stesse possibilità di neve al centro dell'inferno, ti va), il noise minimalista di Senza Finestra e Simbiosi, emozionanti ancora oggi quando riproposte nei live, il pop rock delle ballad come Voglio una Pelle Splendida (la vita è un suicidio, l'amore è un rogo) e Pelle, tra le più belle del loro intero repertorio. Il ritmo sempre molto sostenuto del disco sembra fermarsi in episodi come la dolce Mi Trovo Nuovo o la classicheggiante Come Vorrei, ma riesplode sempre con Punto G, Veleno e Rapace, che presentano la tipica alternanza di melodia e riff taglienti, costruita però con una precisione e degli arrangiamenti veramente ineguagliati nel nostro paese.
La produzione del disco non è superba, e tutt'oggi nonostante internet ci abbia permesso di apprezzare anche molti dischi di fattura non proprio ottima abituandoci alle sonorità “da MySpace” sentiamo che in casa Agnelli non giravano ancora i soldi. Ma il suono è comunque d'impatto, graffiante, e complice del sensazionale risultato, potente ma a tratti intimistico, grazie ai testi sempre molto personali e variamente interpretabili del frontman. Strumentalmente non troviamo virtuosismi ne passaggi difficili, e mai ne troveremo nella carriera degli Afterhours, ma la sincerità con la quale due accordi di chitarra e un bel giro di violino sanno creare canzoni come queste stupisce ancora. E non rimanerne appassionati è davvero impossibile.
Se “non c'è niente che sia per sempre”, beh questo disco sicuramente lo sarà.
Voto: 9.5
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