venerdì 4 settembre 2009

Jethro Tull - Concerto a Riolo Terme, 27/8/2009


Questo non era il mio primo concerto dei Jethro Tull, è stato il terzo e sinceramente non sapevo cosa aspettarmi: la prima volta a Ravenna (al Pala de Andrè, 28 Giugno 2007) non era stata un granché per i loro standard; Anderson aveva la febbre e inoltre era stato irritato dal pubblico che gli scattava le foto con il flash abbagliandolo (come se Anderson non fosse già irritabile di suo). Molto meglio la seconda volta a Schio (Arena Campagnola, 4 Luglio 2008) per il tour del quarantennale. Si percepiva voglia di suonare, il gruppo era in forma, Anderson era di buonumore e la scaletta era molto buona. Ma adesso cosa potevo aspettarmi?

Comunque partiamo dall'inizio, nel momento di apertura dei cancelli del Parco Fluviale. Vedo che a differenza degli altri anni non c'è posto dove sedersi: tutti in piedi. Già un punto a sfavore, perché il cielo non promette molto bene (e infatti cadrà qualche goccia di pioggia di lì a poco, ma non durante il set dei Jethro Tull, fortunatamente). Inoltre vedo sul palco a fare il soundcheck della gente completamente diversa dai Jethro Tull. Scoprirò di lì a poco, che oltre ai Jethro, suonerà anche un gruppo di supporto, i Mamamicarburo, una band discretamente famosa a livello underground.

I Mamamicarburo iniziano verso le 9:30, dopo le goccie di pioggia già menzionate. Non posso dire di apprezzare la loro musica, ma loro mi fanno simpatia, sono molto emozionati, si scusano quasi con il pubblico di essere lì e senza dubbio a livello tecnico se la cavano egregiamente: insomma, riescono ad eseguire il loro set in maniera piuttosto dignitosa, anche se il chitarrista verso metà concerto cade e apparentemente si fa male (notavo su di lui un espressione di dolore per il resto del tempo).

Al termine dei Mamamicarburo, qualche minuto per cambiare il palco e finalmente è l'ora dei Jethro Tull.

Non si può dire che a inizio concerto fossi molto impressionato: ero infatti un po' deluso dai due brani di apertura, ovvero "Nothing is Easy" e "A New Day Yesterday". La prima l'avevo sentita a tutti i concerti Tullici a cui ero andato, e la seconda è stata presentata in maniera condensata, priva della jam centrale (che invece a Schio era stata eseguita).

Le cose migliorano notevolmente con il terzo pezzo, "Beggar's Farm", dall'album di esordio. L'ipnotica linea di chitarra suonata da Martin Barre ipnotizzava letteralmente il pubblico, lo shuffle a metà brano eseguito in maniera impeccabile, ottimi gli assolo di tutti i membri del gruppo in particolare quello del leader-folletto Ian Anderson. Segue "Serenade to a Cuckoo", cover del jazzista statunitense Rahsaan Roland Kirk, e soprattutto la più recente "Rocks on the Road", che è sempre un piacere ascoltare dal vivo, se non altro per la jam finale.

A questo punto però cominciano le sorprese. Con qualche gioco di parole, Ian introduce la breve e dimenticata "Jeffrey Goes to Leicester Square", nella quale Martin imita con la chitarra elettrica il suono di mandolino. Al termine del pezzo Anderson comunica al pubblico che stanno per suonare la loro "worst song ever", con un "hippie vegetarian freak out guitar solo by Martin Barre". La loro "worst song ever" si scoprirà essere "Back to the Family", brano ben lungi dall'essere il loro peggiore (onestamente, Ian, ti sei scordato di "General Crossing", di "Automotive Engineering" o di "Gold Tipped Boots, Black Jacket and Tie"?). Sentire dal vivo "Back to The Family" è stato molto bello, anche se la voce di Ian non riesce a reggere il paragone con la sua stessa voce di 40 anni fa, ovviamente.

Seguono l'attesa "Bourée" e soprattutto "Mother Goose", con un ottima prova di basso di David Goodier (in formazione solo dal 2007 ma in ottima sintonia con il gruppo e con il suo leader). La superba "Heavy Horses" e l'ottima "Farm on the Freeway" (eseguite tutte di un fiato) spianano la strada al momento batteristico della serata, ovvero "Dharma for One". Non senza commenti acidi di Anderson ("thankfully the drum solo will not least 20 minutes as in the seventies, but just 20 seconds. But it will still seem like ages!"). Che Doane Perry fosse un ottimo batterista lo sapevamo già, ma una conferma ogni tanto non fa male. Bella anche l'idea di inserire lo strumentale di Martin Barre "Count the Chickens" all'interno del brano.

A questo punto siamo verso la fine del concerto, quindi iniziano i cosidetti "brani d'obbligo". Il primo dei quali è, ovviamente, "Thick as a Brick", che ho già sentito anche negli altri concerti, ma che non mi stancherò mai di sentire dal vivo. A questo punto devo spendere un paio di buone parole per il tanto bistrattato tastierista John O'hara, entrato in formazione nel 2007 con Goodier. O'hara viene spesso definito non altezza dei suoi predecessori, o addiritura insufficente dal punto di vista tecnico. La prima affermazione posso capirla, ma per quanto riguarda la seconda credo che sia assolutamente infondata. Un altra accusa che ho sentito fare ai danni di O'hara è che il buon tastiere tenti di scimmiottare John Evans (primo leggendario tastierista del gruppo). A questa accusa rispondo con una domanda: avete mai ascoltato John Evans o John O'hara? Se la risposta è "sì", allora state mentendo, se la risposta è "no" apprezzo l'onestà.

Ad ogni modo si prosegue con "My God", che finalmente riesco a sentire bene dal vivo. Infatti, quando il brano venne eseguito a Ravenna, venne troncato a metà in reazione al continuo comportamento del pubblico che continuava ad irritare Anderson. La chiusura del concerto è standard, con "Aqualung" come fine set e "Locomotive Breath" come bis, anche se ogni volta che vado a vedere i Jethro Tull, la coda flautistica di quest'ultimo brano si estende sempre di più (e a ragione, perché è molto coinvolgente).

In definitiva un ottimo concerto, partito un po' in sordina, ma proseguito a livelli memorabili, che dimostra che questi ragazzotti ci sanno ancora fare molto bene, specialmente il chitarrista Martin Barre, autore di memorabili assoli e di ritmiche ben studiate, semplici ma mai banali. Ottime parole spese anche per Ian Anderson, che con la voce non c'è più da tempo, ma che con il flauto resta Dio e ovviamente per il resto del gruppo (Doane Perry si è dimostrato particolarmente in forma questa sera rispetto alle altre). Vederli dal vivo è sempre una grande emozione, anche se i tempi dove il Minstrel in the Gallery aveva i capelli lunghi e saltava indemoniato sul palco sono finiti da un bel pezzo. Ma come si suol dire, un bicchiere di brandy invecchiato non fa mai male, no?

(Per la foto si ringrazia gentilmente Cinzia Raffagli)

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